Mi svegliai prestissimo per il mio primo giorno di Università e, nonostante dovessi essere lì per le undici per il discorso di benvenuto del rettore, uscii di casa alle nove e trenta. Avevo fatto una veloce colazione al bar, avevo preso la metropolitana ed in una mezz'ora scarsa arrivai di fronte all'Università. Era composta di tre edifici, due dei quali i principali e i più grandi, posti uno di fronte all'altro e divisi solo da una specie di mini campus all'americana. Tra i due c'era il terzo edificio e, tra le tante cose, un giardino letterario e uno spiazzo adibito con tavoli e panchine per mangiare e studiare all'aria aperta; al centro del campus una lunga fontana con delle scalinate su cui sedersi e tanto altro; all'open day non ero riuscita a vedere nemmeno la metà di tutto quanto e non vedevo l'ora di scoprirlo durante questi primi mesi.
Non volevo essere appariscente dal momento che non amavo esser notata, ma avevo osato leggermente di più rispetto al solito nell'abbigliamento: indossavo una maglia nera aderente di lana a maniche lunghe e una gonna rossa a quadri, con degli stivali anch'essi neri lunghi fin sotto al ginocchio. Truccandomi mi ero messa anche l'eye liner (che per me non è una cosa da poco conto); volevo veramente che questo giorno fosse come un nuovo inizio, ma tutto ciò che feci fu iniziare a perdermi.
Feci il grosso errore di sottovalutate quanto fosse dispersivo il primo giorno per una matricola e, nonostante l'edificio fosse giusto, sette piani e decine e decine di aule e quel via vai di studenti da ogni dove furono sufficienti per sentimi soffocare.Feci un respiro profondo e mi misi in un angolo, tirando fuori dalla borsa la guida dell'università e buttando l'occhio sulla piantina sulla parete davanti a me. Concentrata com'ero quasi non mi accorsi di un ragazzo che venne verso di me e con voce pacata mi si rivolse.
«Scusa, sai mica dov'è l'aula 126?»
La prima cosa che notai fu l'azzurro intenso dei suoi grandi occhi, che mi scrutavano speranzosi in cerca di aiuto. Il suo caschetto di capelli biondi, corti fin sopra le orecchie, risaltava i lineamenti delicati del suo viso.
«Vorrei saperlo anche io...» Ammisi in un sospiro affranto, tornando a guardare la mappa con le braccia conserte e la borsa che lentamente voleva scivolare dalla spalla al gomito.
«Possiamo chiedere a qualcuno allora... Scusatemi!»
Distolsi lo sguardo dalla mappa e vidi il ragazzo avvicinarsi ad un gruppetto di studenti più grandi, uno dei quali risaltava per la sua robusta corporatura, che subito gli indicarono la strada. Il piano era giusto, ma l'aula era nel lato opposto dell'edificio.
Lo raggiunsi e, dopo che ebbe ringraziato il gruppetto, si assicurò che lo stessi seguendo.«Come fai a ricordarti tutte le indicazioni che ti hanno dato?» Gli domandai, sinceramente sorpresa di come fosse ormai sicuro di dove stesse andando.
«Ho una buona memoria e un buon senso dell'orientamento. Non avrei avuto problemi a trovare l'aula in un altro momento, ma essendo questo il primo giorno sono un po' in ansia.- mi sorrise genuino e leggermente imbarazzato, cosa che mi addolcì un poco -Sono Armin comunque.»
«[T/n]» Mi sforzai di sorridergli per mostrargli gratitudine di avermi aiutata e non risultare fredda o distaccata già a primo impatto.
Arrivammo all'aula 126 poco dopo con ancora, per fortuna, dieci minuti di anticipo, così prendemmo a sederci in seconda fila, lievemente di lato rispetto al centro, e chiacchierammo mentre altri studenti entravano nella grande aula. Mi raccontò che si era trasferito in questa città, molto lontana dalla sua, proprio per frequentare questa università, che era riconosciuta come la più rinomata dello Stato. Parlammo finché non arrivò il rettore, il signor Smith, a darci il benvenuto e a fornirci delle linee guida per orientarci e adattarci al meglio a questa nuova realtà. Il suo discorso durò circa una mezz'ora e dopo ci ritrovammo, io ed Armin, ad avere tre ore e mezza libere prima della nostra lezione pomeridiana. Decidemmo così di fare un giro dell'edificio e cercare di abituarci al meglio senza perderci costantemente.
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𝐃𝐨𝐰𝐧𝐭𝐨𝐰𝐧 𝐁𝐚𝐛𝐲 «Eren x Reader»
Hayran KurguCon assoluto silenzio avvicinò il suo volto al mio, fermandosi non appena le punte dei nostri nasi si sfiorarono. Tenevo le labbra serrate e sentivo il mio cuore battere talmente forte che ebbi il timore mi esplodesse nel petto. «[T/n] non hai mai b...