12. Brama di lottare

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I pesanti passi di armature sul legno del pavimento si allontanarono assieme alle figure sbiadite dei due soldati e davanti a Garrett restò solo Rod, ancora incapace di stare fermo. Sforzandosi all'inverosimile, il mezz'elfo gli poggiò i palmi sulle spalle e raccolse ogni forza per riuscire a esprimere un concetto di senso compiuto. «Nella mia stanza c'è una borsa, delle erbe. Ne ho bisogno.»

Non era sicuro fosse vero, tantomeno sapeva se sarebbe riuscito a mescere una pozione in quello stato, ma doveva almeno provarci: il comandante stava arrivando e lui doveva essere lucido per poter salvare le ninfe. Quel solo pensiero stava donando un minimo di raziocinio alla sua mente e Garrett ci si aggrappò con tutto sé stesso.

«Cosa? Adesso? No, voi dovete riposare, dovete scaldarvi e riprendervi. Io non posso lasciarvi sol-»

«Rodnick!» Stringendo le dita sulla tunica nera del ragazzo, Garrett gli berciò in faccia il suo nome, interrompendolo, e quello si tirò indietro. Balbettò un assenso e sparì dal suo campo visivo, raccomandandosi di non muoversi da lì.

Dove cazzo pensava potesse andare?

Ritrovata la solitudine, Garrett si piegò ancora per cercare di alleviare il tormento nel ventre, abbracciandolo con un arto mentre l'altro era impegnato a tenere la testa perché non ciondolasse.

Le persone gli passavano davanti e forse qualcuno lo aveva persino guardato male, ma lui s'impose di focalizzarsi sul suo obiettivo a breve termine e trovò coraggio nel ricordare i lineamenti della ninfa. Per un tempo che non riuscì a definire, a occupargli i sensi ci furono solo le melodie del liuto e il cozzare di stoviglie sui tavoli. Non riusciva a percepire alcun odore e la vista si era ormai persa nel viso inesistente di Cinque disegnato nel legno del pavimento, unico elemento che lo stava tenendo ancora sveglio.

Garrett si accorse che la musica era cessata solo quando una voce sconosciuta lo destò dalla stasi che gli stava intorpidendo le membra sempre di più.

«Ohi, ohi, sembra che qui qualcuno abbia appena passato una pessima giornata.»

Il mezz'elfo strizzò le palpebre e si sforzò di alzare un poco il mento per tornare alla realtà. A fatica, scorse la sagoma di un uomo vestito con abiti sgargianti che si era accovacciato davanti a lui. Tossendo per scaldare le corde vocali, Garrett provò a rispondere a quell'affermazione. «Cosa volete?»

Lo sconosciuto emise un verso meditabondo, poi riprese a parlare con tono squillante ma abbassando la voce. «Non ho potuto fare a meno di notare che c'è qualcosa di singolare ben nascosta nella vostra borsa. Inoltre, il vostro ingresso ha disturbato la mia esibizione e volevo capire perché quel giovane cultista dello spirito della magia sembrasse tanto scandalizzato. Dovete essere un mezz'elfo importante, se addirittura delle rose reali vogliono farvi parlare col loro comandante!»

Ma chi era quel tipo? Ci mancava solo un cantastorie ficcanaso a peggiorare la sua situazione. Garrett avrebbe tanto voluto scacciarlo, ma le fitte nel ventre e nuovi colpi di tosse macchiati di sangue gl'impedirono ogni altra reazione. Perché nessuno nella stanza stava arrivando per dargli una mano?

Il bardo gli posò un palmo sul torace e avvicinò il volto al suo, inclinandolo un poco prima di riprendere a parlare, più cupo. «Vi siete strapazzato proprio tanto per arrivare a conciare così il vostro corpo, eh. Sapete, i mezz'elfi non mi sono mai stati troppo simpatici – brutte esperienze in passato, non sto a tediarvi – però non posso stare fermo a guardare mentre Ilimroth si avvicina a voi con la sua falce. Mi capite?»

L'irritante sproloquio dell'uomo si era interrotto con quell'orribile domanda retorica. Garrett stava davvero così male? Lo sconosciuto aveva tirato in ballo lo spirito della morte... e cosa ne poteva sapere un bardo? L'ansia invase le percezioni del mezz'elfo che fino a quel momento era riuscito a mantenere un minimo di contegno. Sentì il cuore battere più veloce, il respiro farsi affannato e il dolore aumentò, stordendolo ancora di più.

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