Capitolo 25

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Alexander

Seduto nell'ufficio di Isabella, attendo il suo ritorno.
Dimitri mi ha informato che è occupata in una transazione che sta causando problemi e che ci vuole un po' di tempo.
Per ingannare l'attesa, vago con lo sguardo per tutta la stanza.
L'omone è dietro le mie spalle. Non mi ha lasciato solo un minuto e son quasi sicuro che sia per ordine di Isabella. Ma mi sta bene così.

I miei occhi si soffermano su di un quadro in particolare. È raffigurata l'intera famiglia Rodriguez. Le figlie sono già grandi, quindi deve essere piuttosto recente.

"Quando è stata scattata questa foto?", chiedo a Dimitri, alzandomi dalla mia sedia.
Lui si fa più vicino, affiancandomi.

"Qualche mese prima della scomparsa dei coniugi Rodriguez".

Osservo la foto, notando l'amore e il potere che emana.
Il capo famiglia, Alvaro Rodriguez, è il primo a sinistra. Vestito elegante e con sguardo fiero, cinge la vita della moglie, Carla. Era una donna bellissima. Le figlie le somigliano molto. Sguardo gelido e tratti delicati. Corpo longilineo e curve al posto giusto. Non si direbbe una donna di una certa età.
I miei occhi si spostano, arrivando ad Isabella, che è al centro della foto.
Nonostante sia identica a sua madre, ha gli occhi di suo padre. Guarda dritta all'obiettivo, spaccandolo. Un leggero sorriso su quel viso dipinto. I capelli sciolti, mossi un po' dal vento e il vestito lungo e bianco, di seta. Non passo altrove, rimango fermo su di lei. Lei, che riesce a ipnotizzarti anche tramite una foto.
Dimitri segue il mio sguardo, posando i suoi occhi sulla figura di Isabella.

"Fa a tutti lo stesso effetto".

Non rispondo.

"Chiunque entri in questo ufficio, quando visiona questo quadro, si ferma su Isabella. È come se emanasse luce e potere allo stesso modo".

La sua voce è bassa e roca. Il fiato corto.
Decido di risedermi. Le mie mani ora sono strette a pugno e la mia mandibola scatta come una molla.

"Lei lo sa?", gli domando.

Dimitri si volta nella mia direzione, aggrottando le sopracciglia.

"Sa, cosa?".

Lascio una gelida pausa di silenzio, prima di fargli la domanda da mille punti.

"Che sei innamorato di lei".

Prende un gran respiro e alza le spalle, come fosse stato colpito. Gli occhi si assottigliano e la linea della labbra si fa dura. Ho fatto centro.

"Non dire idiozie".

Ora non mi guarda più e con passo pesante ritorna alla sua postazione, davanti alla porta.

"L'ho notato alla serata di inaugurazione del Lux. Come la mano era posata sulla sua schiena, lo sguardo di amore che le lanciavi.. Ma la prova del nove è stata quando ha ballato con me e tu mi hai ucciso con gli occhi".

Ho un sorrisetto per tutto il tempo e son sicuro che lui sarebbe più che felice di togliermelo ma, sa che non può toccarmi neanche con un dito.

"Ho visto crescere tutte le sorelle Rodriguez e ad ognuna di loro sono particolarmente legato. Sono come uno zio. Niente di più e niente di meno".

"Be, l'età per essere loro zio ce l'hai".

Si, mi sto divertendo da matti.
Lui non controbatte, ma non serve. Ho già avuto la mia conferma. Vuole bene a tutte, ma ama Isabella.

Rimaniamo in silenzio per un quarto d'ora altro, poi la padrona di casa entra nella stanza con aria trafelata.

"Ciao Alexander, scusami se ti ho fatto attendere", mi saluta sedendosi sulla sua poltrona e concedendomi solo un sorriso. Sta mantenendo le distanze. Perché?

"Nessun problema. Ho usato questo tempo per fare amicizia con Dimitri" rispondo, allegro.
Lei passa lo sguardo da me a lui, per poi soffermarsi sulle carte posizionate sulla scrivania.

"Immagino. Comunque, ti ho convocato perché vorrei parlare con te di un affare importante".

Mi sistemo meglio sulla sedia.

"Sono tutto orecchie".

Finalmente Isabella alza lo sguardo e mi guarda negli occhi. È diversa. Non esteriormente. È sempre bellissima e il suo volto è un capolavoro, ma scorgo nei suoi occhi qualcosa di strano, anonimo, sconosciuto.
Non vedo fuoco o quant'altro. I suoi lineamenti sono duri e la fronte corrucciata. È pensierosa, anzi, preoccupata. Qualcosa non sta andando. Qualcosa di importante.
Prima che possa parlare, le prendo la mano che è adagiata sulla scrivania e la stringo forte.

"Che cazzo sta succedendo".

I suoi occhi vitrei, incatenati ai miei, non presagiscono nulla di buono.

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