[Due]

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Manuel

"Mica lo sto guardando. Lo sto guardando?"

Le sentivo come ronzii, quelle parole.
Avevano iniziato a farmi da eco in testa da quando gliele avevo sentite pronunciare a Simone.
Sembrava pure che mi stesse prendendo in giro, con quel tono. Con quel sorriso da ebete che gli era spuntato in faccia non appena aveva visto il tipo nuovo, come si chiamava?
Ah, sì, Francesco.
Anche solo il nome mi irritava.

Sembrava uno tutto perfettino, disegnato su misura, con lo stile un po' scapestrato solo per apparenza.
Ma a me cosa doveva importare, poi?
Doveva andare bene a lui, nel caso, non di certo a me.
Se Simone voleva provarci poteva tranquillamente farlo, non ero mica io a dovergli dare la benedizione.
Mi piacevano le donne, ne ero convinto. Solo che non volevo perderlo come amico, ecco.

Avevo paura che adesso si potesse avvicinare a questo qui ed io sarei rimasto da solo.
Perché alla fine dei conti, Simone era l'unica persona che avevo accanto.
Che volevo tenermi accanto.
Oltre a mia madre, certo. Ma con lui era diverso.

Ripensai a quella sera del suo compleanno, quando mezzo stordito dall'alcol e senza pensarci troppo mi ero buttato su di lui, gli avevo permesso di respirarmi addosso, di toccarmi.
A ripensarci, mi faceva sempre uno strano effetto.
Non riuscivo ancora a decifrare bene le mie sensazioni a riguardo ed evitavo chiaramente di soffermarmici.

Ero steso sul letto, gli scarponcini contro il muro, a complottare contro i miei stessi pensieri, quando la voce di mia madre mi riportò alla realtà.
- Manuel, tutto bene? - mi chiese, agganciata allo stipite della porta.
- Oh mà, sì tutto bene, perché me lo chiedi?
- No, così. Me pari un po' silenzioso. Non sei neanche in garage.
- Non m'andava, oggi.
- E Simone?
- Simone che?
- No, dico, è tornato. Non passate del tempo insieme da mesi, non vai a trovarlo?
- Si, può essere. Non so.
- Sicuro che sia tutto okay, si?
- Si mà, t'ho detto di sì, stai serena.

Mi misi a sedere, evitai il suo sguardo indagatore e andai verso l'armadio a cercare una felpa. In realtà sapevo già cosa indossare, ma avevo bisogno di prendere tempo per non farmi guardare in faccia.

Ero solo preoccupato che adesso Simone potesse mettermi da parte, ma non volevo di certo parlarne con mia madre.
Non volevo proprio toccare l'argomento, con nessuno. E poi, per ora, erano solo paure.
Volevo tenermi le mie ansie, probabilmente immotivate, solo per me.

Infilai la felpa nera col cappuccio e la zip aperta, presi il casco da terra e andai incontro a mia madre che stava ancora lì, a osservarmi.
Le diedi un bacio sulla guancia, una carezza veloce sull'altra, e la salutai.

Quando uscii di casa, mi accorsi che il cielo non era così limpido.
Nuvoloni si avvicinavano prepotenti e preoccupanti, ma non me ne era mai fregato granché di bagnarmi un po' in moto.
Quindi mi avviai verso casa sua, avevo deciso di ascoltare il consiglio di mamma e provare ad andare a trovarlo.

In realtà, stamattina mi era sembrato tutto un po' strano.
Lui non era lo stesso di prima dell'estate, lo avevo sentito un po' distaccato, cambiato.
C'era, era lì di fronte a me, ma non era la stessa persona.
Proprio non capivo in che modo fosse successo, ci eravamo comunque sentiti per tutto il tempo e non mi ero accorto di niente.
O forse erano solo paranoie mie.
Si, ma perché?

Quando arrivai nel vialetto, mi accorsi subito che la sua vespa non c'era.
- Lo sapevo che non dovevo venì - borbottai.
Sbuffai e scesi dalla moto, avvicinandomi comunque alla porta di ingresso.
Si aprí quando ero a pochi passi e ne uscì Dante, che mi fece subito il suo classico sorriso accogliente.

- Manuel, ciao! Sei qui per Simone?
- Si.
- Non c'è, è uscito.
- Eh, lo vedo.

Mi guardai intorno, come per cercare il suo fantasma o aspettarmelo spuntare di ritorno.
- Non ho idea di dove sia andato, le cose vanno meglio tra di noi ma rimane il solito Simone. Parla poco, anzi, non parla proprio.
- So io 'ndo sta.
Dante mi guardò con lo sguardo corrucciato.
- Ah, sì? E dove?
- Niente prof, lasci stare. Posso entrare a lasciargli una cosa in camera?
- Certo, certo. Vai pure.

Entrai in casa e mi accorsi subito che quel posto mi era mancato.
Mi sapeva quasi di seconda famiglia, lì dentro ogni cosa dava quel senso di coinvolgimento che ti prende tra le braccia e ti protegge.
Salii le scale e raggiunsi la camera di Simone.
Non avevo nulla da consegnarli, in realtà.

Volevo solo riprendermi un po' di spazio nella sua vita per paura che, a breve, non ce ne sarebbe rimasto.

Mi sedetti sul suo letto, col casco in mano.
Lo sguardo alle pareti, ai libri, ai colori che occupavano quella camera.
Perché mi stavo facendo prendere così male?
Io, poi, che nella vita non mi ero mai preoccupato di niente. Perché mai questo sarebbe dovuto cambiare adesso?

Lasciai scorrere le mani sul tessuto delle coperte sotto di me. Erano le stesse di quella volta che avevo dormito accanto a lui, quando si era occupato di me, mezzo conciato come stavo.
Era stato bello avere qualcuno che si prendesse cura delle mie ferite.

Non potevo restare lì, se fosse tornato mi avrebbe preso per rincoglionito.
E qualche dubbio stava venendo anche a me.
Non c'era spazio per me per questo tipo di preoccupazioni.
Se quello che voleva era cercarsi qualcuno con cui sostituire il tempo che passavamo insieme, allora non eravamo davvero amici.
Me ne sarei fatto una ragione.

Tornai giù e salutai in fretta Dante, mi rimisi in sella e mi allontanai velocemente, alzando un po' di polvere intorno man mano che le ruote attraversavano la ghiaia.
Me lo ritrovai di fronte, proveniente dal senso opposto.
Stava tornando a casa.
Mi sentii improvvisamente agitato, il mio cuore fece un balzo.

Me pare che così non va bene. Te devi calmà Manuel, non ti lascia da solo. Te l'ha detto, no?

Ci fermammo vicini, i motori ancora accesi, un saluto di passaggio.
Mi sorrise.
- Oh, che ci fai qua?
- No niente, ero passato a salutare. Ero qui vicino.
- E già te ne vai?
- Eh si, c'ho da fare. Te l'ho detto, só passato proprio n'attimo.

Iniziai a gesticolare, per rendere credibile quello che stavo dicendo. Ma non ero sicuro che stesse funzionando.
- E tu... 'ndo sei stato?
Mi sudavano le mani, strette intorno al manubrio.

- Sono passato a fare delle fotocopie. E ho portato un paio di appunti a Francesco, il ragazzo nuovo.
- Si lo so chi è Francesco - dissi tutto d'un fiato, forse un po' scocciato, scandendo bene il nome del tipo.
- Manuel ma è successo qualcosa? Sei strano.
Mi posò una mano sul braccio e strinse un minimo, quanto bastava ad agitarmi ancora di più.
- Simó te l'ho detto, c'ho da fá, ci vediamo domani, ok?

Non gli lasciai il tempo di rispondermi, accelerai e mi allontanai da tutte le domande che stavano iniziando a sorgere nella parte più profonda di me.

La sua metà mancanteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora