Capitolo 1 - Vestito nero

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Miriam si guardava allo specchio della camera. Indossava un completo nero dal taglio semplice e non si era truccata, aveva solo raccolto i capelli in una coda morbida.
Controllò l'orario sul cellulare, doveva uscire dopo quindici minuti.
Bene. Pensò.
Si diresse al frigorifero nella cucina laccata nera e si versò un bicchiere d'acqua fresca. Lasciò che il liquido la dissetasse, sentendolo scorrere nella gola fino allo stomaco. Odiava andare ai funerali sin da bambina. Ovvio che nessuno abbia piacere a presenziare a cerimonie funebri, tranne dei depravati chiaramente, ma Miriam si sentiva sempre a disagio. Sosteneva che il cimitero avesse un odore particolare che, durante la funzione, si estendeva alla chiesa. Suo padre lo chiamava l'odore della morte.
La donna prese un respiro profondo e si diresse al mobiletto in entrata, dove si infilò un bracciale con dei charms e una catenina.
Non indossava molti gioielli, ma quei due erano importanti, si sentiva nuda senza.  Il bracciale in oro rosa glielo aveva regalato Alan, il suo amore, compagno di vita, per il loro quinto anniversario e aveva ricreato le tappe più importanti della loro storia con quei piccoli pendenti. La catenina era un'eredità, di quando era mancata sua nonna. Aveva un legame speciale con lei e i genitori hanno pensato che fosse giusto regalargliela.
Si fissò allo specchio dell'ingresso e annuì al riflesso. Aveva un aspetto curato, ma non ricercato, adatto al funerale. Prese gli occhiali neri dalla consolle all'ingresso e la borsetta contenente solo telefono, chiavi e fazzoletti. Infilò con due gesti fluidi delle semplici scarpe con un tacco bassissimo e prese un bel respiro.
Con passo sicuro arrivò alla macchina. Guidare la faceva sempre rilassare. Spinse il tasto di apertura sulla chiave e si rese conto che non era chiusa. Gli specchietti si piegavano verso l'auto quando questa veniva chiusa, ma erano già aperti quando lei aveva premuto il tasto di apertura. Rimase un momento a riflettere. Le sembrava di ricordare di averla chiusa, ma non poteva averne la certezza, perché gesti così meccanici diventano inconsci. Scrollò le spalle e salì.

Percorrere la strada senza musica era fuori discussione, quindi lasciò a una stazione radio con una musica leggera il compito di invadere l'abitacolo. Scivolava per le vie e pensava a Zoe. Morta su un autobus. Non capiva come una ragazza così giovane potesse essere morta d'infarto, anche se... Anni prima, quando avevano appena finito le scuole superiori, Zoe e il gruppo avevano iniziato a frequentare persone davvero orribili. Una sera l'avevano invitata a una cena a casa di un loro amico imprenditore. Miriam non voleva andare, ma Natalia aveva insistito e non era riuscita a dire di "no". La serata più brutta della sua vita. Da allora le aveva viste solo una volta per dire loro di non cercarla mai più, finché la segretaria di Natalia l'aveva rintracciata due giorni prima, per invitarla alla cerimonia funebre di Zoe, grazie all'indirizzo e-mail del lavoro.

"Buongiorno signora Cappelli,
La contatto a nome della signora Natalia Belviso, riguardo la precoce mancanza della vostra comune amica Zoe Pani, stroncata da infarto ieri.
Allego le indicazioni geografiche e temporali della funzione.
La signora Natalia ritiene importante la Sua presenza.

Cordiali saluti,
Grazia Saleri,
assistente privata della manager Belviso."

Ancora le rimbombava in testa quella lettera. L'allegato la informava del luogo e dell'orario della funzione. Era andata subito a cercare la cronaca locale e aveva trovato un breve trafiletto, in cui veniva spiegato che la giovane Zoe Pani era deceduta su un autobus che attraversava il centro cittadino, per un arresto cardiaco. Tutto qui. Non c'era scritto altro.
Un clacson ridestò Miriam, che si era immersa nei pensieri, si era incantata, ma intanto il semaforo era diventato verde. Ripartì scusandosi con un cenno della mano, un po' imbarazzata. Ancora pochi chilometri e sarebbe arrivata alla chiesa.

La chiesa era una manifestazione di bellezza artistica. Architettura medievale, con interventi rinascimentali. Affreschi e statue che sapevano di storia e di arte.
La navata centrale era immensa, ci sarebbero passate comodamente cinque persone una a fianco all'altra. Le panche in legno scuro e lucido erano perfettamente restaurate e decorate con dei fiori rosa, il colore preferito di Zoe, sostenuti da fasce di tulle nero. Le navate laterali erano gremite di porta candele e Miriam si diresse verso il terzo. Non credeva nettamente nell'esistenza di Dio, ma era sicura che ci fosse dell'altro. Dalla borsetta prese due monete e le inserì nel buco delle offerte, poi prese in mano una lunga candela bianca e la baciò.
<<Riposa in pace, Zoe...>> sussurrò prima di accenderla con la fiamma di un'altra già zampillante.
<<Sei venuta...>> disse una voce bassa, alle spalle di Miriam, che si voltò.
Una ragazza molto minuta la guardava stringendo un fazzoletto di carta tra le dita. Gli occhi color nocciola erano rossi e umidi. Il bel viso a cuore era incorniciato dai vaporosi capelli castani. Sembrava appena uscita dal parrucchiere, e forse era così, e aveva un tubino nero a manica corta, che la faceva sembrare ancora più esile. 
Non la vedeva da anni, come tutte le altre del resto, compresa Zoe.
<<Ciao Teresa. Certo che sono venuta...>> rispose Miriam sorpresa.
<<Non ne eravamo certe, dato che l'ultima volta che ci siamo viste... Ecco, non sei andata via con serenità.>> disse Teresa sottovoce.
<<Sì, ma abbiamo passato molti momenti importanti insieme, non fingerò che non sia così per rancore. Mi sono allontanata da voi, proprio per non covare sciocchi rancori e preservare almeno i ricordi belli.>> spiegò Miriam, fissandola con gli occhi blu ingranditi dalle emozione, dai ricordi.
Sì, nell'ultimo loro incontro erano volate parole pesanti e ci aveva messo anni a superare quello che le era accaduto. Gli insulti erano stati il meno, perché non aveva trovato parole abbastanza cariche del significato che cercava, per far capire a quelle che si dicevano sue amiche quanto valeva il loro tradimento.
Il passato, però, doveva restare nel passato. Era questo il pensiero che l'aveva aiutata a cancellare quei sentimenti di rabbia nei loro confronti.
Miriam era andata in terapia e aveva deciso che le sofferenze erano sciocche e che, da quel momento in poi, avrebbe cercato sempre e solo il lato positivo delle situazioni. Era uno dei motivi per cui era al funerale, per dare una pace alla sua amicizia con Zoe e sepellirla con lei.
Andò a sedersi in una panca a metà strada tra l'ingresso e l'altare, perché la loro amicizia aveva visto luce e ombra, quindi si era ammantata del grigio delle vie di mezzo e delle cose ambigue.
Dopo circa quindici minuti, in cui Miriam si era raccolta nei ricordi della scuola superiore, il carro funebre parcheggiò davanti al portone della chiesa. Un requiem uscì dall'organo e tutti si erano alzati in piedi, in rispetto alla salma, che stava scivolando nella bara chiusa fino ai gradini che portavano all'altare.
Il prete disse la messa e alcune parole su Zoe, poi salì sul piccolo podio il padre che singhiozzava disperato, mentre raccontava quanto era dolce Zoe, la sua bambina. Miriam si asciugava lacrime mute, ricordando quegli episodi che ricordavano la bellezza della sua vecchia, antica amica.
Sul podio salì Natalia, in un vestito nero con pizzi e un velo nero sul capo, che scuriva i capelli biondi. Si asciugò due lacrime e balbettando iniziò anche lei a ricordare quella Zoe che tutti erano lì per salutare un'ultima volta.
<<Zoe era mia amica dalle scuole elementari e mi è stata vicina in momenti tristi e dolorosi. Io so che mi sarà vicina sempre, qualunque strada prenderà la mia vita. Lei era su quel bus e io le stavo scrivendo. Spero davvero che la nostra amicizia vada oltre il limite del corpo fisico. Ciao Zoe.>> scese dal podio e, con la mano posò un bacio sulla bara di legno chiaro.
Prima di tornare a sedersi lanciò un'occhiata fugace a Miriam.

Miriam non aveva intenzione di andare al campo santo e attese fuori della chiesa che la folla si disperdesse, poi andò a porgere le condoglianze ai genitori, che l'abbracciarono e la ringraziarono per essere stata presente, poi si diresse alla macchina, parcheggiata davanti alla distesa di tavoli del bar che fronteggiava la chiesa.
<<Ciao, Miriam.>> si sentì chiamare.
Natalia, seguita da Teresa e Delia, era alle sue spalle.
<<Ciao, ragazze.>> rispose lei seria. Non aveva voglia di una rimpatriata.
<<Volevo solo dirti una cosa.>> dichiarò Natalia, guardandola negli occhi <<Non credo sia possibile che Zoe sia morta per cause naturali e voglio scoprire chi è stato.>>
<<Bene. Spero che trovi quel figlio di puttana. Neanche io credo che alla nostra età si possa morire di arresto cardiaco senza avere sentore di problemi cardiaci prima. Se lo trovi dimmelo che vengo a massacrarlo di botte.>> rispose lei seria.
<<Perché non potresti essere tu? Hai un movente.>> buttò lì Delia guardandosi le unghie.
<<Io? La mia vita funziona benissimo. Ho fatto anni di psicoterapia e ho superato quello che mi avete fatto da parecchio ormai. Non vedevo nessuna di voi da allora.>> poi la sua voce divenne velenosa <<Se avete trattato me in questo modo, sono certa che troverete altri indiziati che le potrebbero aver fatto del male.>>
Le tre si guardarono imbarazzate e Natalia balbettò.
<<Dovremmo aspettare di venire uccise per scoprire la verità?>>
Miriam rimase a bocca aperta.
<<Di cosa parli? Avete ricevuto delle minacce di morte? Le aveva ricevute anche Zoe?>>
Teresa annuì.
<<Noi sì. Zoe no. La polizia sa tutto, ma abbiamo assoldato un investigatore privato. Onestamente non credo che sia stata tu, ma volevamo vedere la tua reazione per escluderti. Abbiamo avuto ragione e credere che non si tratti di te, sei rimasta troppo sorpresa. Allora stanne fuori. Non devi rischiare. Te lo dobbiamo.>>
<<Deve essere qualcuno che abbiamo disturbato dopo che sei uscita dal gruppo.>> sentenziò Delia <<Sennò anche tu avresti ricevuto minacce di morte.>>
Natalia le porse un biglietto da visita.
<<Questo è il numero della investigatore privato. Se dovesse venirti in mente qualcuno che possa avere dei rancori o se ti dovesse capitare qualcosa di strano, diglielo. In ogni caso, il tuo alibi è di ferro: eri a lavoro. Scusa se ti abbiamo aggredita, ma la situazione...>>
<<No. Non dovete scusarvi. Lo capisco. Avete scelto un modo un po' fuori dagli schemi, ma lo capisco.>> mise il biglietto nella borsetta <<Ora torno a casa. Ci vediamo.>> e salì in macchina.

Guidò lasciando la radio spenta e i pensieri fluire. Era arrabbiata con le ragazze, perché avevano indagato su di lei.
"Il tuo alibi è di ferro."
Ma era anche consapevole che avrebbe fatto la stessa cosa. Il movente ce l'aveva e loro non potevano sapere che aveva superato tutto, mettendo quel ricordo, se così si poteva chiamare, in un cassetto della mente.

***

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