N.A. Titolo:
anche con questo titolo, anziché propriamente la divinità della morte, intendo il nome con cui Freud definisce la pulsione di morte, che comprende le tendenze autodistruttive (componenti masochistiche, sadiche e la coazione a ripetere esperienze dolorose -es. incubi); in sostanza, si contrappone appunto alla pulsione di vita di autoconservarsi dell'Io.Avevo preso la metro, mordicchiandomi le unghie nervosa per tutto il tragitto, ed ero corsa verso il centro a per di fiato.
«L'ho saputo da Mikasa e ieri siamo andati al funerale. Ma... Pensavo che anche se vi siete lasciati, almeno con te si fosse aperto...» Mi aveva detto Armin, prima che iniziassi a correre verso la metro.
Ora mi trovavo davanti al portone del palazzo di Eren, indecisa se suonare o meno.
Proprio in quel momento qualcuno uscì e, vedendomi lì, gentilmente mi tenne il portone aperto. Lo ringraziai con un cenno e preso l'ascensore fino all'ultimo piano, mi fermai di fronte alla porta di Eren.
Tremante, con la paura di non trovarlo in casa, suonai al campanello ed aspettai a lungo. Quando suonai di nuovo vidi la porta aprirsi con un'insopportabile lentezza.Di fronte a me vidi la faccia di Eren, col suo solito codino a legare i capelli, ma c'era qualcosa di diverso in lui. Mi fissava con uno sguardo spento, totalmente assente. Non sembrava nemmeno sorpreso di vedermi ed anzi, mi guardava senza dir nulla. La sua immagine non trasmetteva alcuna emozione e per un istante mi chiesi se quello che avevo davanti fosse davvero Eren.
«Eren...» Provai a chiamarlo, nel tentativo di suscitare una sua reazione.
Continuava a fissarmi apatico, finché non rispose con voce flebile e roca. «Che ci fai qui?»
Non mostrava né tristezza, né rabbia. Mi dava l'impressione di essere solo il misero fantasma del vecchio Eren, sorridente e pieno di voglia di vivere.
Cercai le parole da dire e dopo una manciata di secondi riuscii a rispondere.
«Armin mi ha appena detto di...» Non ebbi la forza per continuare, ma Eren sembrò aver capito all'istante.
Non disse nulla, abbassò gli occhi per un momento e si allontanò dalla porta, lasciandola però aperta.
Trovai il coraggio di entrare per raggiungerlo e lo osservai, mentre si fermava davanti al tavolo dandomi le spalle. Aveva una semplice maglietta e un paio di pantaloni e se ne stava silenzioso e immobile.«Vuoi dirmi che sei venuta a fare?» Questa volta nella sua voce trasparì della rabbia e per un attimo ne fui intimorita.
«...Hai veramente bisogno che io te lo dica?» Chiesi addolorata e lentamente mi avvicinai verso di lui. «Voglio starti vicino. Credimi Eren, io so come ti senti.»
Mi fermai ad un passo da lui aspettando che dicesse qualcosa, col fiato sospeso.
«No che non lo sai.» Sibilò lui, facendomi trasalire.
Tuttavia mi avvicinai ancora e delicatamente gli posai una mano sul braccio. «Sì invece. Eren anch'io ho perso mia madre, quindi ti capisco e voglio starti vici-»
«TU NON MI CAPISCI INVECE!»
All'improvviso si voltò e con uno strattone si divincolò dalla mia presa, spaventandomi. Ora mi guardava negli occhi con ira improvvisa ed io indietreggiai di un passo.
«No... tu non mi puoi capire.» La sua voce tremava, ma non capivo se era per il dolore o la rabbia, oppure per entrambi. «Tua madre era una prostituta ed è morta per una malattia venerea, quando tu avevi solo sei anni. Mia madre invece... lei è morta perché un pezzo di merda ubriaco l'ha investita, all'improvviso, dopo che per vent'anni mi aveva cresciuto!»
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𝐃𝐨𝐰𝐧𝐭𝐨𝐰𝐧 𝐁𝐚𝐛𝐲 «Eren x Reader»
FanficCon assoluto silenzio avvicinò il suo volto al mio, fermandosi non appena le punte dei nostri nasi si sfiorarono. Tenevo le labbra serrate e sentivo il mio cuore battere talmente forte che ebbi il timore mi esplodesse nel petto. «[T/n] non hai mai b...