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Si era fatto pomeriggio.
Gally se ne era andato da casa mia, mio padre mi stava aspettando per uscire e andare alla prigione della città.

-Newt andiamo- disse Vince dal pian terreno, mi ero messo dei jeans neri attillati, una maglietta bianca e una giacca in pelle nera, i capelli li spettinati completamente e mi misi come quasi ogni giorno dello smalto nero sulle unghie.

Dei passi si avvicinarono nella mia stanza, mio padre entrò sbattendo la porta contro il muro, -l'orario per gli interrogatori non è aperto tutto il giorno- disse annoiato, -vuoi fare colpo su qualcuno per caso?- continuò con tono sarcastico.

Io feci un verso di scocciatura, alzai gli occhi al cielo e lo ignorai con ghigno, in cambio ricevetti una leggera botta dietro la nuca e con sorriso scendemmo le scale.

-ah Newt- mi chiamò d'un tratto, -si? Non sarà ancora per la storia degli omofobi?- mentre scesi le scale mi sentii tirare per un braccio, -No, Newt. Vorrei solo che ti ricordassi di darmi retta-

-Ma io lo faccio sempre, sceriffo papà- gli ricordai subito, lui mi squadrò con lo sguardo, sorrise e uscimmo da casa.

Passai un paio di ore a chiacchierare con il mio vecchio e allo ascoltare i suoi discorsi sullo ascoltare e a come fare lo sceriffo.

Ogni volta che andavo con lui a fare una "missione" di lavoro finivamo con il litigare e non parlarci o semplicemente mi metteva sotto con delle false prove d'omicidio per darmi una lezione.

Erano le 17 in punto e potevamo stare solo un'ora dentro con il detenuto per interrogarlo  e fargli le domande.

Entrammo dentro la prigione, subito una puzza di ratto morto mi entrò nel cervello, del sangue secco era ancora sul pavimento e delle crepe decorarono le pareti insieme a scritte sul muro e aria gelida.

-salve sceriffo -d'un tratto un uomo si materializzò da dietro a noi- lascia che mi presenti- disse poi allungando una mano.

Era buffo, i capelli erano sul grigio spento e gli occhi chiari avevano una forma piccola e fina, aveva l'uniforme da capo, e l'aria mi sembrava fredda e falsa ma non ci diedi caso.

-io sono il Signor Janson, Capo di questa prigione-

Disse con voce saggiamente idiota, "come se non l'avessimo capito, puzzi di morto" pensai.

-quale onore sceriffo- blaterò l'uomo, -Janson mi serve che porti in una stanza isolata l'assassino che le avevo accennato in chiamata, il nome è..Thomas Edison-

Rimbombò d'un tratto quel nome.
Thomas.
Sembrava un nome di un'innocente. Di un ragazzo incastrato di un delitto che non aveva commesso. Come costretto a vivere in questo posto orribile.

Subito mi incuriosì.. ripensai alla frase che Gally mi aveva accennato.

Quella ragazza mi aveva creato problemi su problemi per due interi anni.
E ora il suo assassino mi stava facendo diventare matto, senza neanche vederlo e confermare quello che Gally diceva.

-volevo solo dire che il ragazzo se è con lei, si deve mettere in silenzio in un angolo, e di non avvicinarsi al detenuto, vedendo come si è conciato non vorrei che se ne approfittasse per scappare- disse ridendo in modo velenoso.

Sia io che mio padre annuimmo, marciò davanti a noi e prima di entrare dentro quella stanza grigia e paranoica sentii dirmi nell'orecchio.

-non ci pensare figliolo pensa solo al lato positivo, lui vive in una prigione per tenere d'occhio dei criminali 24h su 24h-

Subito sorrisi, mi scompigliò ancora di più i capelli e aspettai mio padre entrare in stanza.

-salve sceriffo -udii una voce tranquilla e maliziosa, una scarica di adrenalina e brividi mi percorsero tutto il corpo- mi hai portato un regalino?- continuò.

-ciao a te Thomas, sì ho un qualcosa a presso ma non è un regalino- gli sentii rispondere, subito lo vidi allungare una mano verso la mia direzione, presi un lungo e motivante pezzo di quella sporca aria ed entrai.

Un ragazzo era incatenato ad un tavolo al centro della stanza grigia, sembrava sorpreso e confuso, la pelle era chiara, aveva dei bei occhi marroni, i capelli erano scuri e sembravano più puliti di quanto immaginassi pochi istanti prima.

Mi fissò dritto negli occhi, sembrava una scena a rallentatore, camminai piano e insicuro verso mio padre, subito mi richiamò -ragazzo, va in un angolo e sta in silenzio- disse.

Ammetto che appena sentii la frase volevo rispondergli ma mi trattenni e annuii soltanto.

Mi misi nell'angolo dall'altra parte delle sbarre, proprio dove potevo vedere il volto del detenuto.

Lui non smise di fissarmi, volevo chiedergli che voleva. Volevo sedermi davanti a lui e fargli delle domande, rendermi superiore.

Ma mostravo tutt'altro.

Lui ghignò divertito, aveva un sorriso acceso e sinceramente non era brutto, anzi.
Mi squadrò dall'alto verso il basso, e si leccò seducemente le labbra.

Mio padre si appoggiò sul tavolo facendolo indietreggiare sorridente, lui poggiò una mano sulla sua pistola, Thomas posò lo sguardo su essa e subito si avvicinò allo sceriffo.

-cosa la porta a farmi questa incantevole visita- blaterò allo sceriffo. Lo sguardo si posizionò due istanti verso la mia direzione, lo vidi così tranquillamente inquietante.

Nessun prigioniero portava rispetto a mio padre, ma lui sì. Sembrava meravigliato e incantato, quasi felice di ritrovarsi in tuta arancione.

-Oggi fai il bravo? Mi sorprendi- continuó l'uomo con nonchalance, tutto sempre tranquillo, l'aria era diversamente pulita, gli sguardi erano fissi l'uno su l'altro.

Fissai i comportamenti del moro, nessun movimento sospetto o voce infastidita, era solo a suo agio.

Quest'ultimo si girò nuovamente verso di me e ghignò -la prima impressione vale tutto sceriffo, ma non ha risposto alla mia domanda: Cosa la porta qui da me?- disse lasciando un silenzio tombale.

-É suo figlio? -si poggió allo schienale con verso sarcastico- Sceriffo dopo due anni ancora mi tiene su il muso, oh andiamo Vince dovremmo essere grandi amici, non crede?-

Lo sceriffo distolse lo sguardo dal ragazzo, immediatamente guardò un punto non preciso della stanza, poco dopo si sedette e poggiò sicuro di sé i gomiti sul tavolo.

-C'era del sangue a casa mia- disse con freddezza. -sangue? Forse suo figlio ne è responsabile, non siamo così innocenti, la nostra generazione è contagiosa- rispose solamente.

"Nostra generazione? Siamo davvero così inquietantemente tranquilli" pensai, il moro mi fissò, uno scarico di brividi percorsero gambe e braccia, lo sguardo era ormai incollato al suo.
Volevo sapere, ero curioso, ma non potevo fare nulla se non ascoltare.

Subito sospirai rumorosamente e mi appoggiai al muro. Le mura si fecero silenziosamente più strette, fredde, iniziai poco a poco a sudare, l'interno iniziò a capovolgersi:

-Posso vederti da vicino?-

Graffio Con Il Tuo Nome × NEWTMASDove le storie prendono vita. Scoprilo ora