7. PerCy jAckSon

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​– Percy?

Mi accorsi qualche secondo troppo tardi di stare ancora urlando, le mani premute sulle orecchie e le palpebre serrate davanti agli occhi. La sensazione della mano di Jason stretta sulla spalla era ancora tremendamente reale, nitida tra le percezioni confuse che mi sovrastavano.

Eppure quella voce la riconobbi. Insieme al mormorio delle onde. Il profumo del mare.

La gola bruciava quando mi imposi di tacere. Abbassai le braccia in un movimento incerto. La cosa più difficile fu riaprire gli occhi.

La luce del Sole, in tremule macchie dorate, danzò nel buio del mio sguardo. Mi ci volle un'immensa forza di volontà per spalancarli del tutto, e uno sforzo ancora più grande per mettere a fuoco.

Sotto le dita, sentii la sabbia calda accarezzarmi la pelle.

Un uomo con la barba scura, abbronzato, una discutibile camicia hawaiana addosso e dei fin troppo famigliari occhi verdi se ne stava in piedi davanti a me, sorridente e baciato dalla luce ambrata del tramonto.

Il mio sguardo ebbe un tremito, e per un momento mi chiesi se stessi sognando.

Ancora una volta, mi sorse il dubbio di averlo sempre fatto.

Esitante, con le gambe traballanti, mi levai in piedi sulla spiaggia friabile. L'oceano, all'orizzonte, sfumava in una distesa di luce.

Piegai leggermente la testa di lato.

– Papà? – farfugliai.

Poseidone sorrise benevolo. Il suo sguardo acquamarina scintillò d'oro come il mare che ci affiancava.

– Percy – si avvicinò di qualche passo, e le sue infradito affondarono nella battigia. Mi guardò negli occhi e il mio animo si contorse – Sono così felice di vederti – e, senza preavviso, si sporse verso di me e mi abbracciò.

Mi irrigidii e il fiato mi si mozzò in gola. Le narici vennero investite dal pungente odore salmastro delle acque, amplificato di un milione di volte, come se litri e litri di oceano mi si stessero riversando violentemente nelle vie respiratorie; il mio cuore iniziò a battere con vigore in bassi palpiti regolari, al ritmo delle onde infrante sulla spiaggia.

Il tempo si arrotolò su se stesso. Quella stretta parve durare un paio di decenni. Il resto del mondo scomparve. Ogni atomo del mio corpo lottava contemporaneamente contro la voglia di ricambiare l'abbraccio e quella di iniziare a urlare.

Il risultato? Me ne restai lì, immobile come una statua di sale, le vene che pulsavano in fronte.

Quando Poseidone si allontanò da me e mi rivolse un tiepido sorriso, dovevo avere una faccia simile a quella dell'urlo di Munch. Bianco come un cencio e gli occhi spiritati.

– Perché? – riuscii a rantolare, in un tono più sofferente di quanto volessi.

In risposta, mio padre scoppiò a ridere. Quella risata assomigliava al rombo vibrante di una potente tromba marina.

Mi scompigliò allegramente i capelli scuri con mani sporche di sabbia.

– Percy, cosa potremmo fare noi senza di te? – commentò quando la risata si fu placata – Cosa saremmo senza i tuoi interventi sui movimenti del mondo? Senza i tuoi giochi, le tue parole? Senza tutto ciò che sei?

Battei le palpebre, sempre più perplesso.

Il Sole, proprio in quel momento, si inabissò oltre il confine del cielo con un ultimo bagliore violaceo. Le fiamme di due torce incrociate.

Prigione di sogni [Percy Jackson] [Temporaneamente Sospesa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora