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Eveline

Cerco di aprire gli occhi, ma sembra quasi che un macigno me li tenga chiusi. Per quanto mi stia sforzando, non riesco a capire cosa sia successo. L'ultima cosa che ricordo sono due occhi, i più belli che abbia mai visto, che mi guardavano con desiderio e poi il vuoto più totale. Che mi sia sentita male? La paura comincia a farsi padrona di me.

Sono più che cosciente del fatto che sto vivendo alcuni degli attimi più critici di tutto il mio percorso medico, perché è da questi attimi che dipenderà la lunghezza della mia vita.

In lontananza sento delle voci che discutono ma sembrano distanti diverse decine di metri da me e in ogni caso non ne riconosco nessuna. Mi concentro sul battito del mio cuore, così spesso regolare e così tanto forte da quando mi sono operata.

Permetto al suo battito regolare di rilassarmi, mi lascio cullare da lui, trovando quasi ironico che più mi calmo più il suono diventa regolare e lento, quasi come se stesse facendo una svogliata passeggiata nel mio petto.

Le voci sembrano diventare più forti ed è in quel momento che mi rendo conto che tutti i suoni che ogni giorno accompagnano il mio risveglio, tipici di ogni ospedale, non ci sono. Incuriosita da questa cosa insolita mi sforzo ancora per riuscire ad aprire gli occhi e questa volta sembro riuscirci.

Lentamente le mie palpebre si alzano, richiudendosi subito per l'estrema quantità di luce presente nella stanza. Aspetto qualche secondo e faccio un altro tentativo, questa volta riuscendo a tenere gli occhi aperti, i quali lentamente si abituano alla luca.

Mi guardo intorno, non riconoscendo assolutamente la camera in cui mi trovo; non ha niente a che vedere con una stanza d'ospedale. Le pareti sono di un blu azzurro opaco, mentre tutti i mobili sono neri, una scrivania non molto grande, un armadio a parete che sembra essere invece abbastanza grande e una cassettiera.

Ma quella che più mi colpisce è la parete alla mia destra, letteralmente composta di vetro, che regala una splendida visuale su una foresta che sembra essere immensa. I miei occhi si perdono a vedere quel verde infinito, mentre il mio battito accelera.

-Bello, vero?- mi chiede una voce mai sentita e io quasi salto per lo spavento. Giro subito la testa e noto un ragazzo dai biondi ricci seduto su una sedia, accanto al letto su cui mi trovo. Ma da dove diavolo è spuntato fuori? Sono più che sicura che non ci fosse pochi istanti fa.

-Dove sono?- chiedo invece a riccioli d'oro, il quale resta impassibile mentre attendo una sua risposta, che però non arriva. Ripeto la domanda, non ottenendo di nuovo risposta.

-Ti riesci ad alzare, Eveline?- mi chiede e non faccio caso al fatto che sappia come mi chiamo, ormai ho perso il conto di quanti tra medici e infermieri lo fanno. Che sia questo? Un medico?

Imitando il suo comportamento di poco fa, rimango impassibile a quella sua domanda. C'è qualcosa, dentro di me, che mi dice di non fidarmi di lui. Riccioli d'oro sospira, alzandosi in piedi e venendo nella mia direzione. Si avvicina al letto e mi porge una mano, facendomi segno di prenderla e rimango colpita dalla sua altezza, per quanto non mi intimorisca affatto. Anche mio fratello è un gigante.

-Non ho una sedia a rotelle qui con me, ma se non riesci a camminare posso portarti in braccio- mi dice con un tono che non si abbina affatto al visino angelico che ha. Mai e poi mai permetterei ad un estraneo di portarmi in braccio, soprattuto se è biondo e riccio. Certo, me lo farei, ma mai fidarsi dei ragazzi biondi e ricci fuori dalle lenzuola.

Faccio segno di no con la testa ma accetto comunque la mano che mi porge per aiutarmi a sollevarmi. Devo dire che mi sento alquanto intontita e a quanto pare lo sono abbastanza da fidarmi di uno sconosciuto spuntato fuori dal nulla che si è rifiutato di dirmi dove ci troviamo.

Heart's beatDove le storie prendono vita. Scoprilo ora