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«Smettila di fregarmi i donuts. Hai i tuoi» dico ridendo mentre colpisco la mano di James che cerca in tutti i modi di avvicinarsi al mio vassoio.

Siamo qui dentro da circa un'ora e ho scoperto che James è davvero un ragazzo simpatico e solare dietro la maschera da duro ragazzo.

«Ma i tuoi sono più buoni»

«Bugiardo»

«Smettetela di fare i bambini e finite questa maledetta colazione». Cameron interrompe la nostra "litigata" rivolgendoci uno sguardo di pura irritazione.

In realtà è da un po' che ci fissa con quello sguardo da stronzo patentato ma ho fatto finta di niente. La sua irritazione può benissimo ficcarsela dove non batte il sole. Non stavamo facendo nulla di male.

Purtroppo però James non è della mia stessa opinione. Dopo l'interruzione, ha smesso immediatamente di ridere e si è messo composto sulla sua sedia. Ora sono io quella irritata.

Decido di comportarmi come lui: lascio il donut sul vassoio, facendo sparire il sorriso dalla faccia, e avvicino la schiena allo schienale della sedia. Poi però...

«Guastafeste» mormoro tra un colpo di tosse e l'altro, provocando una risata da parte di James.

«Come scusa?» risponde Cameron ancora più irritato.

«Ho appena detto guastafeste» e questa volta alzo la voce per farmi sentire.

«Non ti conviene provocarmi ragazzina»

«Invece ti provoco quanto mi pare e piace. Ci stavamo solamente divertendo. Se non è di tuo gradimento, puoi benissimo alzarti e sparire» dico con sfrontatezza.

Gli occhi di Cameron si aprono per la meraviglia. «Chi ti credi di essere?»

«Una ragazza che ti ha appena messo al tuo posto amico» risponde ridendo Bryan e dando una pacca sulla sua spalla. «Cavolo ragazza, ora non mi sei più tanto antipatica»

Io, fiera, afferro il donut di prima e lo addento mentre non sposto i miei occhi da quelli di Cameron neanche per un secondo con aria di sfida.

«Quando hai finito di fare la rompi-palle, esci» mi ordina per poi alzarsi dalla sedia e sparire.

Nell'esatto momento in cui lo fa, Bryan si avvicina a me con un ghigno malefico. James, che sembra aver capito le sue intenzioni, lo guarda in cagnesco ma, prima che possa fare qualcosa, mi alzo velocemente dalla sedia, lascio dei soldi per pagare la mia parte di colazione ed esco dal locale.

Mi guardo intorno per cercare quella testa calda e lo trovo seduto su una panchina, con le spalle strette tra loro e una sigaretta sulle labbra. Mi chiedo per quale motivo abbia reagito così. Infondo quello che gli ho detto, seppur con tono seccato, è la verità: ci stavamo solamente divertendo. Ed odio ammettere che mi stavo trovando benissimo.

Lentamente mi avvicino alla panchina per affiancarlo e, come se avesse sentito la mia presenza, si gira di scatto, squadrandomi con i suoi occhi glaciali. Mi siedo piano rimanendo incatenata al suo sguardo.

«Sono qui» dico interrompendo il silenzio che si era creato, ricordandomi delle sue parole.

Come svegliato dal suo trance, sposta lo sguardo verso il parcheggio e continua indisturbato a fumare la sua sigaretta. Appena finisce, si alza, si sistema la giacca e poi con un cenno della testa mi intima di seguirlo.

«Dove stiamo andando?» chiedo alzandomi. Ma perché lo sto ancora seguendo?

«Ti riporto a casa». Come scusa?!

Il Figlio Del Diavolo (NON CONCLUSA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora