3. Mezzo cattivo

131 17 94
                                    

L'acqua nel grande stagno riposava quieta, il cielo rifletteva nubi candide e il sole brillava di fasci intensi sulla superficie smossa a intervalli dai pesci a caccia d'insetti. A Cinque piaceva rilassarsi sulla sponda sassosa, lì dove poteva vedere il fondo grazie alla limpidezza, per lei sinonimo di purezza incontaminata.

Erano passati tre giorni dall'agguato ai soldati e a lei era stato concesso di guarire nella radura che tanto la rilassava; era stato lì che Tredici l'aveva condotta subito dopo essere stata ferita. La sorella aveva chiesto a uno dei grandi aceri che crescevano rigogliosi sul limitare dallo stagno di poter avere qualche foglia e così aveva medicato il brutto taglio per prima. Era poi corsa a chiamare Tre che aveva terminato il lavoro grazie alle erbe mediche che amava coltivare.

Cinque aveva preferito restare a dormire su quella riva, beandosi dell'acqua fresca e godendo dei raggi solari che inondavano quello che era uno dei pochi luoghi vicino Casa a non essere nascosti tra le fronde della foresta. Tre era stata chiara: per guarire c'era bisogno di acqua e luce in abbondanza.

Però la culla di Ventitré andava protetta giorno e notte, quindi era stata scelta Venti per sostituire Cinque nella guardia, almeno fino a che non si fosse rimessa. Ora che poteva riposare lontana dalla violenza e dal sangue, però, lei non aveva molta voglia di tornare al lavoro imposto da Madre.

«Se gli uomini non esistessero, tutto sarebbe più semplice...»

Col dito disegnava figure circolari, spostando i sassolini che interrompevano la sua strada e riflettendo su improbabili vite parallele che non avrebbero mai potuto esistere. Quella era la realtà: Cinque aveva ucciso e avrebbe dovuto uccidere ancora, o la prossima volta non se la sarebbe cavata solo con una ferita sulla gamba.

Il sole calò adagio verso ovest, tingendo l'immensità dei colori dell'autunno che ancora faticava a sbocciare nella foresta. A quel punto della giornata i suoni intorno a lei avrebbero dovuto mutare gradualmente, però Cinque si accorse che c'era quiete, soprattutto verso sud-est. Provò ad alzarsi, ma il dolore era ancora troppo intenso e Tre le aveva detto di stare ferma o la ferita si sarebbe riaperta; la prospettiva di sprecare altra linfa non le era congeniale. Tuttavia qualcosa non andava, altrimenti il suo cuore non avrebbe avuto motivo di battere tanto veloce.

Cos'era quella paura innaturale?

Come il cervo che percepisce un predatore, Cinque si portò le mani al petto nudo e le strinse tra loro, voltando la testa in tutte le direzioni nel tentativo di captare qualche suono.

Poi, lo sentì.

Proprio a sud-est, qualcosa stava avanzando verso lo stagno e Cinque trattenne il fiato fino a quando non vide sbucare dai tronchi un uomo. Come c'era arrivato fin lì? Possibile che le sorelle non l'avessero visto? Sembrava essere solo, anche perché persino lei si era accorta della sua presenza quand'era troppo tardi.

Quello alzò lo sguardo e la vide, fermando i suoi passi. L'albero più vicino era a una cinquantina di metri da Cinque, troppo distante per udire le sue richieste d'aiuto. Era finita, perduta, indifesa in riva a quello stagno che tanto l'aveva confortata i giorni precedenti.

«Oh, una ninfa?»

L'uomo parlò con voce incuriosita e Cinque lo udì appena visto quanto ancora era distante.

Forse avrebbe potuto alzarsi a correre sperando che la ferita non si riaprisse e non la intralciasse troppo... ma no, che senso avrebbe avuto? Quel mostro sarebbe stato di certo più rapido di lei e non sembrava avere armature metalliche a intralciargli i movimenti.

Lui iniziò ad avvicinarsi a passi lenti e Cinque non riuscì a trattenere i tremori che le scossero le membra. Gridò, allungando un palmo aperto verso di lui. «Vattene o la foresta t'inghiottirà per proteggermi!»

CinqueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora