Capitolo 7

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~ Toren ~

Il mondo è un posto troppo vasto per i rimpianti. Soprattutto per arrendersi e soccombere. Non c'è sempre il sole e bisogna accettare le giornate di pioggia. Il freddo pungente della solitudine che spesso si porta dentro insieme al silenzio e al senso di vuoto.
Ho imparato che l'unica maniera in cui puoi davvero sopravvivere è cogliendo al volo tutto senza mai lasciare la presa.
Attualmente però penso di avere perso la rotta. Che diavolo sto facendo?
Ho appena mandato al diavolo ogni piano iniziale o buon proposito per tenermi alla larga dai guai certi. Perché portare Luna a casa mia, non è una buona idea. È in maniera indiscutibile la peggiore che io abbia mai preso istintivamente.
Mi sento improvvisamente nervoso sotto il portico. Floppy uggiola dietro la porta, in attesa di potere scorrazzare libero o giocare con me. Ma non è questo il giorno per stare fuori.
Ha smesso di piovere, ma si sente nell'aria che a breve arriverà un altro temporale.
Lascio passare Luna, la quale toglie i sandali e abbassandosi accarezza Floppy, super eccitato di avere qualcuno da torturare con la sua minuscola lingua ruvida, quei dentini aguzzi e le zampe leste.
Mi sposto in bagno, prendo un asciugamano pulito e di ritorno lo passo a Luna, cercando di non abbassare gli occhi sul suo corpo sinuoso come un pervertito.
Il prendisole bianco è quasi del tutto trasparente. Al di sotto si intravede il suo seno nudo con i capezzoli turgidi sollevati e in bella mostra, gli slip a fasciare il suo sedere tondo.
«Grazie», segue il mio sguardo lascivo e si copre con l'asciugamano arrossendo. Le sue labbra, fatte di miele e peccato, abbozzano un breve sorriso.
È così fragile dentro e piena di problemi. Si vede da lontano che ha bisogno di una boccata d'aria dopo avere vissuto per troppo tempo in apnea. Di un abbraccio dopo avere patito il freddo della solitudine per troppo tempo. Non posso aggiungere altri casini alla sua vita. E vorrei dirglielo per il modo in cui sta ricambiando la mia attenzione e mi sta tentando. Ma lei lo sa. Sa che porto solo guai.
Tutto ciò è un maledetto disastro, e io dovrei comportarmi da adulto, mettervi fine prima che questa storia esploda in qualcosa di pericoloso per entrambi. Ma come posso farlo proprio ora che l'ho trascinata qui e lei mi ha seguito spontaneamente? Come posso riportarla indietro e scaricarla dopo avere provato un intenso senso di attrazione di fronte alla sua spavalderia?
Cazzo, mi ha fatto letteralmente il culo a strisce in officina. Mi sono eccitato così tanto da non riuscire a respirare.
«Ti dispiace prestarmi una maglietta?», chiede, tappando il petto con l'asciugamano e tenendo i denti serrati sul labbro inferiore.
«Visto che adesso ci scambiamo gli indumenti, dovrai lasciarmi le tue mutandine se vuoi tenere addosso la mia maglietta», la stuzzico dirigendomi sul soppalco ancora un po' grezzo.
Sto provando a rendere personale questo ambiente, ma non ho mai amato le cianfrusaglie estetiche. Le mie sorelle si divertirebbero un mondo ad abbellire questa casa, se solo gliene dessi l'occasione trasformerebbero ogni angolo.
Cerco tra le magliette appese e gliene lancio una. La prende al volo, la guarda per un secondo appena, senza traccia di disgusto in volto, poi la indossa sopra il prendisole che sfila in maniera quasi comica, lasciando che mi goda lo spettacolo dalla balconata.
Lo solleva come un trofeo. «Dove posso appenderlo per farlo asciugare?»
Indico a poca distanza dal camino uno stendi biancheria, dove sono appese ad asciugare altre due magliette, un paio di boxer e i calzini.
«Sai fare il bucato, interessante».
«Non so se essere offeso dalla tua mancanza di fiducia nelle mie capacità o lasciarti credere di essere perfetta», ribatto scendendo di sotto.
Non comprendo la sua espressione. Prova a stendere il prendisole. Appare impacciata, forse anche imbarazzata. La sua espressione mi fa quasi ridere quando si volta un po' abbattuta e riluttante afferma: «Non so stendere i panni, quindi direi che il mio commento era un complimento. Sono ammirata per essere precisi».
«Bel modo del cazzo di fare complimenti, Miele. Impegnati di più la prossima volta perché fai un po' pena su questo», riempio la ciotola di Floppy per farlo mangiare e cambio anche l'acqua, in modo tale che l'abbia sempre fresca.
Mi rendo conto che lo sto viziando. Ma lui mi sopporta come padrone. Penso sia il minimo che io possa fare.
Notando Luna in difficoltà, stupito dalla sua confessione, invece di prenderla in giro, corro in suo soccorso stendendo il suo prendisole senza dire niente. Lei si sposta per lasciarmi fare, assorbendo ogni mio movimento come una bambina vogliosa di imparare.
È assurdo. Nessuno le ha mai insegnato queste cose? Mia madre è stata alquanto categorica in merito, e io non ho mai protestato perché sapevo che un giorno mi sarebbero servite le sue dritte.
Poi però rifletto e comprendo. Luna è vissuta in un ambiente diverso. Sua madre non è propriamente una casalinga o una di quelle madri pronte a sporcarsi le mani pur di preparare i migliori biscotti allo zenzero per Natale.
«Hai fame? Prometto che tenterò di non avvelenarti».
Mi molla un colpetto sul petto e mi viene voglia di bloccarle i polsi e avvicinarla così tanto da poter inalare da vicino il suo profumo.
«Nessuno si accorgerà di niente, sicuro di non volerne approfittare?»
La sua reazione è qualcosa che non avevo previsto. Mi riscuoto dal momento illusorio dirigendomi in cucina. Metto sul ripiano un barattolo di passata di pomodoro. «Gnocchi?»
«Hai una mozzarella?»
«Controlla in frigo».
Si muove con naturalezza con addosso solo la mia maglietta nera che le arriva sopra il ginocchio. Mi becca a fissarle il sedere quando sollevandosi sulle punte dei piedi si sporge per arrivare sul ripiano in alto e le si intravedono le mutandine di seta con l'orlo di pizzo rosa. «I miei occhi sono qui, Terminator».
Arriccio il naso e ridacchia. «Smetterò di guardare solo quando non mi chiamerai più così, Miele. Hai un bel fondoschiena». Taglio una cipolla e lei dopo avere controllato nel frigo si appoggia all'angolo del bancone. Con una spinta, si solleva sulle braccia e si siede sul bordo incrociando le caviglie. «Taglia più sottile quella cipolla».
La minaccio con il coltello. «Chi sta cucinando?»
Alza gli occhi al cielo. «Tu».
«Esatto! Io. Adesso scendi dal ripiano», ringhio minaccioso.
«Perché?»
Merda.
Aggiungo l'olio e soffriggo la cipolla.
Non resistendo all'impulso, mi avvicino a lei che raddrizza la schiena ritrovandosi bloccata quando adagio le braccia ai lati dei suoi fianchi. Le viene la pelle d'oca e tenta invano di farla sparire muovendosi nervosamente. Ma sa che me ne sono accorto.
«Perché il modo in cui puoi restare sul bancone è a gambe spalancate mentre mi godo il dessert. E non mi sto riferendo a una fetta di torta».
Sbuffa, si imbroncia e mi spinge. Quando arrossisce le si evidenziano le poche efelidi spruzzate sul viso. «Stai bruciando la cipolla».
Torno alla mia mansione aggiungendo la passata di pomodoro e le spezie e lei riempie la pentola, con l'acqua ormai in ebollizione, di gnocchi.
«Come mai non ti andava di tornare a casa?»
«Se vuoi che ci confidiamo dovrai dirmi cosa ti è successo al labbro», spinge il dito verso il mio viso per indicare il punto colpito da Ben, ma non mi sfiora.
Come ha fatto ad accorgersene? Non è poi così evidente il minuscolo taglio.
Mi irrigidisco.
«Se non sei disposto a dare, non chiedere».
«Sei una prepotente, Miele».
«E tu non sai fare affari, Terminator», sorride e dandomi un colpo con il fianco, quando gli gnocchi sono pronti, li preleva con il colapasta e li butta nel sugo, tagliuzza una mozzarella con le dita e fa saltare tutti gli ingredienti nella padella con un movimento fluido del polso.
Cazzo, quanto è sexy ai fornelli?
Le passo una forchetta. «Buon appetito».
Assaggia e mugola di piacere, tornando seduta sul ripiano della cucina come se volesse farmi un dispetto.
«Allora? Perché quel livido?», biascica.
Mi appoggio al bordo opposto per non avere tentazioni. «Un litigio».
«In famiglia?»
«Una domanda per una domanda. Perché non volevi tornare a casa?»
Caccia in bocca un po' di gnocchi, si prende il suo tempo masticando piano. Mi rendo conto che starei ore a guardarla. «Da quando sono tornata da Berkeley non mi sento a mio agio in casa. I miei non ci sono quasi mai e se ci sono non ascoltano. Ero anche furiosa con te e stavo andando nel panico».
Lecco le labbra apprezzando la sua totale sincerità. «Ho litigato con Ben. Ecco la ragione del taglio al labbro».
«Ho rubato l'assegno a mio padre per pagarti», si stringe nelle spalle e scendendo con uno slancio abile, prende la fetta di pane che le sto porgendo e fa una piccola scarpetta con il sugo rimasto dentro la padella.
In lontananza si avverte il frastuono generato dai tuoni del temporale in avvicinamento. Mi sporgo, scosto la tendina sopra il lavello e controllo di avere messo la legna raccolta sotto la tettoia e gli attrezzi da giardino siano tutti al coperto.
Luna comincia a pulire il ripiano e lava quello che abbiamo sporcato canticchiando un motivetto, mentre Floppy abbaia e scodinzolando mi chiede di giocare con lui.
Mi siedo a terra e gli lancio la pallina, addestrandolo per qualche minuto.
«Per essere ancora un cucciolo, ti ascolta».
L'odore dolce di Luna si muove con lei e si addensa nell'aria di casa.
Si inginocchia poi si siede con i piedi sotto il sedere e quando Floppy le porta la pallina azzurra a forma di osso, la sua preferita, gliela lancia. «I miei non mi hanno mai fatto tenere un animale», dona a Floppy la ricompensa che gli ho passato quando il piccoletto gli riporta la pallina.
«Perché tuo fratello era allergico», replico. «Si sarebbe riempito di pustole e grattato come una scimmia», emetto un verso simile a una risatina sadica.
Lei si irrigidisce, assume un'espressione distante, poi accarezza Floppy. «È da tanto che stai qui?», cambia discorso guardandosi intorno.
«Un paio di anni ormai».
«Com'è?»
Floppy mi salta addosso e dopo avere fatto un giro su se stesso si sdraia sbadigliando. Gli arruffo il pelo e bacio la sua testa. «Com'è cosa?»
«Vivere da solo».
«Non vivi da sola al college?»
«Alissa è la mia coinquilina quindi no, non vivo da sola. Mi piacerebbe».
«E ti piace studiare...»
«Lingue, diritto ed economia? Oh sì, è uno spasso», si imbroncia.
Smetto di accarezzare Floppy e sollevo lo sguardo. Sembra triste e avvilita. Come se avesse una catena a tenerla prigioniera. «Cosa avresti voluto studiare?»
«Da piccola volevo fare la biologa marina, continuare a fare surf. Oppure insegnare come tua madre», sorride in maniera così triste da strizzarmi il cuore.
Sporgendosi accarezza Floppy. «Ma non sono professioni da Maddox e mia nonna ha quasi avuto un infarto quando l'ho detto a tavola. Ha minacciato di tagliare i fondi ai miei se avessi preso quella strada. Puoi intuire quello che è successo», sospira. I suoi occhi chiari si spostano nei miei. «Tu invece hai aperto la tua officina».
Adagio Floppy nella sua cesta, con la coperta con la sua iniziale ricamata sopra che mia madre ha voluto regalargli. Mi siedo sul divano e Luna fa lo stesso, mettendosi composta.
Fuori nel frattempo ha iniziato a piovere a dirotto e lo scroscio dell'acqua fa da colonna sonora a queste confessioni. Ma in casa si sta bene. C'è un piacevole calore.
«Dopo molti sacrifici ci sono riuscito. Ma non è facile mantenerla».
Abbraccia un cuscino. «Hai sempre avuto la mania di aggiustare le cose».
«Credimi, ci sono volte in cui non è possibile aggiustare ciò che è difettoso».
Rimaniamo per qualche istante in silenzio. Io comodamente stravaccato sul mio divano in pelle e lei con un braccio sullo schienale.
«È bello qui», sussurra appoggiando la testa e chiudendo lentamente gli occhi.
«È il mio posto tranquillo», mormoro accorgendomi che si è appena assopita.
Incredibile!
«Miele, Miele, Miele», sospiro e facendo attenzione a non svegliarla cerco un plaid e glielo adagio sopra, poi vado a fare una doccia per togliermi di dosso ogni sensazione generata dallo scambio di domande e risposte. Più lei parlava, più io avevo necessità che continuasse ad aggiornarmi sulla sua vita.
Ma c'è di più che attualmente mi tormenta. Non riesco proprio a smettere di ripensare alla sua espressione così furiosa e poi a quel lato esitante e smarrito che le ho letto nelle iridi mentre camminava sotto la pioggia. Ho davvero pensato che fosse sbagliato farle la guerra? Fargliela pagare per i peccati del padre e del fratello? Ho davvero dubitato del mio odio quando l'ho protetta sotto l'ombrello e nel suo sguardo ci ho visto tanta gratitudine? Ho davvero pensato per un nano secondo che fosse tutto dettato da un pizzico di gelosia verso Foxy?
«Che idiota!»
Picchio il pugno contro le piastrelle e mi ci appoggio con la fronte mentre il getto dell'acqua mi investe per diversi minuti.

***

Uscito dalla doccia con un asciugamano intorno alla vita, mi accorgo che Luna si è riscossa dal sonno e mi sta cercando con occhi assonnati.
Il movimento leggero delle ciglia incurvate, la minuscola smorfia della sua bocca, mi fanno venire voglia di avvicinarmi a lei, di perdermi nel calore del suo corpo.
Lei mi spinge a provare un bisogno disperato, feroce, incontrollato di un bacio e tanto altro di perverso.
Non appena però si rende conto che sono in parte nudo, distoglie lo sguardo.
Io le passo davanti per andare di sopra e scegliere qualcosa di pulito da indossare.
Fuori, di tanto in tanto, si vede qualche raggio di sole bucare le spesse nuvole tempestose. Continua a piovere e il vento sferza le foglie degli alberi rischiando di sradicarne qualcuno.
Sfodero un sorriso e con la coda dell'occhio noto il soffuso calore pervaderle dapprima soltanto le guance poi risalirle dal petto al collo.
Ha visto dei maschi nudi in vita sua, come Rio e JonD in spiaggia. Non comprendo perché così tanto imbarazzo di fronte al mio corpo umido e scolpito. Saranno i tatuaggi? Le metto soggezione?
Luna chiude la bocca di scatto. «Perché mi guardi in quel modo?»
«Hai giusto un po' di saliva qui», dico e con una mossa ben calibrata, anche se azzardata, mi faccio vicino e le sfioro l'angolo del labbro.
Un brivido delizioso scivola lungo la mia schiena al contatto con la sua pelle liscia e morbida. È così delicata che viene voglia di prenderla a morsi.
«Che stai facendo?», domanda con voce improvvisamente roca. «Non puoi toccarmi in questo modo».
«Significa che posso farlo in altri modi? Perché se è così avrei già qualche idea», assottiglio le palpebre e lei si agita sul posto. Non mi è difficile percepire il tumulto generato dal suo cuore.
«Sei un animale!», mi spinge senza forza.
Metto le mani in bella mostra facendo un passo indietro. «Sto scherzando», le rivolgo un sorriso disarmante. «Non ho nessuna intenzione di saltarti addosso, Miele».
«Ti piace proprio, eh?»
«Fare cosa?», fingo di non avere capito.
«Tormentarmi», ribatte irritata. «Stuzzicarmi per avere una mia reazione e poi fingere di non essere tu il colpevole».
Continuo a sorriderle appoggiandomi con la schiena all'inferriata della scala. Mi sta attaccando e non lo nego: mi piace. Ma il suo giudizio sulla base di eventi e situazioni passate, al momento è fuori luogo. «A volte è divertente. Altre quando sei così sospettosa e scontrosa, meno».
Perché per noi è sempre stato più facile disprezzarci mantenendoci a debita distanza, piuttosto che trovarci faccia a faccia e fare i conti con i dubbi e la dura realtà.
Vederla così turbata e indispettita è qualcosa che non ti aspetti. Soprattutto quando si infuria infiammandosi come un fiammifero sfregato contro la carta ruvida. Riesce a essere quiete e subito dopo a scatenare una tempesta. È maledettamente forte e pronta a dare una scossa alla mia quotidianità.
«Rimettiti a dormire. Sembra che tu ne abbia bisogno».
«Posso restare?», domanda poco convinta. C'è sorpresa nel suo tono.
«Se vuoi ti lascio il letto. Anch'io ho bisogno di dormire. Nessuno ci disturberà, non preoccuparti».
«Il divano andrà bene».
Senza aggiungere altro mi incammino sul soppalco.
«Sai, dovresti smettere di fingere e permettere agli altri di vedere che in realtà sei una persona buona».
La sua voce mi raggiunge proprio mentre sono a metà della rampa. Mi fermo, stringo la presa sul corrimano. Le nocche sbiancano.
Mi è sempre stato fatto notare che prendo quello bramo. Che spesso voglio quello che non posso avere e lo ottengo a ogni costo. Ma so con certezza che quando si stringe nel petto qualcosa di cui si ha un estremo bisogno, si rischia di distruggerla. Io non posso desiderare lei e non posso nemmeno ferirla, perché il solo pensiero mi farebbe impazzire del tutto.
C'è una linea, un confine da non superare. Lei deve accettarlo.
«Non hai ancora capito che quando la gente riceve del bene non si aspetta nient'altro e inizia anche a pretendere? Non sono una fottuta certezza. Tantomeno un eroe, Miele. E faresti bene a tenerlo a mente».

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Moonlight - L'amore non ha antidotoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora