𝙲𝚊𝚙𝚒𝚝𝚘𝚕𝚘 𝟷𝟾

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Il tempo era passato, troppo lento forse per chi si trovava in un luogo cercando di sopravvivere, troppo veloce invece per chi godeva di ogni comodità nella propria casa, con il calore provocato dal camino che li riscaldava dal gelido inverno, e una tavola sempre imbandita e piena di pietanze che non ti lasciavano a stomaco vuoto.

Tutti quelli che avevano avuto uno sfortunato destino per una ingiustizia potevano sognarsi quelle comodità, ormai erano un ricordo troppo lontano, quasi scomparso dalle loro menti afflitte, e psicologicamente instabili a causa del trattamento a loro servito.

Erano passati due mesi, tra sofferenze, morti, lavori, e impieghi folli; regole imposte per portare alla pazzia, o le svolgevi o morivi, ma comunque il tuo destino era quello, era stato segnato sul filo della tua vita, che quando viene tagliato non può più essere ricucito. Izuku era ormai pelle e ossa, il viso sporco, tagliato dal dolore, bruciato dal calore, segnato da mille mani che lo avevano toccato e lo avevano sbattuti sull'asfalto o sul muro.

Shoto aveva subito lo stesso destino del ragazzo, anche lui rinsecchito, non riusciva più ad essere dolce nemmeno con Izuku, la sua maschera di freddezza lo aveva imprigionato, non riusciva a toglierla, aveva troppa paura e pensava che se la fosse levata lo avrebbero fatto fuori e non avrebbe più avuto un futuro.

In quel momento cercavano calore e salvezza nel corpo dell'altro, erano deboli, molto, i movimenti infatti erano lenti, quasi stanchi, ma per la disperazione mettevano da parte il dolore e cercavano solo di dimenticare l'orribile mondo in cui vivevano; non erano gli unici a farlo, tutti cercavano un'ancora a cui aggrapparsi in quell'oceano disperato.

Si staccarono dopo qualche minuto, si abbracciarono affettuosamente, i gesti bastavano più delle parole. Si rimisero le loro uniformi, quei pigiami così tristi, e si abbandonarono ad un sonno come gli altri, senza un sogno o un incubo, vuoto, come le loro anime. Il fischio li risvegliò, avevano dormito?

Non sembrava nemmeno, avrebbero voluto rimanere in quelle coperte almeno un altro minuto in più, ma l'ultimo che lo aveva fatto non era più tornato.

Dopo l'appello altro lavoro, altro, e altro, la stessa storia ogni giorno, era stancante, insopportabile.

All'ora di pranzo però successe qualcosa di diverso da ogni altro giorno passato in quel macello.

Izuku e Shoto vennero chiamati (con i loro numeri), e vennero presi di forza dai soldati. Vennero portati in una grande stanza, tutta bianca, poteva sembrare la stanza di un ospedale.

Lì si trovava un altro soldato, forse un superiore, che gli aspettava con un'aria tetra, il suo sguardo era inspiegabile.

In quel momento, i due ragazzi, tenuti con le braccia dietro la schiena dai soldati, vennero divisi.

Shoto urlò il nome di Izuku, e il ragazzo dai capelli verdi fece lo stesso, il soldato che si trovava già dentro la stanza, con un'aria di disgusto, diede uno schiaffo in volto a Shoto, poi, il ragazzo, venne incatenato alle braccia con delle catene che pendevano dal soffitto.

Izuku invece fu incatenato a una sedia di legno che si trovava in mezzo alla stanza.
I soldati che li avevano portati in quel luogo uscirono chiudendo la porta a chiave, i due ragazzi rimasero soli insieme a quell'uomo.

Il superiore, che si trovava vicino a Shoto, iniziò a girare intorno a lui; iniziando a parlare.

"Sai, la gentaccia come te mi fa davvero inorridire, invade i paesi degli altri senza avere un luogo fisso dove stare, siete dei vagabondi, dei parassiti che infettano ogni dove vadano e chi incontrano" un pugnò arrivò dritto allo stomaco del ragazzo, che si contorse dal dolore.

𝗔𝗺𝗮𝗿𝗲 𝗻𝗼𝗻 𝘃𝘂𝗼𝗹 𝗱𝗶𝗿𝗲 𝗣𝗲𝗰𝗰𝗮𝗿𝗲Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora