Capitolo 43

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Quando richiuse la porta, rimase per qualche attimo fermo a fissare il battente in legno, il cuore pesante, l'animo ferito, i sentimenti schiacciati dalla realtà.

Voleva sparire e non doverla vedere, non doverle parlare, perché faceva male, tremendamente male, averla ad un passo e sapere che a separarli c'era il destino, la vita intera.

L'arrivo dei funzionari era stato un colpo basso dei due: quell'entrata a sorpresa solo per potersi accertare della loro vera situazione; in quei giorni, Jason era consapevole di non essere in sé, tanto da aver commesso quell'errore banale, prevedibile. Com'era possibile stare insieme eppure avere le camere separate? Non c'era nulla di Alex nella sua camera o viceversa e questo, sicuramente aveva insospettito ancora di più i funzionari, visibile nello sguardo che la Larson aveva rivolto loro.

-Jason- sentirla appena dietro di lui, sentire come il suo nome si muoveva tra le sue labbra e fosse pronunciato da quella voce, lo fece tremare; si voltò piano ricordandosi di indossare quella maschera che oramai era stato costretto a mettersi se voleva uscirne quantomeno non del tutto spezzato.

Alex era lì, ferma dietro di lui, si stringeva le mani addosso, il viso contrito di tristezza, un velo che aveva adombrato quella solarità che sprigionava con il suo sguardo e il suo sorriso sempre pronto a mostrarsi; lo guardò un attimo negli occhi per poi abbassare il capo, spostando il peso da una gamba all'altra, incerta, insicura e a lui tornò alla mente la bella torta che l'aveva lasciato senza fiato qualche minuto prima

-Mi hai davvero fatto una bellissima sorpresa, Alex, grazie- sentì il suo stesso essere sforzarsi per poterle parlare con calma, nonostante dentro sentisse la voglia di fuggire, ma non poteva fargli questo, non adesso che stavano in una situazione che pretendeva la loro massima attenzione.

Un sorriso appena accennato colorì il volto di Alex che però non alzò il capo

-Mi dispiace non aver pensato a qualcosa di meno banale- rispose e lui avrebbe voluto dirgli che nulla di ciò che faceva risultava ai suoi occhi banale, sapere che aveva speso del tempo per realizzare quella torta solo per lui, l'aveva fatto emozionare, più di quanto avesse potuto mostrare.

-E' un regalo bellissimo, invece- dosò le parole, pensando a cosa dirle, per farle capire quanto contasse per lui quel gesto –nessuno mi ha mai cucinato una torta, neanche Emma- aggiunse, ed era vero, neanche lei,  aveva mai avuto questo riguardo nei suoi confronti quando si frequentavano, tanto meno i suoi genitori, i quali pensavano che una bella torta, presa in qualche rinomata pasticceria, potesse equivalere alle tante mancanze che si portavano dietro e, successivamente, anche quel gesto non ci fu più.

-Jason, ieri ti ho visto andare via con la macchina- Alex alzò finalmente il viso per incrociare il suo sguardo-ero preoccupata, perché so che hai visto l'auto di Thomas- Jason rimase impassibile, fissando la sua attenzione su quegli occhi che tanto amava, ripetendosi nella mente di non comportarsi come suo solito, per rimanere calmo

–Sì, è vero, l'ho visto e ho deciso di lasciarvi i vostri spazi- ammise reprimendo la voglia di sapere se quel tipo l'avesse anche solamente sfiorata e quel pensiero gli incupì i pensieri e lo sguardo, Alex fece un cenno con il capo per poi tornare a guardare a terra

-Grazie, dovevamo parlare, effettivamente- e lui sentì il suo cuore stridere contro le costole, ma si trattenne da dire qualsiasi altra cosa –dovevamo chiarire alcune cose rimaste in sospeso- la sentì aggiungere e un profondo sospiro uscì dalle labbra di Jason, non era facile continuare ad ascoltare, così la superò per andare a prendere un po' di legna e ravvivare il fuoco; aveva paura di ferirla dicendo qualsiasi cosa, di farla sentire in colpa, così non disse nulla, pur sentendo quegli occhi puntati sulla schiena

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