Capitolo 42

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Note: vista la lunga assenza, doppia pubblicazione.. Controllate di aver letto il cap.precedente! Grazie per essere ancora qui

Aveva due enormi fusti di birra vuoti tra le braccia, si avviò verso la cantina sospirando, in mente la voglia di andare a trovarla, ma nel cuore la paura di farla indispettire, il timore di farle adombrare lo sguardo, di ricevere qualche frase che potesse ferirlo, o rischiare di farlo lui, come già accaduto. Entrò nella vecchia cantina sospirando, con il gomito riuscì ad accendere la lampadina appesa al soffitto e si ritrovò a saltare sul posto, facendo cadere i due fusti che riempirono l'aria con un tonfo metallico

-Maledizione! Jason ma che cazzo ti salta in mente?!- urlò portandosi una mano sul cuore sentendolo battere come un tamburo per lo spavento –Ma sei diventato tutto scemo?!- sbraitò girando un pò su  sé stesso per riprendersi, tornando poi a guardarlo: era seduto su uno dei vecchi barili di legno che riempivano quella cantina di quell'odore tipico di vino, di fragranze affumicate, zuccherine, antiche; ai suoi piedi almeno una decina di sigarette spente, aveva la testa bassa, le gambe appoggiate a una catasta di legna lì davanti e l'aspetto di uno che volesse sparire.

Mike riprese fiato, calmandosi, gli si avvicinò stando attento a non sbattere la testa nell'architrave in legno di castagno messo lì da almeno cento anni per separava la parte vecchia di quella cantina, dove ancora c'erano oggetti legati a un passato dove il nonno aveva dato inizio a tutto, da quella più recente che lui aveva dedicato alle birre.

-Che diavolo ci fai qui dentro?- gli chiese ridacchiando, ricordando quando da ragazzi si rinchiudevano lì per ore, diventando il luogo in cui iniziare a fumare di nascosto qualche sigaretta, dove ritrovarsi per raccontarsi di qualche cotta, parlare dei propri problemi personali, permettendo loro di condividere quei momenti in tutta tranquillità; era il luogo dove lui aveva trovato il coraggio di baciare Jane. Scacciò subito quel pensiero, rendendosi conto di come l'amico avesse qualcosa che non andasse

-Jas, che succede?- gli chiese avvicinandosi

-Ero convinto di potercela fare- la voce di Jason riempì quel luogo dopo diversi attimi di assoluto silenzio, era bassissima e un po' rauca, Mike deglutì sedendosi sul barile accanto a lui, come i vecchi tempi, lo guardò con il volto basso, i capelli a ricadergli sugli occhi

-Cosa ?- chiese e lo vide scuotere leggermente la testa

-Jane mi aveva avvertito- Mike si passò una mano sul viso sconsolato, si guardò intorno senza sapere cosa fare

-Jas, dimmi che succede- lo incitò dopo minuti di silenzio

-Sapevo fosse impossibile, sapevo fosse una pazzia, eppure non sono riuscito a fare nulla se non innamorarmi ancora una volta della persona sbagliata- alzò finalmente il viso e Mike cercò di rimanere impassibile, nel vedere gli occhi di Jason lucidi e umidi.

Erano passati anni, ma quella visione lo riportò a quella notte di tanti anni prima, quando Jason era tornato da poco dall'Italia, diverso, cambiato, forse non per quelli che lo conoscevano appena, ma per lui, per Jane, Jason era tornato diverso. La prova Mike la ebbe in quella notte quando lo trovò li dentro, seduto a terra, con la schiena appoggiata al muro, si gelava, era pieno inverno, proprio come in quel momento e quando gli si avvicinò lo vide piangere, era talmente stremato che non riuscì a mentirgli e quegli occhi colpirono Mike al cuore: era disperazione, era tristezza, era la consapevolezza che le ferite riportate non sarebbero mai state curate e tutto portava il nome di Emma, che non riusciva a scacciare dalla testa, ma soprattutto dal cuore, il suo dolce e atroce sogno.

Mike osservò quello sguardo, quel volto segnato dal dolore che adesso conosceva anche lui

-Jas, perché parli così?- gli chiese sentendo la tristezza salire come un serpente ad avvolgergli il cuore vedendo l'amico ridotto in quello stato, ancora una volta

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