N.d.A. Dopo un'era geologica arriva il 21esimo capitolo. E' bello lungo, spero vi piaccia. Fatemi sapere eh!
Capitolo XXI - Nam Amor et Sanguis
"Senatore Maecia, spero mi perdonerai se non ti offro del vino, ma non voglio incorrere nelle ire di mia moglie. Camilla è adorabile ma ha spesso dimostrato di possedere un carattere forte e cocciuto".
Publio sorrise appena. Si era presentato alla porta dello studio finemente affrescato del tribuno Scapto senza farsi annunciare e aveva trovato il cognato seduto ad una robusta scrivania in legno di quercia lucidata, intento a leggere un documento con fare assorto e preoccupato. L'ambiente, caratterizzato da alti scaffali pieni di rotoli e tavolette ben ordinate, era illuminato dal caldo sole del mattino, eppure fitte nubi parevano essersi addensate sul capo chino del tribuno. Quando Sergio si era accorto della presenza del giovane cognato, aveva sollevato gli occhi su di lui; l'espressione impensierita aveva lasciato spazio ad uno sguardo corrucciato. Si era quindi sollevato in piedi e lo aveva accolto facendolo accomodare dinanzi a lui.
"Grazie, tribuno, ma avrei comunque declinato l'offerta... Non avevo intenzione di disturbarti" guardò il documento abbandonato sul tavolo "Ordini imperiali?".
Sergio annuì, si appoggiò alla scrivania e incrociò le braccia al petto, senza aprir bocca.
"Non ti arrecherò ulteriore fastidio allora" dichiarò Publio "Posso tranquillamente essere certo che la cortese ospitalità che ho ricevuto sia stata fortemente voluta da mia sorella. Volevo quindi ringraziarti era avermi accolto nella tua casa nei giorni scorsi, nonostante gli eventi accaduti".
Sergio sollevò un sopracciglio con lieve disappunto: "Sull'ospitalità, hai indovinato, Senatore. Ho accettato solo perché me lo ha chiesto Camilla. Dopo quanto successo a Corvo non ero molto propenso ad ricevere ospiti".
"Soprattutto ospiti come me".
"Soprattutto".
Nominare Corvo evocando avvenimenti dolorosi, costò molta fatica a Sergio. La perdita di Tito gli faceva ancora sanguinare il cuore come se fosse morto pochi istanti prima; il suo amico gli mancava, e non passava giorno in cui si chiedeva se avesse potuto evitare la sua morte, se le cose fossero andate diversamente. Se ci fosse stato lui al suo posto, cosa sarebbe successo. Claudio poi... era quello che gli destava maggior preoccupazione poiché faticava a riprendersi dal dolore di quella perdita.
"Apprezzo la tua sincerità. Eppure mi piacerebbe pensare che, col tempo, le cose tra noi possano cambiare. O almeno lo spero" disse d'improvviso Publio.
Il giovane tribuno lo osservò con attenzione e, dopo aver riflettuto per qualche istante in silenzio, si piegò leggermente in avanti, fissando il suo interlocutore negli occhi; profondi occhi blu, identici a quelli della sua Camilla.
"Corruzione, gioco d'azzardo, condotta riprovevole... Violenza fisica verso la propria sorella... Responsabilità nel rapimento di un bambino innocente e della conseguente morte di uno dei miei migliori amici...".
Le ultime parole, Sergio le aveva sibilate tra i denti, lentamente, reprimendo a stento l'ira che gli avvelenava il sangue.
Publio restò immobile, impassibile. Cosa mai avrebbe potuto dire, altrimenti? Stette in silenzio, incassò quelle dure e veritiere parole, deglutì a vuoto e abbassò lo sguardo non potendo più sostenere quello del cognato.
Sergio si sollevò di scatto e girò attorno alla scrivania. Si rimise a sedere e riprese in mano il documento di prima, scorrendolo con fare distratto: "Mi spiace ma non credo che le cose potranno mai cambiare, pur con il legame parentale che abbiamo stretto. Nemmeno per l'amore che provo per Camilla".
Sergio avvertì il ragazzo tirare su col naso e, dopo qualche istante, alzarsi per uscire dalla stanza, ma l'altro lo fermò, terminando il suo discorso: "E' arrivato il momento che rientri in servizio con lucidità e fermezza, Maecia. L'imperatore ha bisogno di persone fidate, che facciano un buon lavoro, in special modo quando in autunno dovrà lasciare Roma per tornare sul Reno".
Publio raddrizzò la schiena, portando le spalle all'indietro e il mento in su, a ribadire che, malgrado tutto, lui era e restava un senatore: "Non desidero altro che servire Roma e l'imperatore. La mia posizione e la parentela acquisita tuo malgrado, mi permetterà di perorare la tua nomina a senatore presso Gallieno".
Sergio lo scrutò, guardingo: "Non ho bisogno di atti di riconoscenza".
"Non è riconoscenza" gli rispose lui, in tono fermo "È che va fatto ciò che è bene fare. Sei nel giusto quando dici che Roma e l'imperatore hanno bisogno di persone fidate" ed uscì.
Rimasto solo, Sergio si passò una mano sul viso con un gesto stanco.
Per amore di Camilla. Era solo per l'amore che provava per lei che aveva accettato di ospitare il senatore sotto il suo tetto. Era solo per l'amore che sentiva traboccare dal cuore ogni qual volta lei gli sorrideva, ogni volta che la baciava, che la toccava, che la faceva sua... Era a causa dell'amore che provava per sua moglie che sentiva stringersi l'anima in una morsa asfissiante nel leggere gli ordini di Gallieno vergati sul documento che aveva tra le mani. Non ci aveva messo molto a collegare quella missiva con ciò che gli nascondeva sua moglie già da qualche giorno.
Sei nel giusto quando dici che Roma e l'imperatore hanno bisogno di persone fidate.
Si inquietò, si levò nuovamente dal tavolo e percorse velocemente i corridoi della sua domus. La casa, a quell'ora del mattino, era nel pieno delle sue attività quotidiane: gli schiavi erano intenti a varie faccende e dalle cucine proveniva già l'odore del pane fragrante che sarebbe stato servito a pranzo, misto a quello promanato dai giardini della lavanda alla prima fioritura. Quando entrò nel cubiculum dalle pareti intonacate di ocra e rosso, trovò la sua sposa intenta a sistemare dei grandi teli di lino in una cassa di quercia con l'aiuto della sua fedele nubiana, mentre una bionda montagna di muscoli germanici spostava un grosso armadio senza mostrare alcuno sforzo. Per quanto ci fossero schiavi dedicati prettamente ai servizi domestici, alcune attività Camilla preferiva farle di persona.
"Fuori" comandò Sergio, rivolto ai due schiavi.
Kara non se lo fece ripetere due volte e si dileguò, al contrario di Handal che non si spostò nemmeno di un millimetro.
"Sergio ho da fare, devo spostare questo mobilio nelle stanze a ovest... comincia a fare troppo caldo e quelle sono le stanze più fresche".
"Fuori!" ordinò di nuovo il tribuno all'indirizzo di Handal, il quale, continuò a restare in posizione. Sergio era oramai ben consapevole che il germano prendeva ordini esclusivamente da Camilla, eppure il suo immobilismo lo irritò.
La ragazza sospirò: "Handal" chiamò e quello uscì, senza risparmiare un'occhiata indifferente al dominus.
"Cosa è successo?" chiese lei.
"Spogliati".
Camilla aggrottò la fronte e si portò le mani ai fianchi: "Ti sembra il momento?".
Il tribuno coprì i pochi passi che lo separavano da lei, la strinse a sé e la baciò con foga. Camilla, dapprima sorpresa, partecipò poi al bacio, con languore.
Quando lui si staccò da sua moglie, lei si accorse che qualcosa non andava: "Cosa c'è, amore mio?".
Sentirsi chiamare così, provocò un lieve sorriso in Sergio che avvertì esattamente quei sentimenti che aveva evocato nei suoi pensieri, poco prima.
"Cosa mi nascondi?" le chiese, mentre le scioglieva la cintura che le stringeva la veste sui fianchi rotondi. Il bisogno di sentire la sua pelle a contatto con le sue mani era lacerante.
Lei non oppose resistenza eppure si irrigidì a quella domanda: "Niente" rispose prontamente, scostando lo sguardo da quello di lui "Cosa ti fa pensare una cosa simile...".
Sergio le scoprì una spalla e posò le labbra sulla pelle candida. Il desiderio di lei straripava istante dopo istante, ma impose calma ai suoi gesti. Per la prima volta nella sua vita, il suo corpo, la sua mente ed il suo cuore esigevano un contatto costante, parole dolci e sentimenti puri. E tutto per amore di Camilla.
"Le celebrazioni presedute dal vostro sacerdote Stefano. So tutto. E so che anche tu ne sei al corrente".
Camilla si scostò di poco da suo marito. Lo fissò negli occhi, dapprima con timore, lo stesso che Sergio aveva percepito nello sguardo di lei, il giorno degli sponsalia.
"Non mentirmi ancora, ti prego" le sussurrò con calma.
Stavolta gli occhi di Camilla brillarono di fierezza: "Ho dovuto farlo, visti i precedenti".
"Lo so. Non te ne faccio una colpa".
"Come lo hai saputo?".
"Sono stato informato dall'imperatore".
La fanciulla impallidì: "L'imperatore? Vuol dire che...".
Sergio si morse un labbro e avvertì il sapore del sangue sulla lingua. Stava per commettere il crimine più grave che si poteva imputare ad un ufficiale dell'Impero di Roma. E tutto per amore di Camilla.
"Ho ricevuto notizie e ordini da Gallieno in persona. E' evidente che ci sono delle spie tra voi cristiani".
Camilla atterrì: "Ordini? Che tipo di ordini?".
Sergio raddrizzò la schiena: "Quelli per cui sono stato convocato a Roma dopo aver prestato servizio sul Reno".
La ragazza si sedette sul letto e, dopo qualche istante di silenzio, sollevò lo sguardo verso suo marito. Aveva gli occhi lucidi e il blu estivo delle iridi appariva buio e tormentato.
"Rivelandomi queste cose, col rischio che io avvisi i miei confratelli, ti macchi di tradimento verso Roma".
Il tribuno annuì. Stette ad osservare quella giovane donna, bella e caparbia, che gli aveva sconvolto i sensi e i sentimenti. Due erano le caratteristiche che doveva possedere un soldato di Roma: lealtà e onore. Lealtà verso Roma e l'Imperatore, onore verso sé stesso e i propri commilitoni. Mai avrebbe pensato che un giorno avrebbe messo da parte entrambi per amore di una donna.
Camilla scosse la testa: "Non voglio che ci siano altre persecuzioni né incarcerazioni. E non voglio che mio marito venga...".
"Condannato a morte? Beh, sarebbe il caso che i tuoi confratelli stiano un po' buoni invece di ostinarsi a disobbedire all'imperatore. Almeno fino all'autunno, quando sarò nuovamente in servizio sul Reno e questo contenzioso religioso non sarà più affare mio".
La fanciulla si sollevò in piedi e gettò le braccia al collo di suo marito :"Dio mio..." bisbigliò "Perché tutto questo?".
"Lo stai chiedendo a me o al tuo Dio?".
Sergio stesso fu sorpreso della propria ilarità in quella situazione. Ma, d'altronde, arrabbiarsi a cosa gli sarebbe servito? Ciononostante non riuscì a non sentire pena per sé stesso per ciò che stava accadendo.
"Dobbiamo fare qualcosa".
"Potresti avvertire i tuoi confratelli, ma con prudenza, non come l'ultima volta".
"Non credo che stavolta si lasceranno convincere" prese a spiegare Camilla "La cerimonia sarà celebrata da papa Stefano. Ignoreranno qualsiasi avvertimento".
Sergio si adombrò: "Questo equivale ad un vero e proprio atto di affronto nei confronti dell'imperatore. Te ne rendi conto?".
"E tu? Obbedirai agli ordini di Gallieno?".
"Posso fare diversamente? Sono già stato convocato per i preparativi".
Lei gli si aggrappò alla tunica: "Non devi uccidere nessuno!".
"Non è mia intenzione uccidere persone inermi e disarmate, dovresti saperlo".
Camilla lo scrutò negli occhi: "Quando sono stata informata della celebrazione, ho riflettuto molto... alla fine ho deciso che non avrei partecipato. Per questo ho omesso di dirtelo. Non sei arrabbiato con me?".
"Un po', ma posso capire il motivo del tuo comportamento nei miei confronti".
"Cosa è accaduto al tribuno integerrimo che ho visto durante la retata sull'Appia?" gli chiese lei, stringendolo ancora di più.
Lui la baciò con passione: "Si è innamorato" le mormorò, con la bocca contro la sua.
Publio si guardò nervosamente le mani e si accorse che gli tremavano leggermente. Nel tentativo di calmarsi provò a concentrarsi sulle eleganti decorazioni a stucco delle pareti. Era sempre entrato con noncuranza nella domus dei Peregrinii, coi sensi annebbiati dal vino e dalla lussuria. Ora era lucido e profondamente ansioso. Aveva provato a fare ammenda con suo cognato, malgrado fosse consapevole che non avrebbe ricevuto comprensione e perdono. Ma tra puro disprezzo e malcelata indifferenza, aver ottenuto la seconda poteva ritenersi un buon risultato. Ora era lì, dai Peregrinii, intenzionato a fare lo stesso. Lo doveva a sé stesso e a Camilla, l'unica che non lo odiava e che, anzi, si era presa cura di lui, nonostante ciò che le aveva fatto. Si guardò nuovamente le mani e immagini come lampi di quelle sue mani che infliggevano dolore alla persona che amava di più al mondo gli lacerarono l'anima.
Un rumore di passi pesanti ed affrettati, contraddistinti da un tintinnio metallico, lo fece voltare e Publio d'improvviso si ritrovò inchiodato dallo sguardo carico di livore di Claudio Decio Peregrino; vestito di tutto punto con le insegne di tribuno, a Publio parve maestoso e minaccioso. Eppure il giovane non riuscì a non notare i begli occhi verdi cerchiati di scuro e la pelle tirata sugli zigomi alti.
"Cosa vuoi, senatore? Con quale coraggio osi presentarti ancora qui?" sibilò Claudio.
Publio deglutì a vuoto: "Volevo assicurarmi che stesse tutti bene, soprattutto tuo figlio".
"Mio figlio, grazie agli dei, sta bene".
"Annia?" si azzardò a chiedere.
Claudio grugnì e strinse l'elsa del gladio finché le nocche non sbiancarono: "Ho chiesto il divorzio da lei ed è andata via due giorni fa".
Quella notizia non lo sorprese più di tanto; molti matrimoni celebrati per convenienza finivano in un divorzio quando le circostanze lo permettevano. Inoltre Annia era una donna piena di risorse e soprattutto ricca: la separazione non le avrebbe arrecato alcun danno. Tra le parti, quello che avrebbe avuto certamente la peggio sarebbe stato Claudio dato che non proveniva da una famiglia abbiente, ma aveva la fiducia dell'imperatore, come suo cognato Sergio.
Non poté comunque fare a meno di pensare che quel divorzio fosse stato provocato dalla sofferenza di Claudio nell'aver perso il suo amante, il tribuno Corvo.
"Mi dispiace per la morte di Tito Fabio Corvo" riuscì a dire lui con tutta la sincerità che poteva.
Non era mai stato empatico con gli altri, eppure il profondo dolore che stava provando Claudio in quel momento poté percepirlo.
Il tribuno si sistemò nervosamente la lorica, poi sollevò lo sguardo appena velato di lacrime e parlò con tono basso e calmo: "Per favore, senatore Maecia, esci da questa casa prima che ti faccia fare una fine peggiore della sua".
Una volta solo, Claudio si infilò l'elmo sul capo mentre le lacrime gli rigavano le guance scavate. Era stato convocato dall'imperatore e presto avrebbe partecipato ad una nuova operazione contro i cristiani.
Aveva fame di sangue, qualsiasi esso fosse.
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Lux in Tenebris
Historical FictionRoma, 257 d.C., Publio Licinio Valeriano e Publio Licinio Egnazio Gallieno Imperatori Il tribuno Sergio Sestio Scaptio torna a Roma dopo anni passati a combattere per l'Imperatore, con un nuovo compito: dare la caccia ai membri della setta dei crist...