Capitolo VIII - Vehemens Amor

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ATTENZIONE: nella seconda parte del capitolo è descritta una scena di violenza che potrebbe urtare la sensibilità di qualcuno. Ci tengo quindi ad avvertire. Grazie.


8. Vehemens Amor


Annia Peregrina sorseggiò una mistura di latte e miele. Ingoiò il liquido dolce e tiepido con calma, cercando di farsi passare il senso di nausea che il vino le aveva provocato. Negli ultimi giorni aveva bevuto troppo, spronata dagli stravizi del suo nuovo amante, il senatore Publio Veranio Maecia.
Bello, giovane, irruento, viziato; Annia lo avrebbe trovato ancora più interessante se il giovane senatore avesse mostrato anche le sue qualità migliori: intelligenza, ambizione e una buona dose di cultura. Pregi che raramente Publio le mostrava, se non nei pochi momenti di lucidità e di conversazione tra loro.
Publio pareva presentarsi ogniqualvolta Claudio Decio era assente e Annia sospettò che il giovane avesse messo un qualche cliente o schiavo a sorvegliare la sua domus. Lei lo accoglieva tra le mura della sua dimora e, spesso senza profferire alcuna parola, direttamente nella sua alcova. Il senatore era insaziabile con lei e Annia dovette costatare con una punta di rammarico che forse in vita sua, mai aveva intrattenuto una relazione fisica così soddisfacente.
Il problema erano però i soldi.
Publio perdeva ingenti quantità di denaro al gioco e lei gli aveva prestato dei soldi. Prestiti che non avrebbe rivisto mai più, ne era certa.
La donna posò la tazza vuota su di un tavolo, con un sospiro, mentre si accorgeva di venir raggiunta da Claudio.
Il tribuno prese posto di fronte alla moglie e cominciò a squadrarla con cipiglio severo. Nel piccolo giardino, alcuni schiavi stavano cominciando ad accendere le lucerne: era tramonto inoltrato e a breve avrebbe fatto buio.
"C'è qualcosa che ti turba, marito mio?" domandò Annia Peregrina, a rompere quel silenzio pesante che si era instaurato tra di loro.
Claudio fece schioccare la lingua, con fare infastidito: "Il senatore Maecia".
Una risata amara uscì dal petto della donna: "Vedo che le notizie corrono veloci...".
Il tribuno continuò a guardarla serio, senza dire altro. Annia scattò: "Pretendevi che facessi la moglie nobile ed integerrima mentre il marito si trastulla col suo amante?".
Il tribuno parve accusare il colpo. Gli affascinanti occhi verdi distolsero lo sguardo dal viso contratto della moglie: "Si tratta di questo? Di una vendetta?".
Annia Peregrina scrollò il capo: "Ho delle esigenze alle quali il mio giovane e dolce marito non provvede. Quindi provvedo da me".
"Il senatore Veranio Maecia, anche. Soprattutto pecuniarie. E tu gliele soddisfi pienamente" aggiunse lui, tagliente.
"Spendo i miei soldi come meglio preferisco" e si alzò in piedi per rientrare.
Claudio Decio le andò dietro, la raggiunse e l'abbracciò, affondando il naso nel collo della moglie. Quel gesto la intenerì quasi.
"Non mi importa chi scegli come amante... vorrei solamente che tu stessi attenta".
"Ti preoccupi per me?".
"Non dovrei?".
Annia si voltò quel poco per poterlo fissare negli occhi. Il bel viso di Claudio Decio era piegato su di lei e la donna comprese per l'ennesima e drammatica volta quanto fosse innamorata di lui, quanto desiderasse essere considerata e amata da lui. Le sarebbe bastato la metà di quanto lui considerava Tito Fabio Corvo.
Claudio le sorrise e la strinse ancora di più: "Se vorrai, stanotte tuo marito soddisferà ogni tuo desiderio".
"Corvo non sarà geloso?" mormorò lei.
Il tribuno la scrutò. Provava un profondo affetto per Annia, la rispettava e la stimava, ed inoltre era la madre di suo figlio. In fondo, era stato fortunato, si disse. Sua moglie, col suo enorme patrimonio, gli aveva garantito una solida carriera, gli aveva dato una discendenza inaspettata e gli piaceva il legame che aveva instaurato con lei, nonostante fosse un matrimonio assolutamente privo d'amore, così come era stato concepito sin dall'inizio.
Ma Tito Fabio era altro. Era la libertà di essere sé stesso, come, quando e quanto voleva. Claudio Decio era a conoscenza degli amanti di Annia ma non era mai intervenuto. Non aveva mai pensato di essere un buon marito, e Annia non aveva mai preteso da lui niente in più che non fosse stato lui stesso ad offrirle. Apprezzava sua moglie anche per questo. E poi lui aveva Corvo. Ma il senatore Publio Veranio Maecia lo preoccupava. Non avrebbe mai voluto che sua moglie subisse le angherie di un soggetto del genere, né tantomeno che attentasse alle sue risorse economiche.
Avrebbe provato a convincerla che poteva prendersi come amante chiunque volesse, ma era meglio che lasciasse perdere Maecia.
Scrollò la testa e le prese il volto tra le mani. Benché non più una giovane fanciulla, Annia Peregrina era una bella donna, ancora desiderabile, con la quale il tempo era stato magnanimo: "Ci sei solo tu, ora, qui con me".
Annia lo scostò da sé e si fece scivolare la tunica addosso, che finì sul prato. Claudio percorse con gli occhi le curve sensuali di sua moglie. I doveri coniugali che aveva deciso di ottemperare quella notte a causa delle circostanze, non sarebbero stati così spiacevoli.

Camilla Verania depose il rotolo che stava leggendo sul basso tavolo del suo cubiculum. Non riusciva a concentrarsi su nessuna attività provasse ad imbastire per distrarsi. Sua madre Cornelia era partita per i possedimenti in Campania, e con Publio sempre assente, l'unica compagnia che aveva era quella perennemente affaccendata di Kara e quella silenziosa di Handal.
Erano passati già tre giorni dalla notte alla Suburra e da allora non aveva neanche messo il naso fuori da casa. Uscì nel peristilio e cominciò a passeggiare in tondo, immersa nei pensieri. Nemmeno la preghiera riusciva a darle requie.

Handal, accanto ad una delle uscite dei quartieri di servizio che davano sul peristilio, si appoggiò con la spalla contro il muro ed incrociò le braccia muscolose contro il petto possente. Cominciò ad osservare Camilla Verania che passeggiava tra siepi e piccole fontane. Erano giorni che la osservava, intuendone l'animo inquieto.
Tre notti prima, lo schiavo, benché fosse stato congedato, si era appostato dietro le pareti di un piccolo cubiculum, ad ascoltare il colloquio tra la sua domina ed il tribuno Scapto. Sapeva che quel romano l'avrebbe sposata un giorno ma non si fidava. Avrebbe potuto farle del male.
Non si sarebbe mai sognato di intervenire nelle loro discussioni, come avrebbe potuto? La sua condizione non glielo permetteva. Ma se Scapto avesse anche solo osato alzare un dito contro di lei... Non avrebbe esitato ad intervenire.
Camilla Verania si piegò su di un piccolo cespuglio di rosmarino: con le dita spezzettò un rametto, lo strofinò e se lo portò al naso per annusarlo. Handal la vide sorridere appena.
Con la mente tornò ai momenti concitati in cui aveva finto di essere un soldato ausiliario appartatosi con una lupa. Non ricordava più l'ultima volta che aveva stretto a sé una donna e tutto avrebbe creduto tranne che la sua padrona, l'unica persona che si era dimostrata buona e gentile con lui da quando era diventato uno schiavo, trattandolo quasi come un suo pari, potesse scatenargli una reazione del genere.
Non aveva mai considerato le donne romane particolarmente belle, con le loro capigliature elaborate, imbellettate e coperte di gioielli. Ma Camilla Verania era bella davvero, senza monili e artifizi, coi capelli appena raccolti e le vesti semplici. I suoi occhi gli rammentavano il blu intenso dei laghi montani incontaminati della sua terra d'origine, quando, nelle giornate di sole, questi si specchiavano contro il cielo terso.
"Dobbiamo convincerla ad uscire. Andremo alle terme domani!".
La voce sottile di Kara gli arrivò attutita tra i pensieri che affollavano la sua mente. Con la coda dell'occhio, vide la schiava nubiana che lo affiancava. La tunica chiara contrastava nettamente contro la pelle d'ebano.
"Mi aiuterai?" gli chiese lei "Non ce la faccio a vederla tormentarsi così".
Per risposta, Kara ebbe un grugnito che non seppe interpretare, e sollevò gli occhi al cielo, rassegnata.
Un tuono lontano preannunciò l'ennesimo temporale di quella primavera uggiosa. Il germano stette a guardare ancora per un po' la sua domina, poi si allontanò.

Camilla Verania rientrò nel vasto atrio, scrollandosi di dosso le gocce di pioggia dalle spalle e dai capelli. Nel voltarsi, si scontrò contro qualcuno.
"Publio!".
Il giovane senatore quasi barcollò all'indietro ma l'afferrò per un braccio, stringendo più del dovuto: "Sei qui!".
"Sorella".
Dall'alito avvinazzato, con le vesti scarmigliate e i begli occhi blu cerchiati di nero, Camilla comprese che suo fratello era nuovamente ubriaco. Quella vista le fece male. Un senatore di Roma, di famiglia antica e aristocratica, il fratello amorevole col quale era cresciuta, ridotto a quel modo.
"Ora verrai con me, Publio. Ti farai un bel bagno caldo. Poi berrai un infuso che ti preparerò io stessa e andrai a dormire" gli disse risoluta.
Il ragazzo le si gettò addosso, di peso, e l'abbracciò: "Camilla... mi sono messo nei guai" mormorò.
"Cosa è successo?" gli domandò allarmata.
Publio Veranio scrollò il capo, i capelli bagnati attaccati alla fronte: "Non... non importa" balbettò "Ma tu resterai sempre con me, vero?".
"Ma certo, Publio" gli rispose lei "Sei mio fratello, come potrei mai abbandonarti? Ora però dimmi cosa è successo".
"Nonostante il matrimonio risolverebbe molti problemi... Dovremo vendere le domus in Campania. Mi spiace per nostra madre...ma le venderemo. E tu rimarrai qui con me" continuò lui.
Camilla lo guardò stranita: "Stai delirando, fratello. Hai bevuto davvero troppo questa volta".
"No! So bene cosa dobbiamo fare! Quel tribuno potrebbe darmi ciò che serve, ma non baratto mia sorella per i soldi che mi servono! E poi non è detto che mi aiuti... Venderemo le domus e i vigneti... è l'unica soluzione. E tu resterai con me. Per sempre!".
"Hai perso completamente il senno!".
Il senatore la strattonò: "Che vuoi dire? Mica ti sei innamorata di quel soldato di infimo livello?".
La fanciulla provò a divincolarsi: "Basta ora!".
"Tu devi stare con me, perché tu sola mi ami. Devi amarmi!".
"Mi stai facendo paura così, Publio...".
Lui le artigliò le dita attorno alla mascella, impedendole di continuare a parlare: "Tu resterai con me... Non andrai da lui... a costo di ucciderti con le mie stesse mani" ringhiò tra i denti.
Camilla lo spintonò, liberandosi, e lo fissò con le lacrime agli occhi: "Sei completamente impazzito...".
Lo schiaffo la colpì in pieno viso. Fu talmente violento che Camilla si ritrovò schiacciata contro le tessere di mosaico del pavimento, senza capire come ci fosse finita. Avvertì dolore e bruciore alle labbra, mentre il sapore ferroso del sangue cominciava ad impiastricciarle la lingua.
Chino su di lei, Publio Veranio le urlò contro e tentò di schiaffeggiarla una seconda volta al viso, riuscendo però solo a colpirla alle braccia, che Camilla aveva sollevato per proteggersi.
Il senatore allora si accanì contro la sorella e le sferrò un calcio all'addome. Il fiato si mozzò a metà nei polmoni di Camilla, non permettendole nemmeno di riuscire a gridare aiuto. Rannicchiata per terra ed intontita dal dolore, la fanciulla aveva la vista annebbiata ma riuscì a sentire il grido di Kara provenire da chissà dove.
Publio non fece in tempo a caricare un altro calcio che si vide sollevato da terra e scaraventato di lato, come se non avesse peso. Il senatore si ritrovò a rotolare tra i cespugli del giardino, sotto la pioggia che aveva cominciato a cadere fitta. Un fulmine rischiarò il portico del peristilio e l'enorme mole di Handal si stagliò terribile su di lui. Il germano aveva il volto sfigurato dalla rabbia.
"Schiavo!" urlò il senatore, furibondo "Come osi?".
Veloce, Handal gli fu addosso, lo tirò su per la tunica e lo scaraventò per una seconda volta lontano. Lontano da Camilla.
La pioggia cominciò a scrosciare con forza. Publio, incredulo e ancora più arrabbiato, si alzò in piedi e, gridando, caricò lo germano. Gli parve di andare a sbattere contro un muro.
"Handal! Fermati!" riuscì a urlare Camilla Verania.
Publio si raddrizzò e il ghigno irato di Handal fu l'ultima cosa che vide prima di ricevere un pugno in pieno stomaco e crollare svenuto, sotto la pioggia scrosciante.

Sergio Sestio Scaptio raggiunse quasi di corsa l'atrio della sua domus, avvertito da uno dei suoi schiavi, giunto trafelato nella sua stanza.
Quando entrò nell'atrio della villa, vi ci trovò Handal che teneva in braccio Camilla; dietro di loro, Kara, la schiava nubiana, singhiozzante. Il trio era zuppo di pioggia.
"Cosa succede?" volle sapere, allarmato.
"Tribuno, la mia domina ha bisogno di un medico" rispose lo germano.
Stretta al suo schiavo, Camilla si voltò appena, con gli occhi colmi di lacrime. Al giovane tribuno si gelò il sangue nelle vene quando si accorse che la sua promessa sposa aveva il volto tumefatto e che sanguinava dalla bocca.
Sergio fece qualche passo verso di loro, ma Handal fece un passo indietro, rivolgendogli uno sguardo minaccioso. Non voleva che nessuno, a parte lui, la toccasse o solo si avvicinasse a lei.
"Seguimi" gli disse Sergio.

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