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Finalmente, dopo aver strillato il nome di Octavia dieci volte, quando inizia una canzone a volume più basso riesco a farmi capire da Jasper. Scoppia a ridere e mi fa cenno di andare nella stanza accanto. È davvero un bravo ragazzo: perché frequenta gente come Lexa? Mi volto e sussulto: Octavia sta ballando con altre due ragazze su un tavolo del salotto. Un ragazzo ubriaco le raggiunge e afferra Octavia per i fianchi. Mi aspetto che lei se lo scrolli di dosso, invece sorride e spinge il sedere contro di lui. «Stanno solo ballando, Clarke», osserva Jasper, divertito dalla mia faccia sconvolta. Ma non stanno solo ballando: si stanno strusciando e palpando. «Si... lo so», rispondo con finta noncuranza. Io non ho mai ballato così , neppure con Flinn, e usciamo insieme da due anni. Flinn! Tiro fuori il telefono e controllo i messaggi.
Ci sei, Clarke?
Ehi? Tutto bene?
Clarke? Devo chiamare tua madre? Mi sto preoccupando.
Lo chiamo immediatamente, pregando che non abbia già telefonato a mia madre. Non risponde, ma gli scrivo per rassicurarlo che sto bene e che non c'è bisogno di avvertire mia madre. Perderebbe la testa se pensasse che mi sia successo qualcosa al primo weekend di college «Ehiii... Clarke!» biascica Octavia , e mi posa la testa sulla spalla «Ti stai divertendo, roomie?» È ubriaca fradicia. «Penso... ho bisogno... mi gira tutto...» «Sta per vomitare», dico a Jasper , che annuisce e se la carica in spalla.
«Seguimi», replica, e si avvia al piano di sopra. Apre una porta a metà del corridoio e, ovviamente, trova subito un bagno. Appena la posa a terra accanto al water, Octavia inizia a vomitare. Distolgo lo sguardo ma le scosto i capelli dal viso. Dopo una quantità di vomito che non credevo possibile, la smette e Jasper mi porge un asciugamano. «Portiamola nella stanza qui di fronte e facciamola sdraiare. Ha bisogno di dormirci su, per smaltire.» Annuisco, ma non me la sento di lasciarla sola in quelle condizioni. «Puoi restare con lei», dice Jasper, come se mi avesse letto nel pensiero. La tiriamo su e, sorreggendola, la accompagniamo in una stanza buia e la depositiamo sul letto. Jasper se ne va subito, aggiungendo che tornerà più tardi. Mi siedo sul letto accanto Octavia e le sistemo i cuscini. Sobria, con una ragazza ubriaca accanto mentre fuori prosegue la festa, mi sento una vera sfigata. Accendo una lampada e mi guardo intorno. Il mio sguardo si posa immediatamente sulle mensole di libri che coprono una delle pareti. Questo mi tira su, e vado subito a curiosare tra i titoli. È una bella biblioteca ci sono molti classici compresi tutti i miei preferiti. Trovo Cime tempestose e lo tiro fuori: è malandato, la rilegatura sta per cedere, si vede che è stato letto molte volte. Sono così persa nelle parole di Emily Brontë che non mi accorgo neppure della porta che si apre, ne della presenza di una terza persona nella stanza. «Che cavolo ci fai nella mia stanza?» tuona una voce alle mie spalle. Ormai conosco quell'accento. Lexa.
«Ti ho chiesto cosa ci fai nella mia stanza», ripete con lo stesso tono acido. Mi giro e la vedo venire verso di me. Mi strappa il libro di mano e lo ripone sullo scaffale. Sono confusa: pensavo che la festa non potesse peggiorare, e invece eccomi qua, beccata a ficcanasare nella roba di Lexa. «Allora?» « Jasper mi ha detto di portare qui Octavia...» rispondo con un filo di voce. Lei fa un altro passo avanti. «Ha bevuto troppo, e Jasper ha detto ...» aggiungo indicandogli il letto.«Ho sentito quello che hai detto.» Si passa una mano tra i capelli spettinati, chiaramente a disagio.Perché gli dà tanto fastidio che siamo nella sua stanza? Aspetta ... «Ma tu sei iscritta a questa confraternita?» gli chiedo. Non riesco a nascondere lo stupore: Lexa è molto diversa da come immaginavo le ragazze delle confraternite. «Si, e allora?» ribatte avvicinandosi di un altro passo. Ormai c'è meno di mezzo metro tra noi, e quando tento di indietreggiare urto la libreria. «La cosa ti stupisce, Clarke ?» ghigna, un po' più distesa. Sospiro e gli do le spalle, girandomi verso i libri. Non so dove andare, ma devo allontanarmi da lei prima di prenderla a schiaffi. O di scoppiare a piangere. È stata una giornata lunga, quindi probabilmente scoppierei in lacrime prima di schiaffeggiarla. Mi volto e la oltrepasso. «Non puoi restare qui» dice. Mi giro e vedo che si sta mordendo il labbro. Perché lo sta facendo, perché si sta mordendo quelle labbra dannatamente carnose?
«Perché no? Pensavo foste amici?»
«Sì, ma nessuno può restare nella mia stanza.» Incrocia le braccia sul petto, e per la prima volta da quando la conosco capisco cosa raffigura uno dei suoi tatuaggi. È un fiore, proprio al centro dell'avambraccio. Lexa, con un fiore tatuato? Il disegno nero e grigio da questa distanza si direbbe una rosa, ma intorno c'è qualcos'altro che lo incupisce. Sono cosi irritata che riesco a ribattere: «Ah... ho capito, quindi solo le ragazze che ti baciano possono entrare nella tua stanza?» Il suo sorriso si allarga. «Quella non era la mia stanza. Però se stai cercando di dire che vuoi baciarmi, scusa ma non sei il mio tipo.» Non so perché, ma quelle parole mi feriscono. Lexa non è affatto il mio tipo, eppure non glielo direi mai in faccia. «Tu... tu sei...» Non trovo le parole per esprimere il mio fastidio verso di lei. La musica che rimbomba dalle altre stanze mi irrita ancora di più. Sono imbarazzata ed esausta, non ho nessuna voglia di litigare con lei. «Be'... allora portala in un'altra stanza, io me ne torno in dormitorio», dico, e me ne vado. Mentre mi sbatto la porta alle spalle, più forte persino del rumore della festa, la sento esclamare in tono beffardo: «Buonanotte, Clarke».

Fight For This LoveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora