Capitolo 9

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~ Toren ~

«Non farò niente con te», precisa con aria solenne.
Aggrotto la fronte, nascondo dietro una risata l'irritazione. Perché il modo in cui mi guarda, mi rifiuta e risponde, mi spinge a immaginare modi e metodi alternativi per farla cedere.
Sto continuando a ripetermi che è solo un modo come un altro per tenerla in pugno, per ottenere quello che mi serve e poi lasciarla andare. Ma non avevo preventivato che sarebbe stata così tosta. Luna non si arrende. Dietro quegli occhi da scoiattolo stordito dai fari di un'auto, si cela ben altro. Prima mi ha dato modo di notare una minuscola crepa. Ha molteplici punti deboli, ma sarà lei a mostrarmeli uno dietro l'altro. Sarà lei a parlarmi della sua vita.
«Voglio solo portarti in un posto. Hai pensato a qualcosa di peccaminoso e perverso? Incredibile!»
«Sei tu quello che fa allusioni di continuo. Volevo solo mettere le cose in chiaro sin dal principio».
«Avresti dovuto farlo prima di sdraiarti accanto a me sul letto e prima di strusciarti sul mio cazzo», ribatto senza tante cerimonie aprendole la portiera. «Avanti, sali».
Lei solleva un sopracciglio, storce il labbro carnoso, a cuore, infine entra in auto senza ribattere. So per certo che vorrebbe farlo, non sopporta chi le impartisce ordini.
Metto in moto, e prima che possa anche solo ripensarci, aprire la portiera e lanciarsi, aumento la velocità e blocco le sicure.
Se ne accorge e si volta abbastanza in fretta da farmi capire che sta aspettando una spiegazione alla mia straordinaria performance del possesso.
Consapevole di poter sembrare un maniaco, affermo: «Ti ho chiesto di venire con me in un posto, non di scopare come due in astinenza. Cazzo, ho una dignità, Miele. E posso sempre pensarci da solo a soddisfarmi», di seguito preciso il concetto facendo il gesto con la mano in direzione dei pantaloni.
Luna tiene strette le dita in grembo. Tortura, di tanto in tanto, lo smalto sulle unghie. Ha un'espressione talmente buffa da farmi ridere.
«Non verrei a letto con te nemmeno se fossi l'ultimo uomo rimasto sulla terra».
Le scocco un'occhiataccia in tralice. «Ne sei così sicura o è solo il tuo pregiudizio nei miei confronti a parlare?»
Apre e richiude la bocca, chiaramente confusa. Le ho appena rigirato le sue stesse parole. È stata lei ad accusarmi per prima di avere dei pensieri sul suo conto che non rispecchiano la realtà. Sto semplicemente ricambiando il favore.
«Non ho dei pregiudizi su di te. Sei esattamente come ti mostri: spudorato, narcisista e stronzo!»
«Hai dimenticato una cosa fondamentale», mi accendo una sigaretta prendendo una lunga boccata di fumo dietro l'altra. «Sono bravo a letto e tu hai bisogno di un orgasmo per smettere di essere così rigida».
«Non sarai di certo tu a procurarmene uno».
Passo la punta della lingua sul labbro superiore. Se fosse una sfida appena lanciata la sua, accetterei nell'immediato. «Potrei dimostrarti il contrario. Inoltre, non sono poi così brutto».
Strabuzza gli occhi come se si fosse appena strozzata con la propria saliva. «No, grazie. Sei anche molto modesto».
Mi fermo nel parcheggio proprio dietro "l'Ice Ocean" dei Bennet, spengo la sigaretta e la conduco lungo la passerella che ci porta dritti al Luna Park. Questo si trova su un isolotto. Sembra costruito in un mondo a sé.
Di notte molte delle luci rimangono accese, ma non c'è nessuno e questo posto è incredibile lo stesso. Forse di più.
Mi è sempre piaciuto venirci per riflettere o quando ho avuto una giornata storta.
Conosco il signor Aston, so dove tiene le chiavi di scorta del suo negozio di dolciumi. Gli ho scritto un messaggio prima di vestirmi, e nonostante sia notte fonda mi ha risposto dandomi la sua benedizione.
«Allora, qual è la tua teoria?», domando notandola guardarsi attorno circospetta.
«O vuoi uccidermi o sei qui perché ti sei illuso di potermi ammaliare con la tua bellezza».
Ghigno. Mi piace la sua schiettezza. Ancora di più il fatto che sia tanto sveglia.
«Sarei pronto in entrambi i casi», sollevo le sopracciglia allusivamente e lei sbuffa. «Potresti smettere per un paio di giorni o anni di comportarti così? Magari che ne so, potresti scoprire che c'è altro oltre al sesso».
«E non avere questo?», la indico. «Nah, preferisco stuzzicarti, Miele. Regala una certa soddisfazione al mio ego».
Mi molla un colpetto. E Dio solo sa quanto questo gesto mi faccia eccitare.
«Vuoi piantarla?», domanda guardandosi intorno quando la conduco verso uno dei locali. Si ferma a pochi passi dalla giostra, guarda i sedili a forma di animali.
Leggo un velo di tenerezza nei suoi occhi, poi però si ingobbisce su se stessa, come se avesse freddo e trattiene il fiato.
Uno, due secondi ed è come se le tornassero alla mente molteplici brutti ricordi. Perché se dapprima sorride, adesso la sua espressione muta come il sole oscurato dalle nuvole.
È impressionante la quantità di tristezza che riesce a fare trasparire in una singola espressione. Mi cattura, mi distrae, mi fa perdere.
Vorrei avvicinarmi, catturarla in un abbraccio. Credere di essere in grado di proteggerla. Essere l'eroe della sua storia. Perché quando la guardo riesce a farmi sentire un po' meno incasinato. Ma so di essere solo capace a rovinare tutto. Io non posso darle ciò che le serve.
Pertanto mi avvicino e le adagio sulle spalle la giacca che ho portato. È tutto quello che posso fare.
Appare colpita dal mio gesto e un cipiglio le si presenta sul volto. È solo un attimo, eppure è abbastanza per capire con che razza di uomini lei sia stata. Ma forse ha anche a che fare con la sua famiglia. Le è stato tolto tutto. Dato poco. Ha vissuto effimeri momenti di felicità, briciole di sensazioni strappate via troppo presto, come petali di un fiore.
«Non posso smettere. Neanche tu puoi», sussurro con voce roca.
L'aria frizzante lasciata dalla pioggia, le gocce che scendono dai tetti, dalle giostre, i tuoni in lontananza, l'odore perenne dei pop-corn, ci avvolgono.
Apro la porta del locale e la lascio passare accendendo solo le luci dietro il bancone.
Luna si guarda subito incuriosita e sospettosa intorno. «Come facevi a sapere dove si trovava la chiave secondaria di questo posto? Se ci caccerai nei guai, sappi che te la farò pagare».
«Tecnicamente l'ho presa dalla scatola elettrica. Ma per rispondere alla tua domanda, conosco il proprietario. È stato lui a indicarmi il punto. Domani cambierà posto. Gli aggiusto i macchinari e le auto gratis da quando avevo diciassette anni. Di tanto in tanto mi permette di stare qui, ma a patto che non riduca in pezzi il suo locale e lo lasci pulito», giro intorno al bancone e riempio una coppetta grande di gelato, aggiungendo sopra caramelle e cioccolatini di ogni tipo, usando i guanti e gli utensili.
Luna va a sedersi scegliendo uno dei tavoli migliori, in fondo, davanti una vetrata che offre uno scorcio del molo.
La raggiungo mettendo la coppetta al centro. Le passo un cucchiaino colorato. «Ti piace?»
«È un bel posto. Non ero mai entrata. L'ho sempre guardato da lontano. Non posso credere che sia esattamente come lo avevo immaginato», inspira l'aria dolce allo zucchero e sorride a occhi chiusi.
Mi appoggio allo schienale della poltrona rossa e prendo una cucchiaiata di gelato alla vaniglia. Luna mi imita ed emette un verso di pura estasi. «Dio, pure il gelato è buono», biascica come una bambina a cui brillano gli occhi.
«Dove cazzo ti hanno tenuta per tutto questo tempo?», mi sfugge ad alta voce. «Spero tu abbia un piano per farla pagare a quei figli di puttana, perché meritano una punizione».
Rimane con il cucchiaino in bocca. La visione è alquanto equivoca. Mi fa serrare i denti, agitare sul posto e stringere le gambe, dove una consistente erezione si è appena fatta strada nei boxer.
«Dovrei rispondere o era solo un pensiero sfuggito dalla tua boccaccia?»
Mi rilasso stendendo le gambe, circondo le sue e le rivolgo la mia attenzione.
Passa appena un istante, non riesco a resistere. Non se mi fissa come se stesse frugando dentro la mia anima. «Dalla tua potrebbe sfuggire qualcosa di meglio, se solo accettassi che la mia si mettesse in movimento», la stuzzico.
Alza gli occhi al cielo. «Ci risiamo!», borbotta con la bocca piena di gelato.
Mi sporgo e lei sussulta al tocco delle mie dita che eliminano solamente un alone dall'angolo della sua bocca invitante. «Per la cronaca ti sto stuzzicando perché è divertente ottenere risposte tanto teatrali».
«Maturo da parte tua».
«Non mi sembra che l'età sia un problema quando smetti di vedermi come il tuo nemico numero uno», mi appoggio alla poltrona e prendo una consistente cucchiaiata di gelato, così tanto da congelarmi il cervello.
«Che cosa significa questo esattamente?», domanda avvicinando la coppetta.
Appoggio i gomiti sul tavolo tenendo il cucchiaino tra due dita come se fosse una sigaretta. «Significa che c'è qualcosa che ti frena. Vuoi dirmi che cosa ti ho fatto per ottenere questo?», la indico mentre mi fissa con rimprovero e diffidenza.
Sto cercando di mettere le carte in tavola. Non so la ragione, non so nemmeno perché ho preso proprio adesso il discorso. Penso sia soltanto dettato dalla mia curiosità. Sono anni che mi chiedo perché. Magari per una volta e per tutte riusciremo a chiudere la storia dell'essere nemici e comportarci civilmente quando ci incontriamo. Perché succede e succederà ancora finché lei si troverà qui.
«No. Non c'è niente a frenarmi. E io? Cosa ti ho fatto?»
«Allora spiegami perché continui a guardarmi come se fossi qualcosa da evitare?», incalzo.
Lecca il cucchiaio.
Non si rende conto di quello che mi provoca. «Allora?»
«Se... mi avvicino troppo a te finirò per farmi male?»
«Esatto. Ma non hai comunque risposto alla mia domanda».
«È questa la ragione».
Gratto la guancia, non mostrandole quanto mi abbia colpito. «Quindi è solo perché hai paura di poterti invaghire di me?»
Arrossisce, riesco a vederlo nonostante la luce al neon colorata attraversi il suo viso. «Tu non mi piaci, Terminator».
«Stai mentendo. Ma su una cosa siamo d'accordo: io faccio male alle persone che mi circondano».
Mi passa la coppetta. «E perché lo fai?»
Mi sfugge una risata di scherno. Se solo sapesse i pensieri che ho sempre avuto e i demoni con cui ho dovuto combattere prima di cedere, scapperebbe a gambe levate. «È nella mia natura».
Alza gli occhi al cielo. «Finiscila di parlare per leggende, non sei lo scorpione».
Le lascio l'ultima cucchiaiata di gelato e mi alzo andando a pulire il bancone. «Non sono la persona che credi».
Mi raggiunge. «Be', sono qui e sto rischiando nonostante tu sia velenoso».
Mi appoggio con le braccia al ripiano lucido color carta da zucchero. «Sei disposta a farti male?»
«La vera domanda è: vuoi farmene?»
Le sue labbra sono pericolosamente vicine e mi invitano. I suoi occhi verdi, due biglie magnetiche, mi spingono a immaginare di tutto, mi torturano. Che cazzo sto facendo?
Indietreggio. «Sei solo abbagliata dalla novità».
«Ti sbagli».
Faccio una smorfia ed estraggo una sigaretta dal pacchetto tenendola spenta tra le labbra.
«Chiudiamo qua questa stronzata prima che sia troppo tardi».
Sbatte le ciglia incurvate una manciata di volte. «Fammi capire, mi porti qui per dirmi questo? Mi stai scaricando come una ragazzina? Mi credi tanto stupida? Pensi che con quello che hai fatto io mi sia illusa? Che adesso mi metterò a piangere e ti supplicherò di non andartene? Affronta i tuoi cazzo di problemi interiori una volta e per tutte perché sei fuori di testa!», sbotta e superandomi raggiunge l'uscita del locale. Tiene una mano sulla maniglia e prima di spingerla per aprire la porta si volta. «Grazie per avermi offerto un posto in cui dormire e per il gelato. Non aspettarti che mi presenti all'officina domani. Da ora in poi sarò solo una cliente. Mi aspetto una tua chiamata quando l'auto sarà pronta».
«Miele...»
«Vattene al diavolo!»
Le lascio un po' di vantaggio mentre pulisco e chiudo il locale assicurandomi di non avere lasciato niente fuori posto.
Una volta all'esterno, vago con lo sguardo e quando la trovo se ne sta seduta su una panchina a fissare le onde agitate, mentre il vento le sferza sul viso facendo svolazzare i suoi capelli.
La raggiungo sedendomi a debita distanza e lei porta le ginocchia al petto. «Mi spieghi qual è il problema? È da quando hai avuto la discussione con Foxy che continui a scaricare su di me ogni tua frustrazione».
«Non dovresti farti carico dei suoi problemi», sputa fuori di getto.
Sollevo un sopracciglio. «Perché mai?»
«Sai bene che ti sta usando. Continui ad appoggiare il suo giochetto e di conseguenza diventi parte del suo mondo marcio e pieno di problemi. Non devi aiutarla o continuerà a volere di più».
«Sei gelosa di Foxy per caso?»
Ride isterica. «Io? Ovvio che non lo sono», esclama, abbastanza forte e come se il solo pensiero le rivoltasse lo stomaco. «Ma aiutarla non farà altro che darti altri problemi. Non ne hai ancora abbastanza? Sei così recidivo e ti piace così tanto da accettare le sue regole?»
«Lo so che mi sta solo usando. L'ha sempre fatto. Ma gli amici si aiutano e...»
Nega con la testa. «Lei non è tua amica. Come diavolo fai a non capire?»
Balza in piedi e con le mani premute sulle braccia si allontana infreddolita camminando lungo la spiaggia.
Accendo la sigaretta. «Non è solo per questo, vero? C'è dell'altro. Dimmi cosa».
Morde il labbro fermandosi davanti a me. Le adagio di nuovo la mia giacca sulle spalle. Non voglio che prenda freddo solo perché è intenzionata a non avvicinarsi o a scappare da me.
«Non c'è nessun altro motivo. Io e lei non siamo mai state amiche. Ha sempre avuto la convinzione che fossi come tutte le altre ragazze ricche con manie di superiorità. Ma non sono solo un bel vestito firmato o un viso grazioso. Non sono come lei mi ha sempre dipinta, mettendomi in ridicolo davanti a tutti quando ne ha avuto l'opportunità. Io non sono i miei genitori».
Ficco un pugno dentro la tasca. Ricordo bene ogni momento in cui Foxy ha fatto in modo che si sentisse sola e in imbarazzo. In quelle occasioni nemmeno Alissa riusciva a intervenire, altre non lo faceva per non andarci di mezzo. Ma c'è qualcosa che non riesco ancora a comprendere. «Perché non hai mai reagito?»
«Perché se solo lo avessi fatto, avrei dato il via a una guerra dove lei, l'inimitabile e perfetta Foxy, la reginetta delle stronze, mi avrebbe fatta a pezzi. E io non potevo, non posso frantumarmi ancora di più».
Ogni sua parola è una frustata. C'è impeto, un dolore nascosto e tanto risentimento. Dio solo sa come abbia fatto a resistere a ogni umiliazione, a ogni attacco. Solitamente suo fratello rimetteva Foxy al suo posto usando la loro attrazione fisica, forse anche il denaro.
Ma quando Peter non era presente? Quando Foxy agiva repentinamente non dando il minimo preavviso? Nessuno difendeva Luna. Eccetto il sottoscritto. Già, continuavo a farlo di nascosto, minacciando chiunque le si avvicinasse.
La cosa più assurda è che tutte quelle volte Luna non si faceva mettere i piedi in testa, eppure non rispondeva mai alle provocazioni con altre provocazioni. Rigava dritto tentando sempre di non abbassarsi ai livelli di una ragazza che amava stuzzicarla, portarla al limite, demolirla psicologicamente per toglierla di torno, per non avere rivali. Semplicemente rispondeva con educazione, pur lasciando alimentare dentro la rabbia.
In questo momento sto vedendo la vera Foxy attraverso gli occhi della ragazza che ho di fronte. E in fondo so che ha ragione.
«Non puoi assecondare ancora Foxy».
«Credi che non lo sappia? Siamo amici da prima che nascessi. La conosco».
Si volta e le si adombrano le iridi. «Ti piace proprio marcare il fatto che sei più grande, più adulto e uomo. Ma in quanto a fatti...», mi guarda con rimprovero, mi giudica, mi trafigge. «In quanto a fatti rimani lo stesso idiota che si fa usare da una che non sa cosa significhi volere bene a qualcuno».
C'è qualcosa oltre al suo astio verso Foxy. Non so se sia corretto definirla gelosia. So solo che mi manda in tilt.
«Ma se ci tieni tanto a portarti a letto una che non sa come ottenere diversamente quello che più desidera, fa' pure! Continua a seguire le sue orme come un povero naufrago. Però accetta il fatto che ti tradirà e che preferirà sempre la scorciatoia».
Sono sbalordito dalle sua capacità. Luna oltre ad essere una ragazza intelligente e schietta, coglie al volo dettagli che visivamente a un comune mortale poco attento potrebbero sfuggire. Ma non a lei. Osserva tutto e calcola bene ogni sua mossa, oltre a ponderare le parole con la capacità di ferire più della carta.
Sfodero un sorrisino trovando questa sua improvvisa agitazione eccitante. «Per quanto mi faccia piacere la tua approvazione sulle mie relazioni, sono sicuro di poter decidere da solo con chi scopare o chi aiutare».
Solleva il mento. «Bene, allora il mio compito qui è finito», mi porge la giacca. «Rimango della stessa idea e ti ho già detto cosa succederà da domani. Buona notte, Terminator».
In questo istante una rabbia improvvisa mi fa avvampare. Mi viene voglia di urlare e prendere a pugni qualcosa. Ma la fermo per un gomito facendola voltare con così tanto impeto da farla sussultare. La sovrasto con la mia imponente altezza e lei trattiene il fiato quando mi abbasso al livello del suo viso. «Sai che non accetto quello che stai facendo. Non obbligarmi a venirti a prendere con le cattive e porta il tuo culo alla mia officina domani alle sette», controbatto con un tono di voce freddo.
«Altrimenti?»
Nell'attimo in cui si volta, il mio corpo si tende, vibra come la corda di una chitarra appena sfiorata. Mentre i suoi occhi limpidi continuano a bruciare, chiudo i miei, cerco concentrazione e quasi gemo per il bisogno di toccare quella bocca con la mia. Morderla. Sentirne il sapore. «Altrimenti tutti sapranno che sei stata con me. Sai com'è, le voci potrebbero circolare in fretta e raggiungere le orecchie dei tuoi genitori o di tuo fratello».
Sto usando una carta vile, me ne rendo conto. Ma non mi sta lasciando molta scelta.
Arrossisce violentemente, le trema persino la palpebra sinistra. «Mi stai minacciando?»
«Sarà divertente fargli sapere che hai dormito nel mio letto. Che sei stata mia», le faccio l'occhiolino.
Scuote la testa allontanandosi di un passo, guardandomi disgustata. «Sei davvero tanto stronzo da farmi questo?»
«Mi sembra ovvio. Io non ho niente da perdere, anzi...», mi guardo le unghie.
Sbuffa. «Fa' pure», dice poco convinta allontanandosi.
Sul serio?
È così testarda. Porca puttana!
«Almeno lascia che ti accompagni a casa. Tanto vale fare le cose bene, no?»
«Non mi piaci per niente! Anzi, ti preferivo quando mi ignoravi».
«Andiamo, Miele. Non farei camminare da sola una ragazza a quest'ora. In auto potrai continuare a insultarmi».
Si ferma. «Perché lo fai?»
«Perché sono gentile?»
Mi fissa scettica. «No, è solo per un tornaconto. Riprova».
Sorrido e le circondo le spalle con un braccio avvicinandola. Dura poco il contatto. Si irrigidisce divincolandosi e camminiamo in silenzio per pochi minuti, fino a raggiungere il parcheggio e salire sul pick-up.
Il viaggio è silenzioso e ho il sospetto che lo stia facendo di proposito. Ma non cambierò idea. L'ho sfidata e lei ha risposto arrendendosi.
Mi fermo a pochi metri dal cancello della sua villa. Le luci sono spente e non si vede nessuno nei paraggi, nemmeno le guardie di sicurezza.
«Sana e salva, Miele».
«Grazie».
«Ci vediamo domani».
«O forse no», replica chiudendo la portiera con impeto. Mima di seguito un: «Notte notte», sollevando il dito medio e si allontana.
«Lo vedremo!», ringhio, facendo inversione di marcia.

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Moonlight - L'amore non ha antidotoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora