Capitolo 39

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Alexander

"Eros!", chiamo mio fratello.

"Eros!", urlo ancora più forte.

Il terrore che li possa essere successo qualcosa, mi imbalsama i muscoli.

"È andato via e dovresti farlo anche tu se non vuoi che ti uccida", sibila Astrid.

Isabella, sentite queste parole, alza la testa.

"Astrid, che stai dicendo?".

Quest'ultima si alza. Ha il volto rigato di lacrime e le si scorgono per bene tutte le emozioni che sta provando. Rabbia, dolore, terrore, delusione.

"Glielo vuoi dire tu o glielo dico io?".
Si avvicina sempre di più a me. 

Persefone prende la mano di Isabella e la guarda dispiaciuta.

"Qualcuno mi può spiegare cosa sta succedendo?".

Prima che possa aprire bocca, Astrid mi punta la pistola sulla tempia.
Ora sul suo viso aleggia una sola emozione: la vendetta.

"Astrid abbassa quella pistola", grida Isabella. Fa per alzarsi ma non ci riesce. È debole.

"Il tuo caro Alexander, sorella, e il resto dei fratelli Moore, hanno fatto un accordo non solo con tutti i nostri soci, ma anche con la mafia italiana".

Astrid mi gira intorno come un serpente con la preda.
Ad ogni parola che esce dalla sua bocca, è un pugno allo stomaco. I miei occhi puntano su Isabella. Il suo bellissimo viso è ricolmo di lacrime. Il trucco sbavato e alcune chiazze di sangue sulle guance.
Non parla. A malapena, respira.
Più Astrid racconta di tutto quello che ho fatto, più la mia donna si accascia per terra. Mi guarda per tutto il tempo senza dire una parola, ma le sue lacrime parlano per lei. I suoi occhi mi giudicano per quello che le sto facendo.

"Quando I Papaveri sono entrati uccidendo tutti i nostri uomini, hanno riconosciuto Eros. Abbiamo tentato di difenderci, e mentre loro ci riconcorrevano, parlavano di come i Moore avessero giocato alle nostre spalle e che soprattutto il capo stesse manipolando nostra sorella".

Vorrei dire alla donna che mi punta la pistola sulla testa di tacere, perché sta uccidendo sua sorella. Ma l'amaro in bocca mi dice che sta solo raccontando ciò che io ho fatto.

"Tutto è peggiorato quando hanno minacciato di ucciderti, Isabella. Lì Odette ha tentato di strangolare l'uomo che urlava che tu saresti stata la prossima, ma non ci è riuscita. L'hanno imbavagliata e portata via. Non potevamo raggiungerla, eravamo troppo impegnate a rispondere ai contraccolpi".

Persefone cerca di sorreggere Isabella. È bianca e non ha le forze per restare in piedi. Istintivamente mi muovo per andare da lei, ma la canna della pistola mi ferma.
Astrid mi si fa più vicina e piantando le sue labbra vicino al mio orecchio, sussurra parole piene di veleno.

"Non sarò io a ucciderti, spetta a mia sorella e quando accadrà, pregherai di non essere morto per mano mia".
Finalmente abbassa la pistola, per poi raggiungere le altre.

"Ah e Alexander" si volta concedendomi un ultimo sguardo,"avvisa anche i tuoi fratelli, che sono morti".

Fanno leva sulle loro gambe per alzare la mia tigre, la mia leonessa, la ragione del mio cuore.
Ha il volto abbassato, martoriato dal dolore e dalle lacrime. Non intercetta neanche per un secondo il mio sgiardo.
Sono fermo, in mezzo al corpo dei suoi uomini, mentre lei se ne va.
Mi volta le spalle, e se ne va.

Solo dopo aver varcato la porta d'ingresso, sento le sue urla di dolore.
Cerco di camminare per il vialetto ma la voce spezzata della mia Isabella mi fa cadere in ginocchio.
Urla il nome di Odette. Grida il nome di Dimitri. Invoca suo padre e sua madre e mai una volta, nomina me.
Non so per quanto tempo resto qui fuori.
So solo che ad ogni urlo disumano che esce dal suo petto, una lacrima mi riga il viso.

Ho perso per sempre la parte migliore di me.

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