Prologo

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Novembre 2013

Non gli piaceva. Non gli piaceva affatto ciò che stava vedendo. D'altra parte, chi gradirebbe osservare la propria moglie tra le braccia di un altro uomo?

All'inizio non ci aveva creduto. Anzi, era stato sul punto di far saltare i denti a Pete Carlson. Il vecchio trasportatore della Delly Piggy era alto e ben piazzato, ma aveva l'animo docile di un coniglietto e non aveva mai fatto a botte nella sua vita. In più di un'occasione le apparenze lo avevano salvato dai guai (chi mai vorrebbe attaccar briga con un rude camionista di un metro e novanta?), tuttavia quella volta aveva avuto la sfortuna di dire la cosa sbagliata alla persona sbagliata.

In fondo, cosa ci si può aspettare quando si rivela a un amico di aver visto la Renault di sua moglie parcheggiata davanti al Break Motel lungo la 31? Se poi si aggiunge che era anche l'unica auto dell'intero parcheggio è come se si pregasse per ricevere una punizione fisica. Ma non l'aveva fatto. Pete, l'omaccione con le lacrime agli occhi che continuava a ripetere quanto fosse dispiaciuto, non meritava alcun castigo. Era suo amico da oltre trent'anni e si era soltanto limitato a fare ciò che aveva sempre fatto dai tempi del liceo: coprirgli le spalle. Si era scusato, dando la colpa alla rabbia del momento, ed era corso via dal suo minuscolo studio al terzo piano del Pentwater Hospital.

«Non preoccuparti, ti capisco», gli aveva gridato dietro Pete con la voce ancora tremante, ma lui non aveva risposto. Ancora col camice indosso (al diavolo le visite del pomeriggio) aveva raggiunto prima l'ingresso, poi la sua Honda nel viale d'accesso, ignorando qualsiasi infermiera o collega tentasse di fermarlo. Non gli fregava del paziente in ambulatorio che si era tolto la fasciatura prima del tempo, né della signora in sala d'attesa che pretendeva di essere visitata immediatamente. Diamine, non gli sarebbe importato nulla neppure se a qualcuno fosse venuto in mente di avere un infarto sotto i suoi occhi. Erano tutte stronzate.

Aveva guidato senza mai staccare il piede dall'acceleratore. A pensarci bene, era stato un miracolo che non fosse finito fuori strada con l'asfalto umido e le gomme ormai da buttare. Forse l'universo voleva aiutarlo a scoprire la verità.

Venti minuti più tardi era esattamente dove si trovava in quel momento: impalato davanti alla finestra della camera numero cinque, l'unica con un'auto parcheggiata davanti. Pete ci aveva visto giusto, la Renault con la targa del Michigan era proprio quella di Maggie. Non aveva avuto bisogno di avvicinarsi per saperlo, la voce nella sua testa aveva creduto alle parole dell'amico sin dal primo istante.

Da mesi sospettava che sua moglie avesse una storia con qualcun altro. Non che ne avesse le prove, ma era una di quelle sensazioni viscerali che ogni persona presto o tardi prova nel corso della propria vita, e quando quel momento arriva la scelta più saggia è affidarvisi senza battere ciglio perché l'alternativa è molto più distruttiva. Lui quella verità l'aveva avvertita nelle loro discussioni, nelle vibrazioni dell'aria quando si trovavano nella stessa stanza, e persino sulla pelle che sfiorava mentre facevano l'amore. Maggie non era più sua. Altre mani l'avevano toccata e altre labbra avevano raccolto i suoi baci. Più di una volta l'aveva vista sorridere guardando il cellulare, invidioso di quell'espressione che un tempo era riservata a lui.

Davvero speravi di sbagliarti? chiese la voce nella testa.

, ammise osservando Maggie graffiare la schiena di Bryce Woods, il suo capufficio. Avvertì un brivido scendergli lungo le spalle, esattamente nel punto in cui le mani di Maggie stavano incidendo le scapole di quel bastardo. Chissà, forse era il freddo, dopotutto aveva dimenticato il cappotto in ospedale. Ma anche quella era una speranza. La realtà era che non sentiva proprio niente all'infuori del cuore che batteva, e batteva, e batteva.

Tum, tum, tum. Dio, pareva sul punto di saltargli fuori dalla gola.

Era un pensiero infantile, un meccanismo di difesa che gli era servito a condurre una vita normale. Era persino arrivato a pensare che quell'esperienza fosse necessaria per far comprendere a sua moglie che il loro amore era in grado di affrontare quel momento di debolezza.

Le lacrime avevano cominciato a rigargli il viso prima ancora che se ne accorgesse. Erano calde e salate e avevano il sapore di un rimprovero. Maggie stava baciando un altro uomo. Stava ridendo con lui, giocando con lui. Stava facendo l'amore con lui. No, non era lei quella debole.

Allungò la mano verso la porta. Voleva entrare, coglierli sul fatto, urlare e...

E poi?

Quella domanda restò incastrata tra i suoi pensieri. Non sapeva come replicare

Si voltò verso la strada. Dal cielo grigio stavano iniziando a scendere sporadici fiocchi di neve. Le previsioni avevano annunciato che nei prossimi giorni ci sarebbero state delle nevicate. Le aveva ascoltate soltanto quella mattina, eppure sembravano vecchie di anni.

Una folata di vento più forte delle altre gonfiò il camice e gli scompigliò i capelli. Tremò, stavolta per il freddo. Ritrasse la mano, che ciondolò priva di vita lungo il fianco. Maggie era ancora in quella schifosa camera, eppure aveva la sensazione di aver atteso troppo. L'attimo era passato e aveva perduto il diritto di tirar fuori la propria rabbia.

Diede un'ultima occhiata oltre la finestra. Erano sul letto, lei sopra di lui coi suoi lunghi capelli corvini che le scendevano lungo la schiena nuda e sudata. Nessuno dei due riusciva a trattenere i gemiti di piacere. E perché avrebbero dovuto farlo? Erano soli, in un motel deserto lungo la statale. Non c'era nessuno oltre a loro.

Il telefono nel suo camice iniziò a vibrare. Per fortuna era uno di quei tipi che odiano le suonerie. Il mondo aveva già troppi rumori per torturarsi tutto il giorno tra chiamate, messaggi e notifiche varie.

Non che avrebbe fatto la differenza. I due inquilini della camera numero cinque non lo avrebbero sentito neppure se si fosse messo a battere sui vetri.

«Pronto?» rispose senza distogliere lo sguardo dallo spiraglio che si apriva tra le tende.

«Signor Greyson? Ted Greyson?»

«Sono io, mi dica.»

«La chiamo dalla segreteria della Norton Elementary. Sua figlia Lydia ha la febbre. Non è grave, adesso è in infermeria con la sorella, ma mi hanno chiesto di riferirle che forse sarebbe meglio riportarle a casa.»

«Arrivo subito.»

«Vuole che telefoniamo anche a sua moglie? Oppure...»

«No, non ce n'è bisogno».

Attaccò prima che la segretaria potesse aggiungere altro e tornò all'auto. Mise in moto e si diresse di nuovo verso Pentwater, lasciandosi alle spalle il Break Motel e il suo segreto.

Le lacrime si erano asciugate. Si sentiva in colpa. Per un secondo aveva pensato solo al proprio dolore, dimenticando chi erano le vere vittime di quella storia. Doveva proteggere Lydia e Sarah, non avrebbe permesso a Maggie di renderle infelici come aveva fatto con lui.

Lo farò per loro, decise.

Avrebbe sostenuto il peso di quel dolore, e l'avrebbe fatto in silenzio.

Per loro, il suo vero amore.

Il segreto di Ted GreysonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora