A suon di Jazz

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Un piccolo palcoscenico troneggiava potente lungo il fondo del locale.

Gli strumenti e i musicisti erano già tutti in riga e pronti ad iniziare.

Ad essere sinceri, era colmo di coppie ormai in là con l'età.
Probabilmente erano gli unici giovani lì dentro.

Ed ecco che ritornava la giusta attribuzione per Annabeth: "un'anima antica" dicevano spesso.
Questa volta però, anche Percy era caduto nella buca dell'affascinante passato o inusuale.

~

I due ragazzi entrarono nel club mano per la mano, con le dita intrecciate.

Annabeth -per una delle rare volte- indossava un vestito lungo fino ai piedi color grigio, con gli immancabili anfibi neri che si accordavano al coprispalle del medesimo colore.

Percy invece portava una camicia bianca e una giacca da aviatore nera con dei jeans, formando un completo che gli donavano molto.

Si sedettero su un piccolo tavolo rotondo di legno, anche se inizialmente non ordinarono niente.

L'interno era prettamente colorato d'oro e sembrava di trovarsi in qualche epoca più lontana del Ventunesimo.

La musica Jazz dal vivo era già partita e nella pista affianco, una coppia di anziani danzava serena.

L'amore per quel genere insolito, era una cosa che condividevano in comune.
Tantè che all'inizio non credettero alle proprie orecchie. Al giorno d'oggi, se dici a qualcuno che ti piace quello stile di musica, ricevi solo un sopracciglio alzato come risposta.

Invece, per quanto riguarda il ballare, Percy e Annabeth preferivano altamente farlo nella loro riservatezza.

Amavano quel posto, nonostante non si spostassero mai dal loro angolo.

Forse era per il suono aggraziato degli strumenti che accompagnavano la serata in modo piacevole.

O forse ancora, era per i brividi che correvano lungo la schiena della coppia ogni volta che la melodia calzava in perfetta armonia con i loro discorsi.

~

Fu quando entrò una piccola bambina con il padre, che l'umore cupo allegiò sui giovani; come l'ora della morte cade precisa sul prescelto momentaneo.

Lo sguardo di entrambi cadde sui due, probabilmente perché notando la somiglianza con Annabeth:
Ella aveva dei corti boccoli biondi e gli occhi di un luminoso azzurro. Nel mentre stava attaccata alle gambe del padre come se fosse la sua unica ancora di salvataggio.

Li seguirono con gli occhi, fino a vederli scomparire dietro alla porta del bagno.

Stavano pensando entrambi la stessa cosa.

Ma Annabeth precedette Percy, come sempre.

<<Potrebbe essere la mia reincarnazione da piccola.
Con l'unica differenza che lei un padre lo ha avuto>>

Stava provando ad usare la via del scarcasmo, ma tra la frase e il tono che usò, Annabeth aveva racchiuso tutta la rabbia e il dolore che portava dentro sè.

Sembrava aver steso una pietra pesantissima sopra l'argomento, e Percy si trovò a cercare qualcosa da dire.

<<Non sforzarti>>
La ragazza si girò verso di lui dopo una manciata di minuti che fissava il nulla eterno <<So a cosa stai pensando>>

<<Come fai a saperlo?>>

<<Perché ti conosco>>

Egli iniziò a muovere una gamba sullo sgabello -che ora trovava scomodo- all'impazzata. Annabeth sembrava sempre captare ogni minima cosa.

<<Sai Percy, non capisco proprio perché certe persone decidano di lasciarti.
Senza una spiegazione, un motivo.
Da un giorno all'altro confermano la stupida teoria realizzata in una notte, in cui per loro, non vali più niente>>

Il tono di Annabeth ribolliva di disprezzo e lui avendo quasi paura che si urtasse da sola, con le sue stesse parole e pensieri, le prese la mano.

Sbalorditivamente, non la ritrasse.

<<Odio non capire le cose; le persone.
Sono nata cercando sempre di leggerle al meglio, per auto difesa...senza constatare di come il mio stesso->>

Si fermò improvvisamente per tirare un lungo resprio.

<<-di come l'uomo che mi avrebbe dovuta amare, era sempre e solo stato il mio primo nemico>>

Percy stava per confortarla quando un cameriere si avvicinò al tavolo:

<<Volete da bere?
Oppure volete ballare, bei giovani?>>

Percy declinò gli inviti gentilmente e solo allora la coppia riprese conoscenza della realtà intorno, consapevoli di essere rimasti in quel club.

Talmente erano presi dal monologo di Annabeth, da dimenticare l'ambiente circostante.

Sarà perché, le persone rotte, sono sempre le più interessanti.

<<Scusa avevo bisogno di sfogarmi.
Non succederà più>>

Percy l'attirò in un abbraccio stretto, e inizialmente Annabeth restò rigida, con le braccia lungo i fanchi.

<<Dovrebbe succedere più spesso invece. Io sono qui per te. Puoi sfogarti quanto ti pare e piace, Annabeth>>

Nessuno lo notò, ma alla bionda scese una lacrima.

Quando si staccarono Percy non smise nemmeno un attimo di mantenere il contatto fisico con la sua ragazza.
Continuava a sfiorarle ripetutamente l'interno del braccio -vicino al polso- con le dita affusolate, come a volerla calmare, oppure a volerle leggere ogni centimetro di pelle piena di cicatrici.

~

<<Ed ora Beth, mostrami un sorriso!>>

Annabeth si trovò in difficoltà.

Non era dell'umore, dopo il breve momento teso appena passato, in più era sempre stata insicura di esso.

Ancora oggi faticava a mostralo.
Non le piaceva, considerava che non si adattasse al suo viso.

Lei decisa scosse la testa.

In seguito, Percy si avvicinò pericolosamente e con due dita le prese le estremità delle labbra e le strinse su se stesse con aria divertita.

Annabeth era proprio buffa e schiaffeggiò la sua mano spostandosi leggermente.

<<Suvvia, ti prego Annabeth!
È così bello vederti sorridere>>

Percy diventò paonazzo, mentre la bionda aveva uno sguardo duro sul volto, dovuto ai sentimenti contrastanti.

Ma poi, improvvisamente, senza nemmeno rendersene conto, aprì le labbra e sorrise veramente.

Sorrise a Percy e alle sue parole.

Involontariamente.

<<Vuoi un caffè, vero?>> le chiese.

<<Oh Santi Numi, si>> ella non esitò.

I nostri respiri-Percabeth OneShotDove le storie prendono vita. Scoprilo ora