CAPITOLO TREDICI

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I due si incamminarono per una buona mezz'ora; seppur nervosa, durante il tragitto la ragazza tentò di intavolare una conversazione che si rivelò quasi un monologo. Raggiunsero un parco molto curato, frequentato di rado durante i giorni settimanali e si fermarono sotto una vecchia quercia alla ricerca di frescura.

Tsukishima non si perse in chiacchiere e dal borsone sportivo tirò fuori un plaid che stese sul prato, adagiando sopra varie leccornie. Lucy fu decisamente impressionata dalla straordinaria intraprendenza del giovane.

"Che fame! Quante cose hai portato!"

Così esclamando, non fece complimenti e cominciò a consumare la colazione; seppur inappetente, Kei si allietò nel farle compagnia assaggiando un po' di tutto, prevalentemente della frutta mista, già sbucciata e sminuzzata con cura, e dei biscotti secchi; tutto cibo salutare ad eccezion fatta per due abbondanti fette di shortcake che troneggiavano fiere sulla coperta.

"Wow, è la mia preferita!" esclamò la ragazza.

"Anche la mia!" asserì il pallavolista con voce seriosa.

La fanciulla si soffermò su quella torta invitante e afferrò d'istinto una fragola alla quale rimase attaccato un ciuffetto di panna.

Tsukishima perse il suo proverbiale autocontrollo osservando il colore delle sue labbra confondersi con quelle del frutto; si avvicinò a lei e, con uno scatto fulmineo, la baciò impetuosamente.

La ragazza fu presa alla sprovvista e dovette poggiare le mani a terra inarcando la schiena per non cadere rovinosamente all'indietro. Ultimamente Lucy aveva fantasticato, e non poco, su come il loro rapporto potesse evolversi e, ipotizzando un possibile approccio amoroso d'iniziativa del pallavolista, era giunta alla conclusione che se mai il primo bacio fosse arrivato, sarebbe stato solo dopo una timida richiesta o desiderio espresso dal giovane.

Apprese piacevolmente che il suo amato poteva essere altrettanto impavido quanto imprevedibile e non fece nulla per fermarlo.

Si staccarono un attimo solo per prendere fiato.

In quell'istante proferire parole d'amore era del tutto superfluo; l'intensità dei loro sguardi ed il rossore delle loro gote bastava per capire cosa stessero provando l'uno per l'altra.

Ripresero a baciarsi con più ardore; la ragazza gli mise le mani al collo mentre Tsukishima iniziò a mordicchiarle le labbra che di lì a poco si arresero schiudendosi, e si inebriò, potendo finalmente assaporare quella sua bocca fruttata.

La giornata era particolarmente afosa e stavolta fu lei a prendere l'iniziativa: quella giacca alla coreana con tanti, troppi bottoni le fu nemica ma alla fine riuscì a togliergliela di dosso, raggiungendo quei suoi addominali scolpiti.

Kei, dal canto suo, ragionò in merito alla pessima ideazione della divisa scolastica femminile adottata dal loro liceo, eccessivamente carica di indumenti che ritenne futili e di impedimento. Di contro ebbe modo di gradire l'estrema praticità di quella minigonna a pieghe che gli consentì, così strutturata, un facile accesso alle sue gambe, vestite solo da improponibili calzettoni bianchi.

Iniziò ad accarezzarle avidamente con l'intento di fermarsi alle cosce lisce e sode, ma non seppe fare i conti con la grandezza delle sue mani longilinee che la fecero sussultare non appena le sue dita si infilarono dentro i suoi slip di cotone.

Malgrado le difficoltà dovute alla limitatezza dei movimenti della mano in fasce ancora dolorante, non si perse d'animo: giacca e gilet di lana volarono via dietro di loro.

Dovette faticare non poco per sciogliere quello stupido cravattino amaranto, stavolta abilmente annodato, ma fu come rompere l'ultimo sigillo per accedere al paradiso.

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