11. Nico di Angelo

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Due giorni prima


Anomalie.

La mia realtà era composta di questo.

Erano dettagli. Piccole macchie d'inchiostro sulla lastra candida del presente. Talmente insignificanti da poter sfiorare la suggestione. Eppure c'erano. Io riuscivo a notarle.

Saltavano all'occhio come particolari sbagliati. Piccole note dissonanti nella melodia millenaria della realtà...

Bastava che qualcuno, attorno a me, si perdesse per un attimo a guardare nel vuoto, lasciando un discorso incompiuto; che qualcun altro formulasse una frase priva di senso con occhi spiritati, per riscuotersi un secondo dopo con una risata forzata; che qualcun altro ancora si presentasse una mattina con addosso degli abiti diversi dal solito e poi strillare terrorizzato qualche ora dopo, domandandosi perché li avesse indossati...

Bastavano brevi e opachi lampi violacei che attraversano sguardi ignari... Bastavano pensieri distorti che si arricciavano nella mia mente esausta, nel cuore della notte...

Sogni intrecciati riempivano il buio, visioni che mi sembrava di cogliere solo in parte, come stessi sbirciando attraverso la serratura di un mondo più grande, ma al tempo stesso cintato. Qualcosa di fin troppo simile ad una prigione, dentro cui una forza oscura si dimenava in sibilanti vortici di magia. Ma non riuscivo a scorgere altro, era come annaspare nel buio, scontrarsi sulle pareti aride di migliaia di vicoli ciechi.

Si trattava di un universo estraneo, terribilmente distante, le cui dita artigliate si divertivano ad allungarsi oltre il foro della serratura e strappare di netto il tessuto del mio presente, per poi dileguarsi come spettri, strisciando nella propria gabbia.

Niente di tutto ciò sembrava avere un briciolo di senso... Ma, come ho detto, sembrava soltanto.

Parlarne con Will non era servito.

Aveva riso, mi aveva baciato, dato del simpatico paranoico. Ma lui non capiva. E, forse, avevo pensato mentre il ragazzo mi avvolgeva in un abbraccio affettuoso profumato d'estate, era meglio così.

– Lo senti anche tu, vero?

Trasalii violentemente, come colpito da un fulmine. La freccia che avevo incoccato mi scappò dalle dita, compiendo una traballante parabola nell'aria afosa di Long Island e mancando il bersaglio di parecchi metri, fino a conficcarsi scompostamente su una zolla di terra brulla.

Sbiancai, accertandomi con una repentina occhiata che Will fosse impegnato dall'altra parte del Campo di Tiro, a parlare con sua sorella Kayla, e non fosse stato spettatore del mio tiro disastroso. Solo poi, facendo scattare brutalmente il collo, mi voltai contrariato verso il mio compagno di piazzola.

L'arco di Clovis stava venendo usato come bastone d'appoggio, flesso pericolosamente mentre il suo proprietario ci addossava sopra tutto il suo peso e si contemplava svogliatamente le unghie.

I suoi capelli biondi erano tutti schiacciati da un lato e arruffati dall'altro, come se si fossero ormai adattati alla forma abituale per dormire, e i suoi occhi castano chiaro tremolavano di sbadigli trattenuti. Avevo la netta sensazione che qualcuno avesse dovuto trascinarlo a forza lontano dal proprio cuscino per costringerlo a impugnare l'arco, in vista della lezione del venerdì. Fino a quel momento mi stavo soltanto impegnando ad ignorare i suoi sospiri fiacchi, fingendo non esistesse. Non avevo lontanamente preso in considerazione l'idea che avrebbe deciso, dal nulla, di rompere il nostro silenzio da quasi totali estranei con una simile uscita, anche perché le nostre ultime interazioni erano state durante i miei viaggi da dormiente di più di un anno prima, quando lui ne aveva inconsciamente piegato più volte il corso.

Prigione di sogni [Percy Jackson] [Temporaneamente Sospesa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora