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<< Te ne vai come io fossi niente / Come fosse che? / Te ne vai perché non c'è più niente da prendere / Te ne vai come ci fosse un altro / Come se ti stesse già aspettando / Come se esistesse qualcun altro uguale a me >>

[Aaron's POV]

Era la mattina del 16 marzo. Uno di quei giorni da segnare sul calendario, di quelli che nel mio lavoro non capitavano spesso: un giorno di riposo. Mi alzai dal letto alle 10, orario durante il quale solitamente ero in ospedale già da almeno 4 ore, mi vestii con qualcosa che non fosse il mio camice bianco e mi feci un buon caffè, non quella brodaglia che bevevo durante il turno per stare sveglio in caso di interventi più lunghi. Quando decisi di diventare medico chirurgo sapevo a cosa andavo incontro: orari infiniti, turni stressanti, soglia dell'attenzione sempre alta, nervi saldi e consapevolezza nel fatto che, qualsiasi cosa potesse succedere, avrei fatto del mio meglio per salvare più vite possibili. E questo atteggiamento mi aveva fruttato la promozione a Responsabile del reparto di Medicina e Chirurgia del New York Presbyterian di Lower Manhattan, coronando il sogno mio e dei miei genitori, che tanto avevano sacrificato per concedermi la possibilità di avere la vita dignitosa che loro non erano riusciti ad ottenere.

Il suono della macchina del caffè mi fece tornare alla realtà, mi avvicinai all'isola in cucina sulla quale si trovava la fonte di quel liquido magico e ne versai una tazza abbondante. Iniziai a bere mentre mi avvicinavo alla grande finestra del salotto che si affacciava direttamente sull'edificio gemello al quale abitavo - non la migliore delle viste per un appartamento da oltre trecento mila dollari, ma era vicino al posto di lavoro, cosa che mi rendeva più che felice. Non tutti i miei colleghi erano fortunati quanto me da poter abitare così vicino all'ospedale, ed erano costretti a farsi chilometri di viaggio ogni mattina per poi passare altre interminabili ore nel caos più totale del pronto soccorso.

La vista dall'appartamento non sarà stata sulla città, ma sicuramente c'era qualcosa che aveva catturato il mio occhio: al piano esattamente antistante al mio del grattacielo di fronte notai una ragazza fissarmi; teneva in mano un aspirapolvere e se ne stava lì immobile, finché non notò che me n'ero accorto e si girò in fretta, come se si vergognasse di un innocente scambio di sguardi. Sorrisi tra me e me, osservandola ancora per qualche istante - si muoveva in maniera elegante, e da quella distanza tutto ciò che potei percepire era l'altezza, circa un metro e 75, e i capelli di un castano chiaro lunghi fino alla vita. La seguii con lo sguardo finché non scomparve nella stanza adiacente, invisibile ai miei occhi a causa delle tende chiuse.

In quel momento il telefono squillò. Mi allontanai fino alla camera, dove lo avevo lasciato, e quando lessi sullo schermo il nome del mio collega pregai che non ci fosse un'emergenza in ospedale:

<< Jeremy, che succede? >> dissi cautamente.

<< Niente di grave Aaron, puoi rilassarti, sento quei bicipiti giganteschi tendersi fino qui. >> rispose in modo scherzoso Jeremy, anestesista nel mio stesso reparto nonché mio migliore amico.

<< Volevo soltanto chiederti: ci sei stasera per un drink all'Apotheke? Saremmo io, te e Laura. Ci ha invitato lei. Ti prego non darmi buca, non posso andarci da solo, dobbiamo darci supporto a vicenda >> continuò lui.

Roteai gli occhi: non ne avevo alcuna voglia. Non tanto per Jeremy, stare in sua compagnia era sempre uno spasso, ma non avevo certo voglia passare una serata con Laura Sterling, medico chirurgo anche lei, specializzata in chirurgia toracica e nell'essere la donna meno simpatica al mondo. O almeno lo era, ma in un modo che io trovavo irritante.

LOVERS BY THE WINDOW • Chris Evans fanfictionDove le storie prendono vita. Scoprilo ora