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Torniamo al tavolo in veranda. Lexa mi lascia andare il polso e scosta la sedia per me. Mi siedo massaggiandomi il polso. La mia pelle brucia dove lei l'ha toccata. Prende l'altra sedia e la trascina sul cemento piazzandola davanti a me. Si siede a sua volta, ed è così vicina che le nostre ginocchia si sfiorano.
«Di cosa mai vorrai parlarmi, Lexa?» chiedo, nel tono più acido di cui sono capace.
Lei fa un respiro profondo, si toglie il berretto e lo posa sul tavolo. Osservo le sue dita che scorrono tra i capelli mossi. Mi guarda negli occhi.
«Mi dispiace», dice con un'intensità che mi costringe a distogliere lo sguardo. Si sporge verso di me. «Mi hai sentito?»
«Si, ti ho sentito», rispondo secca. È più pazza di quanto pensassi, se crede che bastino due parole di scuse per farmi dimenticare le sofferenze che mi infligge ogni giorno.
«È così faticoso avere a che fare con te», continua appoggiandosi allo schienale. Ha di nuovo in mano la bottiglia che avevo lanciato poco prima, beve un altro sorso. Com'è possibile che non sia ancora
in coma etilico?
«Ah, io sari faticosa? Cosa dovrei fare, Lexa? Sei crudele con me... così crudele», dico, mordendomi il labbro. Non voglio piangere di nuovo davanti a lei. Finn non mi ha mai fatta piangere; abbiamo avuto qualche litigio, negli anni, ma niente di così grave da farmi versare una lacrima.
Parla a voce bassa, le sue parole rischiano di smarrirsi nell'aria della sera. «Non lo faccio apposta.»
«Sì, invece: e lo sai. Lo fai apposta. Non sono mai stata trattata così male da nessuno in tutta la mia vita.» Sento un nodo alla gola.
Se piango, ha vinto lei: è quello che vuole.
«Allora perché continui a tornare da me? Perché non ti arrendi?»
«Non lo so. Ma posso assicurarti che dopo stasera non torno più. Mi ritiro dal corso di letteratura, lo seguirò il prossimo semestre.»
Non avevo in programma di farlo, ma ora che ci penso è proprio la decision giusta.
«No, per favore non farlo.»
«Che te ne importa? Non vuoi essere costretta a frequentare una persona patetica come me, giusto?» Mi ribolle il sangue. Se sapessi cosa dire per ferirla come lei ferisce me, lo direi.
«Non parlavo sul serio... Sono io quella patetica.»
La guardo ditto negli occhi. «Be', su questo non ti do torto.»
Beve un altro sorso, e quando faccio per togliergli la bottiglia me lo impedisce.
«Quindi solo tu hai il diritto di ubriacarti?» chiedo, e lei fa un sorrisetto. La luce della veranda si riflette sul piercing al sopracciglio mentre mi porge la bottiglia.
«Pensavo che volessi buttarla via di nuovo.»
Dovrei farlo, invece me la porto alle labbra. Il liquore è tiepido e sa di liquirizia bruciata e di disinfettante. Mi viene un conato e
Lexa ridacchia.
«Da quando in qua bevi? Mi hai lasciato intendere di non averlo mai fatto» le dico. Mi riprometto di ricominciare a essere arrabbiata con lei, dopo che mi avrà risposto.
«Fino a stasera erano circa sei mesi che non bevevo.» Abbassa gli occhi come se si vergognasse.
«Be', non dovresti bere affatto. L' alcol fa di te una persona ancora più brutta del solito.»
Si fa serio, continua a guardare a terra. «Mi trovi una brutta persona?»
Ma che dice? È così ubriaca da credersi una bella persona?
«Si.»
«Non è vero. Be', forse sì. Voglio che tu...» inizia, ma poi si interrompe, tira su la testa e si appoggia allo schienale.
«Vuoi che io? Vai avanti.» Devo sapere cosa stava per dire. Le restituisco la bottiglia, e lei la posa sul tavolo. Non voglio più bere,
dato che già da sobria faccio sempre la cosa sbagliata quando sono con Lexa.
«Niente», risponde, e capisco che mente.
Ma cosa ci faccio qui? Finn è in camera che mi aspetta, mentre io spreco il mio tempo con Lexa. «Devo andare.» Mi alzo e mi
avvio alla porta.
«No», mormora lei. I miei piedi si fermano da soli, a quel tono supplicante. Mi volto e me la ritrovo a venti centimetri dalla faccia.
«Perché no? Hai altri insulti per me?» grido, e mi giro.
Lei mi prende per un braccio e mi strattona. «Non voltarmi le spalle!» grida ancora più forte di me.
«Avrei dovuto voltarti le spalle molto tempo fa!» strillo dandole uno spintone. «Non so neppure perché sono venuta fin qui appena
Raven mi ha chiamata! Ho lasciato in camera il mio ragazzo - che,
come hai detto tu, è l'unica persona che mi sopporta - per venire da te! Sai una cosa? Hai ragione, Lexa: sono patetica. Sono patetica perché sono venuta qui, sono patetica per aver tentato...»
Ma vengo interrotta dalle sue labbra sulle mie. Le poso le mani sul petto, cerco di respingerla, ma non vacilla. Voglio disperatamente ricambiare il bacio, ma me lo impedisco. La sua lingua cerca di farsi strada tra le mie labbra e le sue braccia muscolose mi cingono e mi tirano verso di lei nonostante i miei tentativi di divincolarmi.
È inutile: è più forte di me.
«Baciami, Clarke», chiede sulle mie labbra.
Scuoto la testa, e lei sbuffa contrariato. «Ti prego, baciami. Ho bisogno di te.»
Quelle parole mi fanno sciogliere.Questa donna volgare, ubriaca, insopportabile mi ha appena detto di avere bisogno di me, ed è poesia alle mie orecchie. Lexa è come una droga: ogni volta che ne prendo un po', ne voglio sempre di più. Riempie i miei pensieri e invade i miei sogni.
Appena schiudo le labbra la sua bocca è di nuovo sulla mia, ma stavolta non oppongo resistenza. So che non è questa la risposta ai miei problemi, e che mi sto solo cacciando ancora di più nei guai, ma non mi importa. Mi importa solo delle sue parole, e di come le ha dette: Ho bisogno di te.
È possibile che Lexa abbia bisogno di me come io ne ho, disperatamente, di lei? Ne dubito, ma per ora voglio fingere che sia
così. Mi posa una mano sulla guancia e mi fa scorrere la lingua sulle labbra. Il piercing mi fa il solletico all'angolo della bocca. Poi sento un rumore, un fruscio, e mi stacco da lei. Mi giro verso la porta, pregando che Raven  non abbia assistito al mio terrible errore. Per fortuna non la vedo.
«Lexa, devo proprio andare. Non possiamo continuare cosi; non fa bene a nessuna delle due»,le dico senza guardarla in faccia.
«Sì che possiamo», ribatte lei, e mi solleva il mento per costringermi a incrociare i suoi occhi.
«No, non possiamo. Tu mi detesti, e io non voglio più essere la tua valvola di sfogo. Non ci capisco niente, con te. Un minuto prima mi dici che non mi sopporti, o mi umili dopo la mia esperienza più intima.» Apre la bocca per interrompermi ma le poso un dito sulle labbra e continuo. «Poi, un minuto dopo, mi baci e mi dici che hai
bisogno di me. Non mi piace la persona che divento quando sto con te, e detesto il modo in cui mi sento quando mi dici quelle cose orribili.»
«Chi diventi, quando stai con me?» I suoi occhi verdi mi scrutano aspettando la risposta.
«Una persona che non voglio essere: una persona che tradisce il suo ragazzo e piange in continuazione.»
«Sai chi diventi, invece, secondo me?» Mi passa il pollice lungo il mento e io cerco di non perdere la concentrazione.
«Chi?»
«Te stessa. Credo che questa sia la persona che sei davvero, e non lo capisci perché sei troppo impegnata a preoccuparti di cosa
pensa la gente.»
Sembra così sincera, così convinta di ciò che dice che mi soffermo a riflettere sulle sue parole. «E so cosa ti ho fatto, dopo che ti ho infilato un dito...» Vede che mi rabbuio e si corregge: «Scusa...dopo la nostra esperienza insieme. Ho capito che era sbagliato. Sono stata malissimo dopo che sei scesa dalla macchina».
«Ne dubito», sbotto. Ricordo quanto ho pianto quella notte.
«È vero, te lo giuro. So che mi credi una brutta persona... ma mi fai...» Si interrompe. «Lascia perdere.»
Perché non finisce mai le frasi?
«Finisci quella frase, Lexa, o me ne vado all'istante.»
Il modo in cui le si illuminano gli occhi quando mi guarda, il modo lento in cui schiude le labbra, come se ogni parola dovesse contenere qualcosa, una bugia o una verità... mi induce ad aspettare la risposta. «Tu...mi fai venire voglia di diventare buona, per te... voglio essere una brava persona per te, Clarke.»

Fight For This LoveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora