Faraway, chapter one.

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Levi’s POV

Era ormai tarda notte quando, dopo una breve spedizione, rientrai alla base.
La pila di fogli disordinatamente organizzati, la fioca luce delle candele, oramai consumate ed alcuni libri impolverati, impilati molto approssimativamente sulla vecchia scrivania, segnalarono la caotica presenza di Hanji.
Dal suo aspetto trasandato, gli occhiali caduti sullo scuro pavimento di rovere, i capelli slegati, leggermente arruffati e il fatto che fosse assopita, accasciata sulla scrivania, con la testa poggiata sulle sue stesse braccia incrociate, capii che si trovasse lì da svariate ore.
Mi avvicinai a lei, toccandole la spalla nel tentativo di svegliarla.
Come previsto, quasi sobbalzò alla vista della mia presenza;
“Levi, perdonami, tolgo il disturbo.”
Disse lei, e le sue guance si colorarono di rosso, mentre sorrideva imbarazzata.
La guardai senza dire alcuna parola.
Iniziò a raccogliere gli oggetti e la pila di libri arrivò a coprirle il naso aquilino, mentre continuava a sorridere, in maniera visibilmente forzata.
Riguardai nuovamente la postazione.
Nel momento in cui varcò la soglia, notai che i suoi occhiali erano ancora caduti sul pavimento.
“Quattrocchi, dimentichi nulla?”
Le dissi, porgendole gli occhiali.
Si voltò, con aria interrogativa.
“Ti ringrazio, potresti poggiarli qui?”, indicando la pila di libri.
Azzardali, mettendoli sul suo naso, spingendo, all’indietro, delicatamente, con l’indice ed il medio.
Sorrise genuinamente e mi ringraziò.
“Buonanotte, Levi.” e lasciò la stanza.
“Notte, quattrocchi.”, ricambiai.
Aveva l’aria un po’ turbata.
Dal piano superiore, si udiva baldoria ed un clima festoso.
Provai ad addormentarmi, ormai distratto dai rumori.
Dopo circa quarantacinque minuti, decisi di salire al piano superiore.
Chi danzava, chi beveva e chi si dilettava nel giocare a carte.
Scrutai velocemente la folla ed incrociai lo sguardo di Hanji, che, dopo aver alzato un po’ il gomito, si ritrovò coinvolta in una violenta litigata.
Era diversa, una sorta di tristezza velata traspariva sul suo viso, il che mi preoccupò.
Mi sedetti e mi limitai ad osservare dall’angolo della stanza la situazione, avendo un particolare occhio di riguardo per Hanji.
Un po’ spaesato, mi avvicinai, ed ella mi notò prima del previsto e con enfasi esclamò:
“Levi! Cos’è quel muso lungo? Vieni qui!”, attirando l’attenzione di tutti i presenti.
Infastidito, mi trovai costretto a strattonarla per un braccio, era irremovibile.
“Ne ho abbastanza, quattrocchi di merda.”, le sussurrai, fece una espressione confusa.
La trascinai in camera, barcollava leggermente ed ogni tanto farfugliava frasi prive di senso.
“Prima di dire o fare cose di cui potresti pentirti, siediti, ne riparleremo domani mattina.”, dissi duramente.
Le mie parole non suscitarono alcuna reazione in lei, semplicemente, obbedì.
Le porsi dei vestiti più comodi e mi ringraziò, per poi addormentarsi poco dopo.
La coprii con un lenzuolo e, bevendo del the, la guardavo, seduto accanto la finestra, non potendo fare a meno di sospirare, ripensando alla situazione in cui mi trovai pochi istanti prima.
Mi sedetti sul divano accanto a lei, scostandole i capelli dal viso, le tolsi gli occhiali, che aveva dimenticato di togliere e le baciai piano la fronte, accarezzandole il viso.
Nel momento in cui chiusi gli occhi, iniziai, lentamente, a prendere sonno.
Passò qualche ora, la luce solare iniziò a filtrare flebile dalle tende color grigio pallido.
Mi alzai, tentando di fare il minor rumore possibile.
Hanji grondava di sudore, le lacrime sgorgavano a fiotti sul suo viso, però non aprì gli occhi, era visibilmente in preda ad un incubo.
Mi sdraiai nuovamente accanto a lei, stavolta osai, avvolgendo un braccio alla sua vita, nel tentativo di rassicurarla.
Le accarezzai i capelli ed il tremore passò.
Dopo un paio di minuti, il suo respiro si regolarizzò e le lacrime cessarono, così, decisi di lasciare la stanza.

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