Capitolo 18

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Isabella

"Isabella, qual buon vento".

Scherziamo? Vuole che lo uccida così, su due piedi? No perché, lo farei e di corsa anche! Ma con quale faccia tosta? Ma poi di che mi meraviglio? Davanti ho Alexander Moore, il più stupido uomo sulla faccia della terra.

"Cos'è? Ti metti a copiare le frasi ora? Sei così poco originale?"

Non aspetto il permesso, ed entro con lunghe falcate dentro l'appartamento.

"Bbbrr, la micetta oggi graffia".

Mi immobilizzo sul posto. Micetta? Seriamente?

Lascio divagare lo sguardo per tutto il salone. I colori predominanti della stanza sono il bianco e il nero. Divano nero, pareti bianche; tavolo bianco, tappeto nero.

"Che fantasia". Mi esprimo, consapevole che Alexander mi sta a neanche due passi di distanza.

"Sono d'accordo. Manca un tocco...come si dice? Ah si, femminile".

"Be, ogni tanto, quando una delle tue puttane viene a farti visita, potresti chiederle consiglio".

"Isabella, Isabella.. cosa sono queste parole sulla tua bocca? Non ti si addicono".

Mi siedo sul divano di pelle nera, e accavallo le gambe. Mi sono presentata con una minigonna di pelle rossa, e una camicetta nera trasparente. Gli occhi di Alexander si soffermano prima sul mio balconcino di pizzo, per poi scivolare giù sulle mie gambe e infine alle mie decolté nere con suola rossa. Lo vedo deglutire, e inizio con la mia prima mossa.

"Hai ragione. Hai proprio ragione. Di solito non sono così scurrile".

Continuo a guardarmi intorno, facendo ricadere la mia mano in mezzo alla scollatura. Appositamente.

"Come mai" inizia Alexander, tossicchiando, e direi anche... imbarazzato?, "come mai sei qui?".

"Sai cosa non mi si addice, Xander?"

Mi alzo dal divano, raggiungendolo. Ha il fiato corto e gli occhi sgranati. Anche così, con un labbro spaccato, la camicia sporca di sangue e aperta sul petto e senza scarpe, è una visione per gli occhi. Ma non sono venuta qui per questo. O almeno, non del tutto.

"Sono tutto orecchie". Pende dalle mie labbra.

Mi faccio sempre più vicina. Sento il suo respiro caldo sul mio collo, i suoi occhi non lasciano le mie labbra. Con una mano sfioro il contorno dei suoi zigomi, della sua mascella. Quasi mi perdo in quei tratti duri, precisi e decisi. Tratti di un uomo che dal primo giorno mi ha mandato il sangue al cervello. Riconoscerei gli occhi di Alexander ovunque. Osservandoli così, a primo impatto, possono risultare scuri, ma se guardi più attentamente puoi notare delle piccole pagliuzze di miele tutto intorno. Con il pollice arrivo alle sue labbra, sensuali. Sfrego il dito sul suo labbro inferiore, spaccato. Non so se sia dovuto alla lotta con David. Fatto sta che è fresco, così decido di curarlo.

"Dov'è la cassetta pronto soccorso?" sussurro, ad un palmo dalle sue labbra.

"Cosa?". Alexander si ridesta, non mettendo però distanza tra di noi.

"Voglio curarti le labbra".

Dopo pochi attimi, Alexander sparisce al piano di sopra, tornando in pochi secondi con la cassetta dove dentro trovo disinfettante e dischetti.

"Siediti qui", lo prendo per mano e lo intimo a sedersi sul divano. Lui lo fa, e appena si appoggia, prendo l'occorrente dalla cassetta, e mi siedo a cavalcioni su di lui.

Inizialmente è sorpreso. Piacevolmente, sorpreso. Sono posizionata sulle gambe di Alexander, e le sue mani mi circondano i fianchi per farmi stare più dritta. Mi guarda e lo guardo, e mi chiedo a che gioco stiamo giocando entrambi. Mi chiedo chi dei due vincerà.

"Ora metto un po' di disinfettante sulla ferita. Non frignare come una bambina, mi raccomando".

Alexander fa un mezzo sorriso, ma non parla, troppo impegnato a seguire ogni mio movimento.

Imbevo il dischetto di alcol disinfettante, e inizio a tastare sulla ferita, pulendola. Non muove un muscolo, credo che a malapena senta il mio tocco. Alzo lo sguardo sui suoi occhi. Sono famelici. Le pupille dilatate e il petto che va su e giù velocemente. Le mani, dapprima sui fianchi, iniziano a toccarmi le gambe. Accarezzandole. Alza di poco la gonna per avere maggior pelle da toccare. Devo contare fino a mille per non muovere il bacino, sfregandolo sulla sua erezione. Cerco di ricordarmi il motivo per cui sono venuta fin qui, ma mi è difficile. Il dischetto impregnato di disinfettante è ancora nella mia mano, ma l'attenzione non è più sulla ferita. Le mani di Alexander esplorano la parte bassa del mio corpo. I miei fianchi e le mie gambe subiscono il suo tocco, e brividi di eccitazione percorrono la spina dorsale, facendomi fremere. Lui se ne accorge, e aumenta l'intensità delle carezze. Mi prende il sedere, facendomi posizionare più avanti. Comincia a tastarlo, e un ghigno compiaciuto compare sul suo volto eccitato.

Sento il corpo duro di Alexander sotto al mio. Percepisco la mia eccitazione crescere insieme alla sua. I nostri respiri coordinati, le nostre pupille della stessa grandezza, le nostre mani l'uno sull'altro. Siamo dentro una bolla tutta nostra. Le mie orecchie sono ovattate. Nessun suono mi arriva, tranne quello dell'uomo che adesso è intento a baciarmi il collo. Baci sensuali, calmi, pacati, misurati. Niente di vorace o frettoloso. Si prende tutto il tempo per assaporarmi e io glielo lascio fare. Perché? Perché è dannatamente piacevole.

Inizio a farmi trasportare dal piacere. Il bacino, che prima avevo cercato di controllare, ora si muove di vita propria, sfregando su Alexander. Le sue mani sulle mie natiche mi danno una spinta in più, e i suoi mugolii sul mio collo mi avvampano le guance. Mi sento una ragazzina in preda agli ormoni, e la cosa mi fa sorridere impercettibilmente. Inizio a baciare la mandibola di Alexander, assaporando il suo sapore, sfregando il mio naso sulla barba ispida, quando tre parole, tre singole parole fanno breccia nel mio cuore, risvegliandomi.

"Ora sei mia". E il tono di voce non è romantico. Non è una dichiarazione d'amore. Il tono è vittorioso, di chi si sente la vittoria in tasca, di chi si sta portando il premio a casa o in questo caso, a letto.

Mi ridesto dalla mia eccitazione, cercando di non darlo a vedere. Come un tuono a ciel sereno, mi ricordo del motivo per cui sono venuta in questa casa, e attendo. Attendo che l'eccitazione di Alexander arrivi quasi al culmine, e sentendo la durezza lì sotto, non manca molto.

Ricomincio a baciarlo, stando ben attenta a non toccare le labbra, ma concentrandomi sul contorno. Guance, zigomi, mento, naso, fronte. Baci delicati e sensuali. I miei fianchi fanno il loro lavoro e l'eccitazione di Alexander aumenta di secondo in secondo. Capisco che ci siamo, quando la presa sul mio culo diventa ferrea, e lui inizia a muoversi. Vuole portarmi di sopra. Ed ecco, che metto in tavola la mia seconda mossa.

"Sai cosa non mi si addice, Xander?", richiedo con un tono che stento a riconoscere.

"Cosa?" mi risponde, con altrettanta voce arrocchita.

Prima di rispondere, mi concedo un ultimo assaggio della sua pelle. Un piccolo tocco di labbra. Stuzzico con la lingua una parte sensibile del collo, e quando Alexander è intento ad alzarsi per portarmi nel suo letto, il mio bacino si ferma. Le mie mani, posizionate prima sulle sue spalle, ora lo spingono lontano da me. Alexander apre gli occhi, incredulo, non capendo cosa io stia facendo. Mi alzo, sistemandomi la gonna e mi incammino dietro al divano. Lui rimane ancora seduto, con gli occhi dilatati e le mani aperte. Mi abbasso per parlargli all'orecchio, e infierisco la mia terza, ed ultima mossa.

"Non mi si addice un'incazzatura subito dopo aver fatto il miglior sesso della mia vita. Bada a non interrompermi più, la prossima volta".

Game, set, match. Over.

Non attendo risposta. Vado verso la porta, e do un ultimo sguardo all'uomo che fino a due minuti fa mi stava regalando un orgasmo a cinque stelle, con sopra ancora i vestiti. È fermo nella stessa posizione di prima. Non muove neanche la testa. Il collo e la mandibola sono contratti e le mani, prima aperte, ora sono chiuse in pugni. Tempo cinque secondi per assimilare il tutto, e scoppierà.

Mi fiondo fuori dall'attico. Entro in macchina e accendo. Il motore della mia Lamborghini però, non copre l'urlo di Alexander e il suono di un vetro che si infrange.

Quarta regola dell'esser capo: mai andare a letto con il nemico.

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