Prologo - Il rito

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Quando la luna sorgeva nel giorno del solstizio d'estate, nella mente di Prudence tornavano i ricordi degli anni passati nell'infelicità. Assieme a essi, la pervadeva la gioia della liberazione, la consapevolezza di aver trovato il suo posto, il suo angolo di beatitudine.

Era ormai al quinto anno e ogni volta che giungeva quella notte mistica a lei sembrava di star ripercorrendo un sogno. L'aria era quieta, i suoni della foresta le accarezzavano i sensi in una litania benefica. Prudence era pronta: già quattro volte aveva percorso il fitto sentiero tra i larici e i pini, una via segnata solo per lei.

Denudata di ogni indumento che potesse discostarla dalla natura, aveva lasciato le quattro figlie alla dimora di tronchi che lei stessa aveva costruito e si era addentrata nel sentiero verso est in solitudine.

Il rito necessitava di tutta la sua concentrazione e il percorso per raggiungere l'albero giusto era parte stessa della cerimonia.

Prudence proseguiva senza fretta, le braccia un poco aperte per poter sfiorare la corteccia, le foglie, i cespugli. I rami bassi spesso le carezzavano il corpo nudo in ogni sua parte, gentili e bramosi di poter assistere a ciò che si sarebbe compiuto. I lunghi capelli biondi le ricadevano lungo la schiena e ciocche venivano spesso mosse dal sottobosco a finirle davanti alle spalle, solleticandole i seni. Prudence non ci badava, lasciando che la natura l'accompagnasse come meglio credeva poiché passo dopo passo il momento dell'unione si avvicinava sempre di più.

Lo sguardo era fisso davanti a sé, i sensi concentrati sulle piante dei piedi che passavano sicure dalla ruvidezza delle radici al soffice cullare dell'erba. La luce si affievoliva, il canto delle civette si mischiava a quello degli assioli e persino le upupe percepivano l'eccitazione spinta dalla calda brezza estiva. Il chiaro di luna faticava a insinuarsi tra le fronde, ma Prudence non aveva problemi a seguire il cammino poiché le lucciole l'accompagnavano, silenziose e cortesi, rendendo ogni passo sicuro.

Superò l'albero che era stato di Uno, dando una fugace occhiata al bozzolo dalla quale la prima delle sue figlie era nata dopo il rito. Proseguì a est e incrociò l'albero di Due, di Tre e infine quello di Quattro, l'ultima delle sue figlie, il cui guscio si era aperto tre mesi prima con l'arrivo della primavera.

Mancava ormai poco al raggiungimento della meta e Prudence sapeva che avrebbe riconosciuto l'albero giusto senza alcuna fatica.

Era stata una donna qualsiasi in mezzo a una moltitudine di altre donne qualsiasi. Aveva vissuto tra quelli che avrebbero dovuto essere i suoi simili e si era sentita dire che prima o poi avrebbe dovuto piegarsi alle leggi, alle tradizioni. L'avevano chiamata diversa, le avevano dato della strega e lei aveva capito cosa fare solo quando l'enorme cometa blu si era schiantata nei monti a nord. La terribile oscurità e il terremoto conseguente all'impatto avevano scosso la sua anima, facendole aprire gli occhi. Prudence era fuggita da Beofild sfruttando la confusione e aveva trovato rifugio in quella foresta amica, dove ogni radice poteva essere un giaciglio e ogni ramo un riparo.

Non sapeva perché, ma mentre il corpo si muoveva inesorabile verso l'albero del rito, la mente tornava ogni anno a quel giorno. Non c'era tristezza in lei, né dolore; i respiri si susseguivano calmi e ritmici e le sensazioni fisiche prendevano il posto delle emozioni fino al momento in cui, sapeva, tutto sarebbe esploso.

Infine arrivò al luogo che la foresta aveva designato come giusto per lei, per quella notte. Restò ferma, il volto serio, le braccia lungo i fianchi e gli occhi verdi fissi a scrutare le lucciole posate su ogni ramo del larice; la notte era ormai fitta, ma in quella minuscola radura sembrava fosse mattina.

I sospiri della natura le sussurrarono canti di quiete a prepararla per ciò che sarebbe accaduto. Prudence percepì chiara e forte l'energia della natura salirle lungo gli arti e pervaderla in quell'invito che ormai aveva imparato ad amare. Mosse le mani verso l'albero e chiese alle radici di muoversi, fuoriuscendo dal terreno a creare la culla che sarebbe stata di Cinque, ma che ora spettava a lei.

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