[Sei]

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                                     Manuel

La solitudine non mi aveva mai spaventato. Mai.
Cresciuto solo con mamma, mi ero sempre adeguato al non avere grandi punti di riferimento, se non lei.

Eppure, quando vidi Simone allontanarsi con lui, mi sentii talmente tanto solo che avvertii le lacrime spingere per poter uscire.
Era quasi un bisogno necessario che però non avevo voglia di soddisfare.
Dire che avevo un vuoto al centro dello stomaco sarebbe riduttivo.
Intorno a me nessuno, c'ero soltanto io che guardavo lo skate, il casco, i miei piedi in quel parco desolato.

Raccolsi le mie cose e me ne tornai a casa.
Nella mia testa un susseguirsi di immagini spiacevoli: Simone che lo aiutava a rialzarsi, Simone che si preoccupava delle sue ferite.
C'ero io, un tempo, al suo posto.

Magari adesso ci stava lui nel suo letto a dormire, con la ferita bendata e Simone pronto ad accudirlo per qualsiasi evenienza.

Li avevo visti baciarsi.
E lì, quando il mio cuore si era fermato per poi ripartire a mille, avevo finalmente capito.
Che al posto di quello là avrei voluto starci io.

Era lui.
Era lui il motivo per cui tutta l'estate ero stato attaccato al telefono per sentirlo, per sapere cosa faceva, dove andava. Con chi.
Era lui il motivo per cui io, invece, la mia estate l'avevo passata chiuso in garage lontano dal mondo fuori.
Gli avevo detto un sacco di volte di essere uscito con amici, persone, a bere qualcosa, a fare serate.
Ma la realtà stava da un'altra parte. Uscivo da solo, bevevo fino a mettere a tacere i pensieri, esageravo, cercavo di farmi male.
E quando rientravo, lo chiamavo.
Lui, il mio pensiero fisso che non andava via neanche da sbronzo.

Mi ero chiesto mille volte perché.
Perché avessi sta gran paura di perderlo, come se non esistessero chissà quante altre persone al mondo da poter conoscere ogni giorno.

Era lui. La mia metà mancante.
La percepivo, quella parte di me, che quando mi stava accanto spingeva per ricongiungersi con lui.

Adesso che l'avevo capito, però, c'era un problema più grande.
Avevo fatto un macello e Simone, probabilmente, era stufo dei miei comportamenti, non voleva più vedermi.

E poi c'era l'altro.

———————————

Passarono due settimane.
Due lunghissime e interminabili settimane in cui Simone non mi rivolse la parola, neanche una volta.

Le avevo provate tutte.
Avevo cercato di scusarmi, di attirarlo con scuse banali.
Forse non mi stavo impegnando abbastanza, ma non sapevo davvero come fare.
Avevo un casino in testa e, in più, vederlo sempre in compagnia di Francesco non mi aiutava.
Era sempre appiccicato a lui, come colla.
Ormai lo accompagnava Simone a casa in vespa, la bici dell'altro non si vedeva più.

La mattina del primo ottobre, però, qualcosa cambiò.
Appena prima di entrare a scuola li vidi discutere, anche abbastanza animatamente.
Li osservai, mentre finivo di bere il mio caffè.
Ad un certo punto vidi Francesco entrare per primo e Simone seguirlo poco dopo. La riconoscevo quella faccia, stava per crollare.

Entrai in classe ma il banco accanto al mio era vuoto.
Mi bloccai sulla porta, Francesco al suo posto con i padiglioni sulle orecchie e lo sguardo incazzato.
Non si accorse neanche di me.
Dove poteva essere, Simone? In bagno, forse.

Lo trovai al primo tentativo.
Aveva la testa bassa sul lavandino e appena capí che ero entrato fece finta di lavarsi le mani.
Mi avvicinai, cauto.
Non volevo peggiorare la situazione, ma non potevo neanche non provare.
Avevo bisogno di ritrovarlo, in qualche modo.
E se possibile, strapparlo via a quel deficiente che forse non era neanche capace di amarlo.

Questi pensieri mi incupivano, stavo ancora iniziando a scoprirmi.
Ed ogni volta che c'era lui vicino, anche in silenzio, capivo qualcosa di più delle mie sensazioni, di quello che provavo nei suoi confronti.

- Oh, Simó - sussurrai, provando a posargli una mano sul braccio.
- Non provarci neanche - si scostò, senza guardarmi in faccia.
Arretrò fino a poggiarsi contro le piastrelle.
Vabbè, era un inizio. Almeno mi aveva risposto.

- Che t'ha fatto?
- Chi?
- Ma come chi, Simó. Vi ho visti.
- Non m'ha fatto niente.
- Ma non dire cazzate, ci stai di merda. Dimmi che t'ha fatto.

Simone alzò gli occhi e mi fulminò.
Quello sguardo mi fece male, perché lo sentivo distante anni luce da quando mi guardava con dolcezza.
Con amore.
Ed io coglione che lo avevo sempre allontanato.

Mo che vuoi? T'attacchi.

- A te che te ne frega, scusa?
- Mi frega. Se te tratta male gli spacco la faccia.
- Come hai tentato di fare l'ultima volta? Non ho bisogno di te per risolvere i miei problemi con il mio ragazzo.
- Il tuo... che?
- Hai sentito. Ti fa schifo l'idea? Beh si, t'ha sempre fatto schifo questa cosa, no?

Alzai le mani e mi avvicinai, come per difendermi dall'attacco.
- No, senti. Te veramente pensi questo?
- Non c'è neanche bisogno di pensarlo, basta ricordare alcuni eventi non tanto lontani.
Lo guardai. Averlo così vicino mi uccideva.
Sentivo il bisogno sfrenato di toccarlo, di ritornare a quell'evento e non farmelo sfuggire.
- Non mi fa schifo. Non mi fai schifo. Il punto è che quello è un coglione, non ti merita. Forse tu non lo vedi per quello che è.
- Ah, e tu si?
- Ma quanto tempo è che ve frequentate? E guardati, t'ho trovato chiuso in bagno che piangevi.
- Non stavo piangendo.
- Con sta faccia me lo dici? Te sei guardato, si?

Lo vidi cedere. Sciolse le braccia, lo sguardo.
La durezza nei suoi occhi stava lasciando spazio allo sguardo del Simone che ricordavo.
Prese a torturarsi le dita e guardarsi la punta della scarpe.

- Vuoi proprio sapere perché abbiamo litigato? Ha trovato nelle note sul mio telefono, dei pensieri che avevo scritto su di te. E un video. Chiaramente roba vecchia, ma io gli avevo detto che eravamo soltanto amici.
- Ma scusa, te controlla il telefono? Non è mica na cosa normale, no?
- Non è questo il punto. Gli ho mentito. E adesso crede che quando ho cercato di uscire tutti insieme fosse perché avevo ancora un interesse verso di te.
- Ed è così?

Mi si era bloccata la salivazione.
L'idea che potesse ancora avere dei pensieri a riguardo mi agitava e, al contempo, era tutto ciò che avrei voluto sentirmi dire.

- No. Certo che no. Ma comunque sei come un fantasma nella mia vita.
- Ah non me parlà de fantasmi. Non ce dormo la notte.

La risposta che avrei voluto ricevere non era arrivata. Irrequieto, distolsi lo sguardo e presi a girare in tondo.
Ormai la prima ora era andata, ma non me ne fregava granché e neanche lui sembrava voler rientrare, nonostante la voglia di sfuggirmi iniziale.

- Che vuoi dire? - mi chiese, lo sguardo corrucciato.
- Niente.
- Ora mi dici, c'è qualcuno che ti da fastidio? Hai altri guai?
- Dimmi, hai parlato di un video. Su di me? - deviai.
- Si. Ti ho ripreso una sera che dormivi da me. Lo so, è una cosa imbarazzante.

Mi avvicinai, fissai i miei occhi nei suoi, nonostante mi riuscisse abbastanza difficile non attaccarlo al muro lì, in quel momento.
Se solo avessi avuto coraggio.

- E perché ce l'hai ancora? - sussurrai, il cuore in gola.
Simone sbuffò.
- Manuel, t'ho detto che è tutto finito, non ti devi preoccupare. Sarà rimasto lì, mi sarà sfuggito di cancellarlo. Ma lo farò dopo, se ti fa stare più sereno.
- No - sorrisi, alzando gli occhi - Non hai capito.
- Cosa?
- Che de notte non ce dormo perché penso a te, Simò.

La sua metà mancanteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora