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All'università, quella mattina, si respirava un clima differente, un clima davvero pesante e a tratti soffocante: sembrava fosse successo qualcosa di eclatante perché molti gruppi di universitari ridevano, bisbigliavano e controllavano i propri cellulari con una frenesia quasi eccessiva. Era successo sicuramente qualcosa, ma di cui lui non sapeva nulla. Jimin strinse la cinghia della sua borsa e proseguì il suo cammino all'interno della struttura, non dando retta a quei fastidiosissimi ciarlatani e rassicurandosi con il fatto che Jeongguk fosse già arrivato: la sua moto parcheggiata al solito posto ne era la testimonianza più certa.

Fece ancora qualche altro passo e il volto sfigurato di un ragazzo seduto sulle scale, circondato da altri quattro, captò tutta la sua attenzione. Si avvicinò per vedere cosa stesse accadendo e immediatamente il suo cuore acquistò un ritmo incontrollato. L'ansia iniziò a divorarlo: era lo stesso ragazzo con il quale Jeongguk aveva litigato un paio di settimane prima per difendere un collega vittima dei suoi soprusi. Aveva le nocche terribilmente arrossate e un viso al quale Jimin non volle neanche dare un'occhiata.

«Che è successo?» provò a chiedere coraggiosamente.

«Ha regolato i conti con Jeon.» gli rispose uno dei quattro con un sorriso talmente cinico che Jimin sentì il suo stomaco rivoltarsi di colpo. Che diavolo era tutta quella violenza? Una specie di legge interna a quell'istituto? E poi perché nessuno era intervenuto? Era inorridito e anche arrabbiato, ma in quel momento aveva altro a cui pensare.

Jeon.

Doveva cercare Jeon.

E l'unico posto doveva poteva essersi rinchiuso non era di certo un'aula, ma più probabilmente il bagno dei ragazzi visto che a prima ora – solitamente – non c'era mai nessuno. Lo raggiunse di corsa, correndo incontro ad una delle cause per cui era di nuovo scombussolato, con il cuore in gola e gli occhi sbarrati ma vigili su tutto ciò che lo circondava. Era preoccupato e angosciato e non poteva negarlo.

Arrivato a destinazione, dietro la porta del bagno, Jimin udì più di una voce e ciò voleva dire che il moro non era solo all'interno di quella lurida stanza. Ma in ogni caso decise di entrare e se la situazione fosse stata un'altra, cioè se non avesse saputo quello che era successo, lui l'avrebbe sicuramente fraintesa: Jeongguk era davvero lì dentro, a torso nudo e con le mani strette intorno al lavabo, mentre un ragazzo premeva una busta di ghiaccio contro la parte bassa della sua schiena.

Park era certo che si trattasse di colui che Jeon aveva difeso quella volta perché ricordava alcuni dei suoi tratti, nonostante lo avesse visto soltanto di sfuggita. Un ragazzo più o meno della sua stessa altezza e costituzione, che possedeva una chioma castana e ondulata e uno sguardo chiaro e gentile come il suo sorriso. Ma Jimin non riusciva a dargli fiducia perché l'aura di innocenza che emanava il suo atteggiamento non era naturale. C'era qualcosa di strano sotto.
E poi non faceva altro che toccare Jeongguk, approfittandosene della sua condizione, e questo dettaglio iniziava ad innervosirlo e non poco.

Si schiarì la voce e i due finalmente si voltarono verso di lui.

«Puoi uscire?» chiese al giovane di cui non desiderava conoscere nemmeno il nome, e lo fece cercando di risultare il più cortese possibile.

Ma missione fallita.

Il ragazzo lo guardò con malavoglia.

«Dici a me?»

Jimin roteò i propri occhi.

«Sì, dico a te. A lui ci penserò io, sta' tranquillo.» gli sorrise, indicandogli l'uscita, dove il ragazzo si fermò per rivolgersi ancora una volta in direzione di Jeongguk.

«Mandami un messaggio più tardi. Vorrò sapere come stai.»

«Va bene, Jihyun e ancora grazie tante per il tuo aiuto.»

𝑩𝒐𝒓𝒏 𝑻𝒐 𝑾𝒊𝒏 | 국민 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora