8. Annabeth Chase

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È impazzito.

Non riuscivo a pensare ad altro. Quell'unica locuzione mi rimbalzava su e giù per il cervello come una pallina tra le morse guizzanti di un flipper.

È impazzito.  Il mio ragazzo è impazzito.

Gli occhi lucidi di Sally mi scrutavano dall'altra parte del tavolo della cucina – il legno ancora increspato dalle bolle dovute all'allagamento – come se io potessi avere tutte le risposte; come se, in cuor suo, sperasse che io potessi spiegarle cosa fosse passato per la testa di quello schizzato di Percy.

Eppure questa volta non riuscivo a mettere a fuoco neanche un'ipotesi plausibile, nemmeno uno scenario papabile... eccetto, certo, il fatto che fosse ammattito. E tanto.

Paul si appoggiò al frigorifero con la spalla e incrociò le braccia con aria afflitta. Da che ero entrata in casa Jackson, non aveva ancora aperto bocca. Si era limitato a restarsene lì nell'angolo, scuro in volto e con l'aria provata.

Mi lanciò un'occhiata supplichevole, nella quale riconobbi la stessa speranza impressa nello sguardo di Sally.

Mi si strinse il cuore.

Sospirai lentamente e incrociai i miei occhi con quelli della donna.

– Non so cosa sia successo – esordii in fine, spostandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio in un gesto nervoso – Però non è la prima volta che Percy scompare nel nulla...

Un brivido mi attraversò al ricordo di cosa avevo provato l'ultima volta, quando Era lo aveva rapito e privato di memoria; quando il mio mondo aveva di nuovo tremato...

Scacciai quel pensiero scuotendo il capo. Mi rifiutavo di credere che fosse possibile un simile scenario. E poi, questa volta il ragazzo era saltato fuori dalla finestra di propria sponte, era fuggito volontariamente.

Non sapevo se questo mi rassicurasse o meno, ma, comunque fosse, il risultato con cambiava: il mio ragazzo era scomparso.

– Il fatto è che doveva essere molto sconvolto dopo l'incidente delle tubature – mormorò Sally, congiungendo le mani sul tavolo e iniziando a tormentarsi le dita – Molto sconvolto... Non è vero, Paul? – si voltò verso il marito, che annuì lentamente in un basso mugugno. La donna tornò a scrutarmi con sguardo disperato – Annabeth, deve essere successo qualcosa che l'ha costretto a scappare... Eppure lui... – si interruppe e si morse un labbro – Lui non se ne sarebbe mai andato senza una ragione... – appoggiò stancamente il viso su una mano, esausta. Le ombre sotto ai suoi occhi sembrarono affossarsi ancora di più.

Mi aveva raccontato di non aver dormito tutta la notte, intervallando il sistemare l'appartamento devastato e tentando di contattare qualcuno con i messaggi Iride; ma sembrava che Chirone fosse irrintracciabile e, al Campo, Connor e Travis Stoll erano stati svegliati alle tre del mattino per informazioni su Percy Jackson, ma nemmeno loro ne sapevano niente.

Qualche ora prima, Sally era tornata a casa dopo il suo corso serale di scrittura, trovando la casa allagata e Paul quasi in lacrime seduto sul letto fradicio di Percy; la porta della sua camera forzata dai cardini e la finestra spalancata che faceva entrare la pioggia.

Il ragazzo non aveva lasciato biglietti. Aveva preparato uno zaino (segno lasciato dall'armadio più in disordine del solito e la sparizione sospetta delle merendine sulla scrivania) ed era uscito. Sparito nella notte.

Mi strinsi nelle spalle, turbata.

– Non lo so – ammisi – Non ho idea di cosa possa essergli passato per la testa...

Paul mi guardò, accigliandosi appena.

– Non ti ha scritto messaggi? – chiese, aprendo bocca per la prima volta da almeno mezz'ora.

Lo fissai come se lo vedessi la prima volta, e qualcosa nella mia testa scattò.

E subito dopo mi diedi dell'idiota per non averci pensato prima. Ma a che cosa stavo pensando? Qualcosa mi disse che poteva c'entrare qualcosa con le ciliegie sciroppate in scatola, pluriball arcobaleno e forse anche finestre rombiche ricoperte di burro... ma quel pensiero era talmente assurdo che me ne liberai sbattendo le palpebre.

– Il cellulare – boccheggiai, portando istintivamente una mano alla piccola borsa che portavo a tracolla.

Io, Percy e qualcuno dei ragazzi che avevano una casa al di fuori dei Campi Giove e Mezzosangue avevamo deciso di acquistare dei cellulari di vecchia generazione senza connessione alla Rete né touchscreen, per le strette emergenze nelle quali non disponevamo di dracme d'oro. Il più delle volte lo tenevamo spento, per limitare al minimo l'aggressione di mostri, ma qualche volta poteva capitare di scambiarsi un SMS in caso di imprevisti non programmati.

Proprio il giorno prima mio padre aveva avuto un incidente in bicicletta e si era quasi rotto un polso. L'avevo dovuto accompagnare in pronto soccorso insieme alla mia matrigna e, quindi, avevo avvisato Percy che non sarei potuta venire al cinema con lui...

Ma poi, presa com'ero dall'insultare mentalmente il mio ragazzo e la sua pazzia e temendo possibili scenari apocalittici, quel dispositivo mi era totalmente sfuggito di mente.

Con le labbra strette e sotto gli sguardi sbigottiti dei coniugi Jackson e Stockfiss, lo estrassi dalla borsa e premetti il pulsante di accensione. Immediatamente lo schermo lampeggiò di verde e il telefono mi vibrò in mano. Un nuovo messaggio.

Sto andando al Campo. Mi dispiace.

Sgranai gli occhi mentre una serie di pesanti imprecazioni mi si affollavano in gola.

È impazzito, non potei fare a meno di pensare per l'ennesima volta, è uscito di testa.

– E perché al Campo non ne sanno niente? – domandò Sally con voce soffocata, sporgendosi per leggere il messaggio.

Aggrottai la fronte.

– Forse hai contattato le persone sbagliate.


Attraverso il tremulo ologramma multicolore, Nico si strinse nelle spalle, e un ciuffo di capelli scuri gli ricadde davanti agli occhi.

– Annabeth, non so che dirti – borbottò, spostando il peso da una gamba all'altra. Dietro di lui si scorgeva vagamente la parete tappezzata della Casa Grande – Adesso è molto occupato – lanciò un'occhiata fuoricampo e schioccò la lingua – E in realtà anche io.

Mi appoggiai al lavandino del bagno di casa Jackson e mi sporsi in avanti con fare minaccioso, lo sguardo che mandava scintille.

– Ascoltami, Di Angelo – scandii con ferocia – Dimmi che cosa sta facendo Percy e perché è lì! Non intendo ripetertelo un'altra volta!

Il ragazzo sbatté le palpebre.

– Tu mi fai paura – ammise dopo un istante – ma non intendo dirtelo; sarebbe troppo complicato e rischierei seriamente di beccarmi qualche insulto – fissò di nuovo un punto oltre la "telecamera" e aggrottò la fronte – Sì, Will, arrivo, un attimo! – tornò a guardarmi e arricciò le labbra in una sorta di broncio – Scusa, Chase, devo andare.

– Nico! – urlai indemoniata, prima che potesse chiudere la trasmissione – Che sta succedendo?!

Il ragazzo schioccò nuovamente la lingua e sospirò.

– Vieni a vedere tu stessa – e l'ologramma svanì.

Prigione di sogni [Percy Jackson] [Temporaneamente Sospesa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora