Capitolo 29

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Alexander

Dimitri mi fa entrare nell'ufficio di Isabella. Sul suo volto leggo la solita espressione adirata e gelosa. Non vorrei essere nei suoi panni. Innamorarsi del capo e soprattutto, di una donna che non ricambierà mai i tuoi sentimenti. Destino crudele.

"Togliti quel ghigno dal viso se non vuoi che ti colpisca".

"E tu quella faccia da funerale".

Non gli lascio il tempo di rispondere, richiudendomi la porta alle spalle.

"Buonasera", mi saluta la donna.

"Buonasera" rispondo, sedendomi sulla poltroncina prima di intercettare il suo viso.
Si alza.

Mi soffermo sul suo corpo e per poco non mi strozzo con la mia stessa saliva. Non è vestita come al solito nei suoi abiti eleganti o casual, tutt'altro. Indossa un vestitino di raso rosso fuoco, con una profonda scollatura sul davanti che le arriva poco dopo l'inguine. I tacchi alti argentati le slanciano le cosce lunghe e toniche. Una collana ricoperta di piccoli diamanti le contorna il collo elegante, facendo soffermare gli occhi sulle sue clavicole nude. I capelli sciolti e morbidi cascano per tutta la schiena che scopro scoperta.

"Facciamo in fretta, ho da fare".

Ha da fare? Come, prego?

"Posso immaginare".

La mia stizza è tanta. Milioni di domande mi centrifugano nella testa. Cosa deve fare? Dove deve andare? Chi deve vedere? Perché si è conciata così? Per chi si è vestita così?

"Alexander, tutto bene? Sei un po'..rosso".

Mi deride con sfacciataggine e la cosa mi fa imbestialire ancora di più. Se il suo intento è quello di portarmi a prenderla e sbatterla contro il muro, ci sta riuscendo alla grande.

"Sarà il riflesso di quello straccetto che indossi", riesco a rispondere, puntando ai suoi occhi.

Una scintilla di divertimento le balena sul viso. Rotea il corpo, facendo una giravolta sotto i miei occhi.

"Straccetto? È costato quanto la tua macchina. Non lo chiamerei così".

"E dov'è che dovresti andare?".
Percepisco io stesso il mio tono di voce contrariato, ma non sono riuscito a camuffarlo.

"Non sono affari che ti riguardano".

Finalmente si siede, anche se il suo davanzale è ancora in bella mostra.
Prima che possa intavolare la questione "affare", mi lascio andare ad una constatazione.

"Eppure ci siamo baciati".

Le guance le si arrossiscono giusto un po', ma abbastanza per capire che il nostro bacio non le è indifferente.

"Debolezza momentanea".

Cerca di darsi un contegno. Lo so. Lo vedo. Le mani tremano leggermente e la bocca si dischiude come ricordo di ciò che abbiamo fatto.

"È così che la chiami la voglia di farmi tuo?".

Senza freni. Questo mi sono messo in testa da quando sono entrato. Essere senza freni. Giocare tutte le mie carte.

"La voglia di farti mio? Parli come se te ne importasse".

"Isabella, non minimizzarti così".

"Dico come stanno le cose".

"Pensi che io non lo voglia?"

"Cosa?"

"Farti mia".

"Non mi importa cosa vuoi o non vuoi".

"Non prendere in giro la mia intelligenza".

"Tu non prendere in giro il mio cuore".

Urla. E son certo che non avrebbe voluto dirlo, ma ormai il dado è stato tratto. Ora le sue guance sono porpora e il respiro sempre più insistente.

Non penso.
Mi alzo, prendendo il suo braccio e trascinandola dalla mia parte. Il tempo di guardarla un'ultima volta negli occhi e la bacio.
La bacio come avrei voluto fare dall'ultima volta. La bacio come fosse mia. La bacio come se io appartenessi a lei e lei appartenesse a me.

La bacio, lasciandoci l'ultimo neurone su quelle labbra.

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