Garrett aveva bevuto quel veleno ed era sparito. La voglia di urlare fu tanta, ma Cinque riuscì a trattenersi e restò imbambolata a guardare il fumo che cominciò subito a spostarsi fuori dalla gabbia. Le si avvicinò e lei sentì lo stimolo a scacciarlo via, terrorizzata, fino a che nelle orecchie la flebile voce del mezzo elfo la fece trasalire.
«Sono sempre io, non spaventarti.»
Cinque balbettò versi incoerenti e le sembrò di sentire una piccola risata, prima che la voce nel fumo tornasse. «Prendi i miei vestiti e la borsa, così potremo andarcene da qui.»
La ninfa neanche si era accorta che gli abiti di Garrett si erano afflosciati al suolo nel momento in cui lui si era volatilizzato, però ora stava cominciando a tornare lucida ed eseguì in fretta ciò che le aveva chiesto. Si accovacciò e dovette allungare parecchio il braccio tra i pali per raggiungere i tessuti abbandonati nella gabbia, poi si mise a tracolla la borsa di cuoio e seguì il fumo verso il buco che dava sull'esterno.
Aveva capito che Garrett era lì, in qualche assurdo modo, e decise che era meglio per tutti se la smetteva di cercare di trovare un senso a quella cosa assurda: era evidente che nel mondo fuori dalla foresta c'erano misteri sorprendenti, inimmaginabili.
Sbucando con la testa all'esterno con le gocce di pioggia fitta a bagnarla, Cinque controllò che non ci fosse nessuno e scorse giusto Tre, acquattata dietro a un muro dell'abitazione di Madre. Annuì nella sua direzione – ricevendo un piccolo gesto di rimando – e uscì del tutto, correndo verso gli alberi. Il cielo cupo e l'acqua le resero molto difficile vedere dove fosse il fumo, però sapeva che la stava seguendo. Spense il cervello per evitare di rimuginare su quella cosa e si concentrò sull'allontanarsi il più possibile da Casa e dai percorsi delle sorelle; proseguendo a sud avrebbe aggirato tutto e lo avrebbe riaccompagnato lei stessa sul sentiero degli umani per essere certa che fosse al sicuro.
«Cinque, aspetta!»
Avevano già corso per parecchi metri quando la voce di Garrett, più forte di prima, la bloccò. Girandosi, la ninfa trasalì di nuovo poiché non si aspettava di rivedere il mezzo elfo in carne e ossa tanto presto, ma il particolare che la stranì più di ogni altro fu che fosse nudo. Con le mani si copriva la protuberanza che tutti gli animali maschi avevano tra le gambe e Cinque restò fissa a osservare i muscoli delineati prima delle braccia, poi le gambe e infine il busto.
Fu davvero strano perché era la prima volta che Cinque vedeva un uomo senza tutti quegli abiti a coprirlo e dovette ammettere a sé stessa che non era affatto male. La pioggia gli disegnava scie trasparenti lungo la pelle chiara, spesso inframmezzata da una singolare peluria scura.
Che animali strani che erano gli uomini.
«Ehm, potrei riavere i miei vestiti?»
Cinque si riscosse e s'incuriosì a dismisura nell'accorgersi di quanto lui fosse diventato paonazzo. Prima di porle quella domanda aveva tossito appena in evidente imbarazzo, l'ennesimo comportamento degli uomini che lei faticava a comprendere. In effetti, però, anche Madre passava la maggior parte del tempo con indosso degli abiti, anche in estate quando faceva caldo.
La ninfa gli andò davanti e gli posò un palmo sul petto, godendo di un lieve tepore a quel contatto piacevole. Per fortuna la pioggia lo aveva lavato e ora il suo meraviglioso profumo era tornato più prorompente che mai.
Garrett restò qualche istante a guardarla in viso, poi fece un verso strano a metà tra un sospiro e qualcos'altro e alzò un braccio per prendere gli abiti che Cinque teneva in spalla. «Suppongo che chiederti di non guardare sia stupido...»
Lei restò ferma e non gli tolse gli occhi di dosso neanche un istante, incuriosita dai suoi movimenti e dal modo in cui i muscoli si flettevano nel compierli. «Perché?»
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Cinque
FantasiaA Prudence la società umana non era mai andata a genio. Sentiva di avere un legame incomprensibile con la natura e fu proprio in essa che trovò il suo rifugio. Prudence non era una donna come le altre e lo capì fino in fondo solo quando sentì il bis...