[Uno]

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                                   Simone

Quando rividi Manuel per la prima volta dopo tre mesi, la cosa che più mi fece stranire fu il fatto di rendermi conto che il cuore non stesse cercando di scoppiarmi dentro al petto.

Per tutto il tempo che ero stato a Glasgow, mi ero interrogato su come sarebbe stato ritrovarmelo di fronte, con i suoi soliti occhi impenetrabili e il suo sguardo tagliente.
Non ci eravamo persi, quasi ogni sera lui mi aveva videochiamato, puntuale prima di andare a dormire. Mi aveva raccontato delle sue giornate, del lungo tempo trascorso in garage, del caldo che faceva a Roma che quasi non si respirava.
Qualche volta mi aveva chiamato di notte, con la voce impastata dal sonno e dall'alcol, post qualche serata misteriosa.
Non si capiva mai dove andasse e con chi, ma al ritorno mi svegliava e mi parlava di quel che gli passava per la testa, solitamente pensieri sconnessi.

Mi ero ormai rassegnato, avevo sentito quel sentimento affievolirsi man mano, grazie al tempo e alla distanza.
Un po' ne ero dispiaciuto, ma per il mio bene era stato meglio così.
Conoscevo il suo punto di vista, ci eravamo già scontrati più volte, ero io quello che doveva cambiare rotta e lasciarlo andare se volevo mantenere almeno l'amicizia.

Il primo giorno di scuola del quarto anno, lo ritrovai in piedi davanti al chiosco, di spalle, intento ad addentare una brioche.
Sorrisi e mi avvicinai di soppiatto, lo attaccai alle spalle e lo abbracciai per un secondo.

Era piacevole stargli accanto senza sentirmi perennemente oppresso dalla voglia di dirgli che ne ero innamorato.
Non faceva più male, stavo finalmente bene e in pace con me stesso.
Ormai tutti erano a conoscenza della fase che avevo attraversato e non vivevo più con l'ansia di essere scoperto.
Manuel mi guardò, il sorriso esteso fino a illuminargli gli occhi.

- Oh, Simò! Mannaggia a te oh, tre mesi. Te rendi conto? L'hai fatta la vacanza, eh?
Mi lanciò uno sguardo che sembrò analizzarmi dalla testa ai piedi.
Si, dai. Non posso lamentarmi. Stare lontano da questo posto mi ha fatto solo bene, poi ormai con papà le cose vanno meglio, è venuto anche lui per un po' di tempo. E tu, invece?

Manuel fece una smorfia, prese la tazzina del caffè tra le dita e se la portò alle labbra.
- Che dirti, ci siamo sentiti tutto il tempo. La vita che ho fatto la sai. Nulla di nuovo.
Annuii.
- Ma te sei fatto l'orecchino?
Manuel mi fissò l'orecchio sinistro, puntando l'oggetto metallico.
Avvicinò due dita per toccarlo per un momento, poi mi diede un colpetto sulla spalla.
- Sei proprio cambiato, oh - concluse, con un mezzo sorriso e il tono di voce quasi sospirato, sorpreso.

- È solo un orecchino, eh.
- Si, si. Che facciamo, entriamo?
- Va bene.
Mi sistemai lo zaino in spalla e lui raccolse il suo da terra.
Ci avviammo verso il portone e trovammo tutti i nostri compagni, sembrava che l'estate avesse fatto bene proprio a tutti.
Non ero sicuro che ciò valesse anche per Manuel, qualcosa mi diceva che non se la passasse così alla grande come voleva far intendere.
Ma l'anno scolastico era appena iniziato e avrei avuto tutto il tempo per capirci qualcosa in più, stavolta senza accollarmi anche i sentimenti.

Laura ci venne incontro, puntandosi davanti a noi.
- Avete saputo del ragazzo nuovo?
Scossi la testa.
Manuel, le labbra arricciate, rispose:
- No, chi?
- È un ripetente, si chiama Francesco. È bellissimo, vi giuro. Lo vedevo in giro per i corridoi l'anno scorso.
- Ah, tu mentre eri con me guardavi gli altri?
- Parli proprio tu. E poi, gli occhi sono fatti per guardare, eh. E dovresti saperlo bene.
Lanciò un'occhiata eloquente a Manuel.
- E c'hai ragione - ammisi.
Ma io non avevo idea di chi fosse questo tipo, non me ne ero proprio reso conto. Forse ero stato troppo preso dall'altro, che in questo momento stava in piedi accanto a me, col gomito allungato per poggiarsi sulla mia spalla.

- E comunque - continuò Laura, a bassa voce - è gay.
- Ah - fece Manuel.
Poi si scostò da me.
- Vabbè, io entro eh. Ci vediamo al solito posto, in classe.
Alzai la testa e acconsentii mentre lo guardavo allontanarsi.

Laura, intanto, mi guardava con un sorrisetto abbastanza compiaciuto.
- Che c'è?
- Come che c'è? Ti ho dato la notiziona dell'anno.
- Ho capito, ma non è che adesso devi farmi da agenzia matrimoniale. E poi sto bene così.

Quando entrammo in classe, come previsto, io e Manuel ci sedemmo allo stesso modo dell'anno precedente.
Prese un quaderno e iniziò a scarabocchiarci qualcosa.
- Che stai facendo? - chiesi.
- Qualche schizzo per nuovi tatuaggi. Sto creando una specie di giro, me sto a fa i clienti Simò.
- Allora magari me ne faccio un altro, un giorno di questi.
- Eh, basta che non fai come l'ultima volta che te sei lamentato tutto il tempo per 'na scritta microscopica.
- Stronzo.

Sorridemmo insieme.
Era bello questo nuovo rapporto, stavamo bene. Nessuna questione irrisolta, nessuna parola non detta.
Non avevo voci dentro di me che mi urlavano di esprimergli tutto quello che provavo.
Certo, non ero mica diventato scemo. Che era bello lo sapevo, i miei occhi probabilmente a tratti mi tradivano e lo guardavano ancora con un certo interesse.
Ma era una questione leggera e solo fisica, non mi toccava nel profondo.

I miei pensieri furono interrotti dalla voce di mio padre, che entrò in classe con una mano intorno alle spalle del nuovo arrivato.
Francesco.
Sguardo un po' impacciato ma provocatorio, occhi chiari, direi verdi da quel che riuscivo a notare da lontano.
Magrolino, alto, capelli fluenti fino alle orecchie, un po' spettinati.
Sembrava un Timothée Chalamet italiano qualunque.
Dentro di me non potei che apprezzare, ma come avevo fatto a non notarlo davvero mai in giro per scuola?

Sentii lo sguardo di Manuel posarsi su di me.
Mi voltai verso di lui e lo vidi sorridere.
Mi tirò un colpo sul braccio con la mano, gli occhi quasi accusatori.

- Oh, te sei incantato? Te ricordi come si respira, si?
- Mica lo sto guardando. Lo sto guardando?
- Ma vattene, vá.
- Anche se fosse, che vuoi? - sorrisi di rimando, ricambiando il colpo con un calcio scherzoso contro la sua gamba, che usciva fuori dal banco.
- Io niente, se te piace.

Alzò le mani e tornò a disegnare.
Io scossi la testa e tornai a concentrarmi sul ragazzo nuovo, che nel frattempo sembrava avermi notato e mi stava osservando.
Trovò posto in un banco vicino a Luna, che mi lanciò un'occhiata euforica.

Quando la giornata scolastica finí, mi ritrovai Francesco accanto alla vespa.
Per un attimo pensai che mi stesse aspettando, ma poi mi accorsi che trafficava con una catena per sganciare una bicicletta.
Guardai nella sua direzione per un attimo mentre gli passavo accanto, poi montai in sella e mi agganciai il casco.

- Ah, ciao! Siamo in classe insieme, vero? Non ho avuto modo di parlare con te, durante la ricreazione.
Piantai i piedi per terra per reggere la vespa e mi allungai per dargli la mano, che lui trattenne più del dovuto.
- Piacere, io sono Simone.
- Che fai di solito durante i tuoi pomeriggi, Simone?
- Ah, dipende. Mi alleno, gioco a rugby. L'anno scorso mi vedevo spesso con un amico.
Alzai le spalle.
- E quest'anno?
- Cosa?
- Lo vedi ancora, questo amico?
- Direi... di sì.

Francesco mi puntò gli occhi addosso, in un modo che mi era nuovo, poi fece un sorrisetto che sembrava nascondere un messaggio che non stavo captando.
- Ci vediamo, allora - mi disse. Sollevò una mano.
Risposi di rimando e misi in moto.

Quando partii, notai Manuel che mi guardava in sella alla sua moto, accesa ma ferma.

Da quanto tempo stava lì a fissarmi?

Da quanto tempo stava lì a fissarmi?

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La sua metà mancanteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora