13. Will Solace

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Due giorni prima


Il caminetto della Casa Grande era spento.

Accadeva di rado, in realtà. Da che ricordassi, quelle confortanti fiamme dorate erano sempre rimaste vive e scoppiettanti nell'angolo del salone; una dorata luce danzante che ballonzolava nella costante e fumosa penombra. Il bagliore del caminetto era un appiglio, uno dei famigliari dettagli che, perfino nel caos, aveva sempre ammiccato verso di me con qualche tenue scintilla ambrata... anche solo con il pulsare ardente delle braci morenti, ma mai tenebre.

Adesso il caminetto era una voragine buia. La cenere giaceva scomposta in chiazze sparse, di un grigio spento e brutale, che mi fece stringere lo stomaco in una gelida morsa.

Davanti al divanetto su cui io e Nico eravamo seduti, due bicchieri di succo di frutta frizzante giacevano intatti. Le bollicine dardeggiavano in turbini distorti attraverso il vetro opaco.

Sulla sua sedia a rotelle, Chirone era ingobbito, le palpebre semichiuse. Se non lo conoscessi da anni, avrei potuto pensare si fosse appisolato; soltanto la linea severa delle labbra rivelava il suo essere perfettamente lucido, immerso in pensieri fin troppo cupi per essere espressi ad alta voce.

Dall'altra parte della stanza, però, il signor D dormiva davvero, la testa ciondoloni in avanti. Il silenzio era rotto dal suo ronfare sommesso.

Era come se le parole non dette aleggiassero nel semibuio, come spirali di fumo. Sentivo i muscoli ancora percorsi da violenti flussi di adrenalina, reduci di quando Nico era crollato privo di sensi sul prato del Campo di Tiro, poco prima.

La gola mi bruciava per l'urlo che avevo cacciato nel vederlo accasciarsi, mentre il peso del presente mi stritolava il cuore.

Lo sapevo meglio di chiunque altro: quel ragazzo era sempre stato strano. Era stata la sua stranezza a farmene innamorare, lo amavo per il suo essere meravigliosamente diverso... Eppure, nel corso delle ultime settimane, i momenti in cui si arrestava, scrutando il nulla, si erano spaventosamente moltiplicati. Le sue occhiaie, che non erano così profonde da mesi, erano tornate a inspessirsi, fino a trasformarsi in due conche vuote dentro cui i suoi occhi si perdevano.

A volte, semplicemente, non lo riconoscevo. Le parole che gli rotolavano fuori dalla bocca sembravano l'artificio di altri. Durante quegli attimi il suo sguardo si annebbiava, il volto divenuto spettrale; il calore e l'energia prosciugati come acqua sotto l'afa del deserto.

Quando, l'aria sperduta di un bambino, mi aveva confessato di stare facendo tremendamente fatica a dormire, di essere oppresso da singolari "anomalie" che costellavano le sue giornate... mi ero spaventato. Volevo solo che stesse bene. Volevo che smettesse di preoccuparsi per, sospettavo, delle fervide allucinazioni, frutto di una stanchezza asfissiante.

Non mi ero comportato da medico, lo sapevo; non avevo agito secondo chissà quale logica interna. Avevo paura per lui e, in parte, di lui, anche se non potevo ammetterlo. Gli avevo detto di dimenticarsi dei problemi che tormentavano il suo mondo; gli avevo sorriso, sperando che, così facendo, lui sarebbe tornato da me.

Avevo cocciutamente respinto la frazione razionale della mia mente, che, disperata, gridava di dar ascolto alla persona più importante della mia vita, di prenderlo per mano e aiutarlo a sistemare le cose... di far parte di quel mondo che mi stavo impegnando a respingere...

Ci era voluto tempo perché iniziassi a riflettere su quanto fossi stato io, allora, ad essere orridamente distante da me stesso. Troppo tempo.

E poi Nico era svenuto. Con lui, era crollata anche la mia precaria visione idilliaca dell'universo. L'illusione che mi ero costruito attorno si era frantumata in aguzze schegge di caos. Scuotendolo per le spalle, le lacrime agli occhi, dentro di me qualcosa era scattato, un ostinato ingranaggio che si accomoda nell'elaborato sistema che gli appartiene.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jun 20, 2023 ⏰

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Prigione di sogni [Percy Jackson] [Temporaneamente Sospesa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora