JASMINE
Pulisco le vetrine del negozio di accessori in cui lavoro, in una delle viette di Manhattan.
Il braccio si muove su e giù ritmicamente come fosse una funzione telecomandata mentre la mia mente pensa e ripensa alla notte precedente, alle urla, sputi, insulti, spinte e a come sono finita in una relazione tossica di tre anni e mezzo.Mi maledico in tutte le lingue del mondo per aver —sbadatamente— rotto, ieri sera, il suo orologio preferito.
Ero stanca. Avevo chiuso io il negozio, non avevo ancora mangiato nulla e l'unica cosa che volevo fare era crollare a quattro di bastoni sul letto. Patrick era silenzioso, probabilmente qualcosa nel suo lavoro era andato storto ed io non avevo nessuna voglia di ascoltare le sue ennesime e stupide lamentele giornaliere, così dopo un leggero saluto mi chiusi in camera.
Mi stavo allungando per prendere lo struccante quando distrattamente ho sbattuto il fianco sullo spigolo del lavabo e apparte il male procurato sull'osso del fianco, ho sentito un rumore metallico cadere a terra.
Appena vidi il vetrino in frantumi chiusi gli occhi e quando li riaprì speravo fosse uno scherzo e invece era ancora lì, rotto, davanti alla punta dei piedi. Sapevo quello che potesse succedere ma non potevo nascondere il fatto, così andai in salone dove Patrick era intento a guardare una partita di football. Quando glielo dissi si alzò di scatto, mi oltrepassó dandomi una forte spallata per farmi spostare, andò in bagno e poco dopo iniziò ad inveire contro di me.
<<Cogliona! Ma come cazzo hai fatto? Non ci vedi con quegli occhi di merda che hai!?>> Urlò nel tragitto dal bagno verso il salone, dove io ero rimasta impietrita, queste parole furono solo l'inizio di una lunga e stancante litigata.Lo guardo avvicinarsi furiosamente mentre mi mordo nervosamente l'interno guancia.
<<S-scusami... non l'ho fatto apposta! Te lo riparo io... domani è la prima cosa che farò.>>
Prima ero una ragazza con i controcoglioni ed ora davanti a lui dopo tre anni e mezzo mi sembro, anzi no, sono un burattino per la paura che mi incute.
<<OH CERTO CHE LO FARAI! ALMENO HAI UN BUON MOTIVO PER SPENDERE TUTTI QUEI SOLDI CHE HAI!>> Urla.
<<E adesso cosa centrano i miei soldi con il tuo orologio rotto?>> Passo una mano sudata fra i capelli.<<Ahh si giusto! Ancora il tuo complesso di inferiorità economica! Che stupida che sono, ora dovrei sentirmi in colpa perché guadagno più di te?>>
<<Ma non farmi ridere! A ventidue anni, una ragazza che fa la commessa in un negozio di accessori, solo in un modo può prendere tutti quei soldi.>> Spalanco la bocca allibita dalle sue parole, le mani iniziano a formicolare.
<< Dillo! DI QUELLO CHE PENSI, DAI FAMMI SENTIRE QUANTO FAI SCHIFO>> Ora ad urlare sono io e cazzo...era tempo che non mi azzardavo ad urlargli contro.<<Sí e non cambio idea! Sei una puttanna! Come tutte le altre. Vuoi farmi credere che al tuo bel titolare non gli fai i servizietti, tra l'altro ottimi, che fai a me nel letto?!>>
Eccolo l'esempio vivente di chi vive nel complesso di inferiorità e nell'epoca sbagliata.
Oltre che a diciannove anni ho trovato lavoro, mi faccio un culo così per vivere bene e togliermi ogni sfizio invece di vivere sulle spalle dei miei genitori —cosa che potrei permettermi— per fortuna ma sono sempre stata indipendente e continuerò così.
Le mani smettono di formicolare e afferrano tutto ciò che mi capita sottotiro e lo scaravento a terra: telecomando sotto la scrivania, bicchiere d'acqua per la notte addosso all'armadio e la fotografia che ci ritrae frantumata in mille pezzi sotto i miei piedi.
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Prenditi cura di me.
Romance🌟||STORIA COMPLETATA|| 🌟 In continua revisione. > Mentre i nostri occhi si guardano gli sfilo la camicia già aperta, accarezzo le sue spalle muscolose ricoperte di inchiostro. Se prima sentivo freddo ora non lo sento più, il calore della sua pell...