Prologo

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Kamal


New York, 11 Settembre 2001

"Breaking News. Disastro al World Trade Center. Un velivolo si è schiantato sulla Torre Nord..."

Un tonfo sotto di me sovrasta le ultime parole del cronista, mentre le immagini che scorrono alla tv mi lasciano pietrificato.

Solo un lieve bruciore alle spalle e ai gomiti mi riscuotono appena, al punto da farmi rendere conto di aver lasciato rotolare per terra i bilancieri. C'è mancato poco che mi schiacciassi qualche vertebra, ma i miei occhi non riescono a staccarsi da quella che sembra un'apocalisse.

Rimango immobile per un tempo che non riesco a definire, minuti, forse ore, mentre una foschia nera e densa si propaga nel cielo e un secondo schianto sulla Torre Sud viene trasmesso in diretta televisiva.

Non può essere un incidente, ma un colpo al cuore dell'America, voluto, premeditato...

Al notiziario parlano di un "probabile dirottamento" di aerei di linea.

Mi sembra di vedere un film, eppure è tutto vero. Non riesco a capacitarmi di quello che sta succedendo.

All'improvviso, una delle due torri implode su se stessa e in pochi secondi viene inghiottita da una nuvola di fumo.

Senza che me ne renda conto, fletto il busto in avanti e mi accascio sul pavimento come se non avessi più forze. Chiudo gli occhi per non vedere più quelle immagini di una città spezzata da un atto di terrore.

Mentre in tv si contano già le migliaia di persone che hanno perso la vita nel crollo del grattacielo, nella mia mente si formano altre immagini che pensavo di essere riuscito a dimenticare.

Resto lì fermo, sopraffatto dai pensieri, come se fossi in trance. Nemmeno il crollo della seconda torre e la voce del presidente degli Stati Uniti d'America che parla di terrorismo, di attacchi, di atti codardi, riescono a fermare il flusso dei miei ricordi.

Spengo la tv per estraniarmi da tutto.

Il cuore mi rimbomba ancora nel petto dopo tutte quelle ore di angoscia, eppure in questo momento non riesco a pensare ad altro se non a quel lontano 16 marzo 1988.


Vivevo ad Halabja.

Avevo appena nove anni quando un attacco chimico con gas iprite uccise sul colpo mio padre e mio fratello, mentre mia madre morì di cancro due anni dopo.

Non ricordo nulla di quel giorno, solo che mentre quelle bombe cadevano dal cielo, fui salvato per miracolo da un uomo che in seguito divenne il mio secondo padre e che mi portò in America.

Vivo a New York da tredici anni ormai e i ricordi della mia infanzia in Iraq sono ormai del tutto sbiaditi: del mio paese d'origine mi è rimasto impresso nella memoria solo il verde delle colline e la pioggia e il fango di quei giorni di morte.

Chi sono ora? Chi sono diventato? 

Sono cresciuto in America, ma non mi sento un americano. Posso dire di essere un ragazzo come gli altri: frequento il college, la palestra; ho un debole per le moto sportive e per le ragazze con gli occhi azzurri... ma a volte mi sento diverso, con un peso sul cuore che non va mai via...

Oggi sono qui a New York e mi sembra di rivivere lo stesso incubo che pensavo di aver dimenticato.

Tutto si risveglia, amaro e forte. Il dolore di allora schiaccia il dolore di oggi.

Eppure, solo ora, per la prima volta da quando sono nato, ho capito chi voglio essere e cosa voglio fare nella vita.

Un desiderio intenso di fare giustizia mi sta entrando nel profondo. Solo quando mi sarò sacrificato con tutto me stesso per la gloria del mio Dio, soltanto allora questo dolore che sento nel cuore passerà.

Chino il capo sul tappetino su cui fino a pochi minuti fa stavo allenando i miei bicipiti. Mi sovviene un altro ricordo: la sajjāda, il tipico tappeto rosso e bianco, con al centro la Ka'ba, su cui mio padre da bambino mi aveva insegnato a pregare.

Appoggio le mani in avanti ai lati delle orecchie e sussurro le prime parole che mi vengono in mente: "Allah akbar". Allah è grande!

Heart Blast - Un'esplosione nel cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora