𝙲𝚊𝚙𝚒𝚝𝚘𝚕𝚘 𝟷

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Il sole filtrava dalla finestra.
I suoi raggi baciavano il puro viso di un ragazzo di 16 anni dai capelli verdi.
Poco dopo aprì gli occhi, sentendo la porta aprirsi e la figura della cameriera farsi largo nella sua camera portando i suoi vestiti.

Quella donnina un po' bassetta e paffutella si trovava lì da quando si erano diffuse le leggi razziali di Hitler.

Molti ebrei erano stati deportati nei campi di concentramento, e alcuni venivano usati come camerieri o meglio schiavi, come pensava lui, che cosa disgustosa. Peccato che non poteva esporre i suoi pensieri apertamente, oppure avrebbe fatto la loro stessa fine, si sentiva un egoista, ma almeno era ancora vivo.

"Giorno" disse alla donna con un sorriso cordiale, forse era l'unico a comportarsi in quel modo gentile con lei, e lo si poteva dedurre dall'espressione smarrita che gli mostrava ogni volta.

"Buongiorno a lei signorino" rispose pacatamente, come suo solito, per poi uscire dalla stanza.

Avrebbe voluto dirle di non chiamarlo in modo così formale, ma sapeva cosa succedeva agli ebrei che non portavano rispetto ai propri "padroni", e quella donna non si meritava quel lurido trattamento, come tutti quelli "diversi".

Dopo essersi alzato e vestito uscì dalla sua camera incamminandosi verso il salone dove lo aspettavano i suoi genitori per la colazione.
Suo padre era seduto a capotavola, mentre leggeva un giornale con le notizie del giorno, che ormai riguardavano soprattutto la politica, e sorseggiava una tazza di caffè caldo; lui era un uomo distinto e serio, rispettoso delle regole ed estremamente duro.

Accanto a lui c'era sua madre, un tempo, prima di conoscere suo padre, era una donna gentile ed educata, ma l'influenza del marito l'aveva cambiata facendola diventare un po' sgarbata. Lui si mise accanto al padre, dove si trovava il piatto con la sua colazione; iniziò a mangiare in silenzio.

"Lurida feccia" disse suo padre digrignando i denti.

"Oggi sono stati deportati almeno 2.000 ebrei, il nostro paese è infestato da questa gentaccia, la nostra rovina, devono morire tutti" il tono di voce del padre era duro e seccato, Izuku l'odiava, si, così si chiamava il ragazzo, Izuku Midoriya, figlio di uno dei più importanti borghesi.

Lui proprio non capiva quell'uomo, perché doveva parlare in quel modo di persone che nemmeno conosceva, esisteva pure un detto, non si giudica un libro dalla copertina, ormai peró non si guardava più il contenuto, era l'aspetto esteriore a fare la differenza.

Dopo aver girato pagina continuò a parlare
"Per non parlare di quei vagabondi che trovi per strada, oppure di quelli effeminati, le famiglie dovrebbero provare vergogna verso di loro.
Tu non sarai mai così figlio mio, diventerai un uomo forte e sposerai una bella donna, proprio come me" Izuku voleva scappare, da quella tavola, da quella vita, preferiva vivere nella povertá, ma conducendo una vita giusta, ma non poteva, doveva obbedire, rispondere come da protocollo.

"Certo" rispose solamente, l'aveva quasi sussurrata quella risposta.

Dopo aver mangiato si diresse verso scuola. Un tempo gli piaceva passeggiare per le strade canticchiando, e se gli capitava comprare anche un libro, adesso invece era tutto diverso; tra le strade si aggiravano i soldati in cerca di ebrei o qualcun'altro da deportare, i negozi erano chiusi, il cielo grigio, tutto era così monotono e triste, quando sarebbe finita quella vita?

𝗔𝗺𝗮𝗿𝗲 𝗻𝗼𝗻 𝘃𝘂𝗼𝗹 𝗱𝗶𝗿𝗲 𝗣𝗲𝗰𝗰𝗮𝗿𝗲Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora