<<Benji tocca a te. Qual è la tua paura?>>
Bella domanda.
Un sorriso amaro li confuse visibilmente. Era davvero giusto rovinare la spensieratezza di quelle quattro chiacchiere tra amici? L'ingenuità delle loro risposte mi aveva colpita dritta al cuore, quasi erano riusciti a sfiorare il ridicolo: paura della tigri. Divertente! Come se vivessero tutti i giorni in una savana circondati da quelle bestie e non a Bologna, una città dove il pericolo più grande può essere la guida spericolata di qualche anziano che non ha più una vista formidabile. Cosa ne sanno loro di quella terribile sensazione che ogni fottuto giorno prova una ragazza. Loro che sono solo cinque amici che si divertono a postare video su internet per intrattenere le persone.
Forse avrei dovuto mentire dicendo qualcosa di banale anch'io. Forse avrei dovuto parlare della più classica delle fobie come quella che ho per gli insetti, di qualsiasi tipo, forma o dimensione, oppure di quella dell'altezza, o ancora dell'ansia che provo quando qualcuno che guida accanto a me accelera troppo. Forse mi sarei dovuta spingere a parlare di quelle paure che probabilmente ho solo io come la paura delle giostre, odiate dal profondo del mio cuore fin da bambina, o ancora il timore dei mimi di strada - la piccola me pensava che per mettersi a fare quelle cose dovevano per forza avere qualcosa che non andava. Ma era veramente giusto mentire? Forse ammetterlo ad alta voce ne avrebbe alleggerito il peso e io ne avevo un dannato bisogno.
<<Io ho paura di uscire di casa>> dissi tutto d'un fiato. Dallo sguardo interrogativo dei ragazzi capii che non avevano idea a cosa stessi facendo riferimento. Loro non conoscevano la paura che si prova nel prendere semplicemente un mezzo pubblico la mattina per andare a scuola o a lavoro, o di camminare in una strada isolata. Di quando istintivamente stringi forte qualche oggetto che hai sotto mano pronta ad usarlo come arma. Di quando hai paura di mettere una maglia o un pantalone troppo "provocanti" perché a quanto pare alcuni uomini non sanno tenerselo nei pantaloni. E allora ti copri sempre di più, ma a volte nemmeno quello basta. Di quelle volte che non ti staccano gli occhi da dosso, ti seguono se cerchi di allontanarti da loro, o aumentano il passo per raggiungerti se tu lo fai cercando di sfuggirgli, mentre nella testa speri solo che qualcuno lì ti corra in soccorso, intuisca la tua paura, venga a salvarti il prima possibile. Loro che li senti sempre attorno a te ad accerchiarti, sempre pronti a farti del male. Quei fischi, quei commenti, il clacson suonato quando passi, gli occhiolini, le mani troppo vicine lì dove non dovrebbero essere. Peggio di tutto quelli che sminuiscono ciò al suono di "voi donne sapete solo lamentarvi, anche se vi facciamo complimenti o apprezzamenti". E arrivi a quel punto in cui preferisci non uscire più di casa, quello che senti l'unico posto sicuro. E lo preferisci non perché di uscire non ti va veramente ma perché se nessuno salvaguarda la tua incolumità devi farlo da solo, e questo è l'unico modo. L'ultima spiaggia da raggiungere. Quindi sì: ho paura di uscire di casa, ma loro non avrebbero capito. Nessuno lo può capire se non lo prova sulla sua pelle. Questa è una sensazione che non augurerei mai a nessuno, nemmeno al mio peggior nemico. Nessuno lo merita. Solo questo dovrebbero capire.
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Closed eyes
Short StoryQuesta è una raccolta di one-shot vari dove esprimo i miei pensieri, le mie paure, i miei sogni, i miei desideri o semplicemente dove metto quelle storie troppo brevi per essere pubblicate sa sole. Quindi è proprio come fosse un'enorme scatolone dov...