𝙲𝚊𝚙𝚒𝚝𝚘𝚕𝚘 𝟸𝟸

44 5 4
                                    

Inutile continuare a raccontare, i giorni erano sempre quelli, un'eternità ,che come dice la parola stessa, non aveva mai fine.

Tra torture, prese in giro, lavoro e implicazione all'odio verso se stessi, gli anni passavano lentamente all'insaputa di quei prigionieri che non avevano nessuna via di scampo.

Però, come tutti noi sappiamo, arrivò quel fatidico anno, il momento in cui la vita di milioni se non miliardi di persone, ricambiò drasticamente, ma per fortuna, dopo anni di tormento, in meglio: la liberazione stava arrivando.

Era il 1945, fine Gennaio per la precisione, ma questo, Izuku, non lo sapeva, ma ormai non aveva più certezze, non credeva più in nulla, e non riusciva a capacitarsi come faceva ancora a reggersi sulle sue esili gambe troppo fragili per sopportare tutto quello.

"Questo è quello per cui è disposto l'uomo pur di sopravvivere" pensava, ed era proprio così, anche se ormai la certezza di morire in quel luogo era pari al 99% e solo un miracolo ,a cui Izuku non credeva più, poteva ribaltare la situazione, ogni persona in quel campo cercava in qualsiasi modo di tenersi la vita stretta, anche se ormai era stata buttata al vento, distrutta in quegli anni di crudeltà, ogni uomo non voleva morire, anche se dicevano di volerlo, nel profondo del loro cuore, volevano ancora vivere: vedere il cielo azzurro, fare una passeggiata, trascorrere una semplice giornata come le altre.

Ognuno di loro voleva poter rivivere quella normalità che, comunque, non sarebbe mai più tornata.

Ma torniamo a quel fatidico giorno, quell'attimo, in cui finalmente il sapore della vita tornava, dove finalmente la speranza che ormai era andata, sperduta, nei cassetti più remoti e oscuri della memoria, si faceva strada nel loro cuore ormai distrutto, che aveva cessato di battere nello stesso istante in cui erano arrivati, e che ora, che la liberazione si faceva vicina, iniziava a pulsare, a grande velocità, come non aveva fatto per anni ed anni di totale agonia.

Era sera, la notte avvolgeva coloro che erano sopravvissuti a quegli anni di totale disperazione. Izuku riposava accovacciato su se stesso, quella notte, a differenza di quelle passate, non era stato chiamato, e quindi si beava di quel raro momento notturno di tranquillità che per anni gli era stato negato.

Shoto dormiva a qualche centimetro di distanza da lui, anche se le cose là dentro peggioravano, loro due, erano riusciti ad avere dei piccoli contatti: uno sfioramento di mani, un tenero, anche se breve, abbraccio, e uno sfiorarsi di labbra che non si erano mai davvero ricongiunte.

Ma Shoto sapeva che l'amore non era soltanto fisicità, era qualcosa di più profondo che ti nasce dentro, ed anche se quella parte che dimostrava un po' di quel sentimento, solo con uno sguardo riusciva a capire che gli occhi di Izuku erano sinceri quando gli sussurrava un "ti amo", erano carichi di amore ed affetto quando si poteva concedere un attimo per osservarlo, e anche se quel ragazzino dai capelli verdi non poteva dimostrargli a gesti quello che provava, i suoi smeraldi esprimevano tutto, raccontavano ogni cosa, ogni parola, ogni pensiero del ragazzo che gli possedeva, erano un libro aperto creato appositamente per lui.

Intanto, al di fuori di quellla stanza, o meglio dire, prigione, bombardamenti, spari, soldati che correvano e cadaveri erano lo scenario che si presentava nel campo.

Gli invasori, se visto dal punto di vista di un nazista, anche chiamati come "liberatori" dagli sventurati finiti in quel luogo, aveva creato il caos tra i soldato tedeschi ed in quel campo per mettere fine alle loro crude gesta.

Un botto più forte fece spalancare gli occhi verdi di Izuku, che confuso, si mise seduto sul suo letto, accanto a lui Shoto aprì un occhio confuso guardando il ragazzo accanto a lui.

"Che succede?" chiese sentendo i botti provenire da fuori.

Man mano, tutti iniziarono ad aprire gli occhi e a farsi domande sull'accaduto.

𝗔𝗺𝗮𝗿𝗲 𝗻𝗼𝗻 𝘃𝘂𝗼𝗹 𝗱𝗶𝗿𝗲 𝗣𝗲𝗰𝗰𝗮𝗿𝗲Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora