capitolo 11

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La giornata era finita filando liscia come l'olio, Elisa aveva dei nuovi amici e Gaia la baciò la fronte felice per essere stata calma «Brava, così devi comporti» le disse.

Ma alla piccola non le piaceva sentirsi dire come doveva comportarsi, si era posta in quella maniera perché le andava così, no perché era giusto comportarsi così e al comento della mamma aggrottò la fronte. Il prossimo problema da superare era la scuola, Sven era ripartito e Gaia si ritrovava di nuovo sola, le gemelle iniziavano la prima elementare e lei era preoccupata, una rondine non faceva primavera, il comportamento mansueto di Elisa una volta non voleva dire che sarebbe stato sempre così, era imprevedibile come un animale selvatico.

15 Settembre, il primo giorno di scuola.

Il paesino era piccolo, la scuola primaria elementare era solo una, quindi era inevitabile incontrare tutti i bambini e i genitori del paese.

La scuola non era iniziata nel migliore dei modi, il cognome era famoso e i bambini cresciuti di un ambiente ignorante dove insegavano ricchi uguale diseguaglianza con scavalcamento nei meriti non guardavano di buon occhio le gemelle.

Cristina, figlia di una famiglia modesta che odiava i ricchi, si accanì su di Elisa appena scoprì il suo nome durante l'appello: discriminandola, insultandola e umiliandola.

La cosa che non aiutava era che una mattina il suo bel dolce viso si era riempito di acne prematura.

Cristina inferiva su quello che credeva essere il suo punto debole: la accusava di essere brutta e diversa.

«Come è andata a scuola?» chiese la mamma dopo aver recuperate entrambe le gemelle all'uscita, per lei era un sollievo non essere stata chiamata dalla scuola perché magari Elisa aveva fatto volare banchi e sedie.

«Bene» rispose sorridente, di certo chi era nata guerriera quelle piccole schermaglie non le facevano paura.

«Che avete fatto?» chiese Gaia.

«Niente» rispose lei facendo spallucce

«Non è vero» irruppe Jade «Abbiamo fatto storia, italiano, matematica» disse lei cercando di entrare nelle grazie della madre.

Nemmeno gli altri giorni furono così tanto grandiosi. Appena Elisa cercava di integrarsi in un qualsiasi gruppo i bambini la schernivano e la scacciavano. Jade si era inclusa bene invece, il suo carisma da principessa barbie che muoveva i primi passi della danza classica aveva affascinato tutti-sembrava che si fossero dimenticati del suo cognome-anche se con la bulletta Cristina c'era in atto una guerra fredda di soli sguardi e evitamenti reciproci, entrambe volevano essere le reginette.

«Sei brutta!» rise Cristina.

«E tu stupida! Ed è peggio!» ringhiò Elisa.

«Maestra, maestra! Elisa mi ha detto che sono stupida» ricorse Cristina alla maestra

«Elisa non si dice cosi» la rimproverò cautamente la maestra prendendo le bambine per mano «Su fate pace»

«Lei ha detto che sono brutta!» ribatté Elisa.

«Non è vero!» mentì Cristina.

«Su dai. Sono sicura che non voleva dire così» disse la maestra difendendo la bulla.

«Non è vero! Lei voleva eccome, è cattiva!» disse con un ghigno selvatico.

«Elisa!» alzò la voce la maestra «A posto!»

Elisa si strappò la mano da quella della maestra «Nessuno mi crede!» disse andando al suo posto e calciando la sedia prima di sedersi.

«Elisa!» la rimproverò ancora la maestra e lei rispose con un ringhio.

Elisa era una tipa polemica, si metteva subito sulla difensiva e replicava rispondendo a tono. I ragazzini cercavano un agnellino a cui mettere i piedi in testa, ed Elisa non era adatta: non riuscendo a piegarla iniziarono a isolarla e ignorarla come se non ci fosse

Lei assecondò il loro comportamento, e decise lei di isolarsi di sua volontà, e a dirla tutta da sola ci stava pure bene e il suo soprannome divenne lupo.

La piccola Elisa, guerriera già dall'epoca se ne fregava altamente, continuava a fregarsene anche quando scoprì che i compagni di classe mettevano in giro falsità sul suo conto.

***

Passarono le prime settimane: le voci in giro e l'isolamento non la sfioravano neanche, i marmocchi continuavano a fare i bulli come se leggessero sulla fronte di Elisa "Insultatemi e umiliatemi", ma lei continuava a rispondere quasi sull'orlo di una baruffa fisica. Non se ne importò neanche quando le notizie di paese riportavano risse e pestaggi da parte delle baby gang del luogo, se gli avesse incontrati gli avrebbe combattuti non aveva paura di loro.

Intanto il maestro a Kung fu nominò un suo assistente, si chiamava Salvatore Un bel ragazzo di ventun anni, in forma ma non muscoloso. Moro e occhi neri e dalla carnagione olivastra. Si poteva dire che era nato e cresciuto in palestra fra gli allenamenti i ring e i sacchi. Era un tipo che per maturità dimostrava più dell'età che aveva, forse perché avere un figlio a quindici anni e poi lasciarsi qualche anno dopo con la fidanzata ma continuare a fare il padre lo aveva fatto crescere più velocemente.

«Tira un pugno» disse Salvatore per gioco ad Elisa indicando un sacco.

La piccola non se lo fece ripetere due volte, e con immensa felicità e adrenalina colpì il sacco formando un piccolo incavo nella pelle del sacco.

«Caspita» disse Salvator serio analizzano con le dita il fossetto del sacco «Da grande sarai una cazzottiera ambulante».

L'assistente ci aveva visto lungo, non aveva tutti i torti.

Mîkhā'ēlaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora