𝐺𝑅𝐴𝐶𝐸☾

40 5 0
                                    




"Lontano dall'assordante ronzio dei pensieri,
negli infiniti spazi
verso ogni più remoto orizzonte.
Lì trovo salvezza
nel mezzo della solitudine,
dove tutto tace e la quiete tempesta"

Delicatamente imprimo i miei appunti accarezzando con le dita lentamente per non far sbavare l'inchiostro fresco sulle morbide pagine dove conservo le mie note segretamente. Da quando ne ho memoria sento il bisogno di rifugiare nelle parole i miei pensieri più intimi dedicandomi alla poesia. È una valvola di sfogo ma aiuta anche nei momenti di massima tranquillità, o quando si è talmente abbattuti da non saper dove trovare appiglio. Mi piace immaginare di poter vivere all'insegna della felicità, che il mondo sia un posto sicuro, spingermi quanto più in là possibile e scovare numerose realtà, sfortunatamente la mia natura me lo impedisce e non c'è cosa più straziante del doversi sforzare ad accettare qualcosa che va contro la propria volontà. Come essere incatenata a qualcosa di apparentemente invisibile ma molto forte. Per la gente è facile giudicare un libro dalla copertina, dando per scontato che le persone non sono oggetti, cose immateriali. Se posso correggermi, nemmeno gli oggetti sono semplicemente tali. Esempio lampante è questo vecchio e mal ridotto diario che reggo fra le mani. Qual è il suo valore? Un ammasso di pagine annotate, tante altrettanto bianche e strappate. Eppure lo sto stringendo forte e saldo, ignara a prima vista dell'immensità di significati che vi si possono celare all'interno: emozioni, sentimenti, battaglie. Battaglie personali, le più complicate con cui convivere. Ed è per questo che di tanto in tanto ritaglio un po' di tempo per gestire la pressione, a modo mio e nel posto più confortante del pianeta. Sin da piccola era abitudine andare con i miei genitori a far "visita agli uccellini del bosco" e sono rimasta talmente legata a questo ricordo che basta un secondo per ritrovarmi esattamente nello stesso luogo a contemplare il rumore delle cascate e il fruscio degli alberi. Dimentico tutto. Cosa sono, perché lo sono, come faccio, ma soprattutto: da cosa scappo. Da mille cose, ma principalmente dalla realtà.
Mi chiamo Grace, ho 17 anni e sono un licantropo. Aggiungerei *contro il mio volere. Nel mito o nella leggenda, esistono tante storie sui licantropi che risaltano il loro essere creature forti e affascinanti tanto da suscitare stupore in chi sostiene che "𝘥𝘦𝘷'𝘦𝘴𝘴𝘦𝘳𝘦 𝘧𝘪𝘨𝘰 𝘦𝘴𝘴𝘦𝘳𝘦 𝘶𝘯𝘢 𝘤𝘳𝘦𝘢𝘵𝘶𝘳𝘢 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘯𝘰𝘵𝘵𝘦". Non se tutto ciò comporta sbalzi d'umore improvvisi e la totale contorsione di tutte e 206 ossa corporee per essere infine ricoperta di peli ovunque e andare in giro rischiando di imbatterti in qualcos'altro, o peggio essere accecato dall'istinto e dalla fame ferendo innocenti del tutto innocui. Tuttavia come una litania ripeto che è nella mia natura, che per quanto possa essere contraria il non accettarlo non cambierà assolutamente nulla, così metto la testa in pace e provo a buttare giù parole. Scrivere è terapeutico, farlo circondata dal verde di più. È d'ispirazione. Grace, difatti, è stato involontariamente scelto da me in persona. Mia madre dice sempre che da piccola lei ed io ci addentravamo spesso nella foresta e ogni volta rimanevo indietro ad osservare una pianta, continus grace. Si distingueva con le singolari foglie rosso carminio e per la lucentezza con cui la luce naturale vi si rifletteva. Richiama la natura, la nostra casa, e sono molto riconoscente di portare il nome di uno dei suoi frutti.  Significa "bellezza" "leggiadria" cosa che allora le piacque parecchio, "Ti rappresenta in quanto a semplicità" ed ammetto che è vero, mi si addice. 'Semplice' e riconducibile a estremamente riservata. Mia madre è un ammasso di energia e tenacia, audace e dalle mille risorse. Le risulta difficile non integrarsi con l'ambiente che la circonda. Quanto a me...l'opposto. Sono un'introversa estroversa e molto curiosa ma molti preferiscono affibbiarmi il ruolo della strana per i paroloni che uso o 'asociale' per l'agire diversamente dalle mie coetanee, ma non vuol dire che ciò sia un fattore da discriminare. È un modo differente di fare le cose, vedere il mondo a modo per come la vedo io. Ma la gente reputa la diversità una cosa negativa, prova timore e non si sofferma a pensare su quanto di nuovo si possa ricavare da essa, d'altronde accettare il prossimo è la chiave per andare in sintonia con sé stessi prima di chiunque altro. Qualche volta è capitato che mi lasciassi completamente abbattere, distruggere all'idea di poter essere sbagliata, di essere il problema ed è umano persino per una non-del-tutto-umana come me, ho un corpo e una mente su cui far ricadere tutto l'impatto che reputo spossante per la mia età. Perciò nonostante le avversità ho provato a voltare pagina e conquistare mano a mano la mia fiducia tentando di rendere fiera la persona che sono e mi è bastato al punto tale da discostarmi dai giudizi altrui. Riconosco di non rispecchiare canoni, gli ideali o gli obiettivi che facevano dalle voci altrui un'aggravante su di me ma pensandoci non posso negare che la situazione mi conforti, poiché mi basta. Mi basta e mi avanza perché io mi piaccio abbastanza da non farmi influenzare da chi parla senza conoscere. Ce n'è voluto di tempo per far sì che imparassi ad avvolgere quella testarda ma altrettanto debole quanto determinata me dai mille complessi e non ne avrò mai abbastanza. Probabilmente l'accettazione è un lavoro che richiede una vita o forse quel che ci resta, quel che siamo in grado di afferrare. E al capolinea riuscirò a guardare allo specchio abbracciando con gli occhi le sinuosità del mio corpo, le curve e i lineamenti che mi caratterizzano, profonde ferite e segni incisi dal tempo e quella strana voglia sul dorso ancora irrisolta. Non sono mai riuscita a capire come abbia potuto procurarmela, non c'era alla mia nascita o qualcuno se ne sarebbe accorto. Apparsa dal nulla e presumo che lì resterà, insieme a tutte le esperienze superate nel corso degli anni o gli anni passati nel corso delle esperienze. "Il tempo cura ogni ferita" ma noi dobbiamo dargli una mano.  Più spesso che volentieri non esistono giudici in grado di compiere un lavoro meglio di noi stessi, al quel punto ci infliggiamo delle pene e solo dopo il processo ci pentiamo di tutte le colpe che ci siamo addossati senza neanche rendercene conto.

L'altra metà della mezzalunaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora