17. Ti amo

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Il suo grido disperato attirò l'attenzione sia di Prudence che del comandante, ma Garrett restò fisso a scrutare il corpo di Cinque, incredulo e devastato. Il fumo sempre più denso gl'impedì di capire se fosse ancora viva o meno e il primo istinto fu quello di correre da lei, prendere un'altra delle pozioni di cura e salvarla; non ci riuscì. Si sforzò per non tossire e dopo giusto qualche passo il comandante lo intercettò, la spada ritta e minacciosa tra i loro corpi.

«Ho sempre saputo che in fondo eri un traditore, stupido orecchie a punta.»

La voce roca coperta dall'elmo gli giunse chiara nonostante il frastuono tutto intorno e Garrett riacquisì lucidità: non avrebbe potuto andare da Cinque, non finché quell'uomo sarebbe stato in mezzo. La sua mole in armatura lo sovrastava ed era evidente che quella protezione avesse qualcosa di magico perché era segnata in più punti dagli attacchi dalle ninfe, ma era integra e lui illeso. Coperto così dalla testa ai piedi, l'alchimista non aveva speranze di poterlo vincere in un duello, ma la soluzione era già tra le sue dita. Non perse tempo nel tentativo di convincerlo a parole e si limitò a stappare la pozione grigiastra che stringeva spasmodico, per poi avvicinarla al viso mentre sussurrava le parole intrise di magia.

«Cosa stai facendo? Vigliacco!»

Una nota di preoccupazione colorò le parole del comandante che gli si avventò addosso intenzionato di certo a farlo fuori. Garrett doveva concentrarsi sull'attivazione della pozione e non riuscì a schivare del tutto il fendente: mentre scartava di lato, la lama gli sfiorò il petto e il ventre, ma una gamba era rimasta per un secondo di troppo in avanti. Il dolore minacciò di spezzargli il fiato e il mezz'elfo riuscì a terminare l'incanto per un soffio; prima che il comandante potesse rialzare l'arma ora sporca anche di sangue e non solo di linfa, Garrett fece forza sulla gamba sana e allungò l'ampolla verso il volto dell'uomo. Il liquido si tramutò in vapore e fuoriuscì dal vetro andando a insinuarsi tra le fessure dell'elmo; il comandante grugnì qualcosa, i suoi muscoli si rilassarono all'istante e lui cadde prono al suolo, così pesante da smuovere gli aghi dei larici e la polvere che già si stava accumulando a causa degli incendi.

Qualcuno tra i soldati e gli incantatori doveva di certo aver visto ciò che era appena successo, ma al mezz'elfo non importava: del resto, aveva solo usato una pozione soporifera e l'uomo si sarebbe ripreso in meno di un'ora, sempre che il fuoco non si fosse propagato anche nello spiazzo o qualcuno non lo avesse svegliato a calci.

Ora che la minaccia era stata debellata, Garrett poté osservare la ferita e ci mise ben poco a comprendere che si sarebbe presto dissanguato, se non avesse fatto nulla, però aveva ancora del margine per riuscire a raggiungere prima Cinque. Zoppicò per avvicinarsi a lei, quando una voce ricca d'odio lo congelò sul posto.

«Tu! È colpa tua!»

Il mezz'elfo non riuscì neanche a girarsi, poiché dal suolo davanti a lui s'innalzò una radice appuntita che riuscì a evitare giusto perché aveva fermato i suoi passi. Si sbilanciò, però, e cadde di schiena a causa della gamba ferita.

Da sdraiato riuscì a vedere al contrario che Prudence, dietro di lui, piangeva a palpebre sgranate – la sclera rigata di rosso a circondarle l'iride verde – e si stava ancora tenendo il fianco con una mano, mentre l'altra era allungata in avanti. Anche i muscoli del viso erano tesi dallo sforzo e il mezz'elfo riuscì solo a imprecare a denti stretti, visto che dal suolo sotto di lui percepì come dei piccoli tremori. Rotolò di lato per istinto e una seconda radice gli sfiorò un fianco, andando a infilzare senza pietà la sua borsa. Il rumore di vetri infranti si mischiò al caos e a Garrett si gelò il sangue: lì dentro aveva ancora un paio di pozioni di cura e gli servivano, cazzo...

La preoccupazione gli rallentò i riflessi e non fu abbastanza veloce quando un secondo tremolio della terra fu seguito dall'ennesima radice che riuscì a mordergli la spalla destra, passandolo da parte a parte e lì restando, lasciandolo impalato. L'armatura di cuoio non era servita a nulla e lui poté solo gemere colto dalla sofferenza mentre la viscida sensazione del sangue sulla pelle si mescolava al bagnato delle sue pozioni distrutte.

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