Capitolo II - Orationis

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Sergio strabuzzò gli occhi: "Matrimonio?".
Gaio Sestio spostò il peso dalla gamba offesa a quella sana, con un sorriso soddisfatto: "Una volta imparentato con la famiglia dei Veranii, avrai libero accesso alla carica di senatore".
Il tribuno era giunto a Roma a sera inoltrata, più tardi di quanto si era auspicato, e non avrebbe mai creduto che il padre gli augurasse il bentornato con una notizia simile. Finalmente libero della lorica e vestito con una semplice tunica azzurrina, Sestio si lasciò cadere su di un triclinio, senza riuscire a togliersi dal volto l'espressione stupefatta e nemmeno a dire alcunchè. Non gli era mai passato per la mente che i contatti che suo padre stava cercando per avviarlo alla carriera senatoria includessero anche il combinare un matrimonio.
"I Veranii sono una famiglia aristocratica molto antica e dalle finanze disastrate" prese a spiegare Gaio "Possiedono ancora un paio di ville sulla costa campana, dedite alla produzione di vino, e sono in grossa difficoltà economica. Ma non è questo il punto. Ciò che ci importa è che Publio Veranio Maecia sia un senatore abbastanza influente, che può introdurti in politica".
Sergio aggrottò la fronte: "Dicono che sia un vizioso e un corrotto".
Gaio si strinse nelle spalle: "Dettagli. Una volta diventato senatore, potrai anche fare a meno di lui".
Il giovane tribuno stirò le labbra. Dopo nove anni di servizio nell'esercito, il termine matrimonio era un concetto così lontano e estraneo che ancora non riusciva a realizzare come qualcosa di concreto. Non aveva mai contemplato quella possibilità, nella sua vita. Almeno fino a quel momento. Il crearsi una famiglia non era tra le sue priorità. Aveva ancora delle amanti, che aveva lasciato lontano, ai confini, le quali non gli avevano creato alcun pensiero una volta partito, perché a Roma ne avrebbe trovato certamente delle altre.
Una moglie. Quel pensiero gli suscitò quasi indifferenza. Sarebbe stato un po' meno facile da uomo sposato avere delle amanti, ma ovviamente non impossibile. Sergio Sestio Scaptio non aveva cattive abitudini particolari, come il gioco d'azzardo, tranne quella del piacere che sapeva trarre dal corpo di una femmina. Che fosse una lupa, una nobile, una schiava o una barbara, poco importava: affondare le preoccupazioni nel ventre di una donna era un'attività che riteneva indispensabile.
Sergio si grattò il mento, con fare noncurante: "La madre di Publio Veranio Maecia... la vedova, si chiama Cornelia Verania, giusto? Credo che sia un po' anziana per me. E' ancora in grado di generare figli?".
Gaio Sestio ridacchiò: "Ah, questo davvero non lo so! E non ci deve importare, visto che ne sposerai la figlia".
"La figlia?".
"Si chiama Camilla e ha diciotto anni".
Il tribuno stavolta parve incuriosirsi. Una ragazza giovane, quindi. La famiglia dei Veranii non era una Gens sconosciuta, anzi. Forse suo padre aveva davvero fatto un buon affare per lui e la sua famiglia. Un seggio in Senato, una qualche carica pubblica di un certo rilievo e una moglie giovane. Sperò fosse di aspetto gradevole e di carattere malleabile, a dispetto della guerriera mitologica di cui portava il nome. Diciotto anni. Probabilmente era ancora vergine. Storse il naso.
Una vergine aveva molto da imparare e lui non era conosciuto per avere un'indole paziente.
"Quando rientrerai in servizio?" volle sapere Gaio, interrompendo il filo di quei pensieri.
Sergio si rizzò a sedere: "Presto. Abbiamo avuto già segnalazioni di alcuni luoghi in cui i capi cristiani radunano i loro seguaci per le loro cerimonie. Attendo ordini quanto prima".
"Allora oggi riposa, figlio mio, che tra poco dovrai compiere il tuo dovere al servizio dell'imperatore" una luce soddisfatta illuminò i tratti di Gaio "E fra qualche giorno conoscerai colei che partorirà i tuoi figli!". Ed uscì dalla sala con fare baldanzoso e allegro, sotto lo sguardo perplesso di suo figlio.

Il cuore di Claudio Decio Peregrino si colmò di gioia quando suo figlio Flavio, dopo qualche attimo di titubanza, lo riconobbe e gli corse incontro.
Era diventato più alto e gli occhi di Claudio si riempirono di lacrime quando il bambino, tutto emozionato, cominciò a raccontargli che proprio qualche giorno prima aveva trovato un gattino nei grandi giardini della domus sul Gianicolo.
"Mio caro! Finalmente!".
Annia Peregrina accolse suo marito con un largo sorriso dipinto sulle labbra carnose. Più anziana del suo sposo, ma alta, snella e dal portamento regale, Annia abbracciò Claudio, senza mancare di abbassare lo sguardo con disappunto alla vista di Tito Fabio Corvo, a qualche passo di distanza, che lo accompagnava.
"Moglie mia" le disse Claudio, posandole un bacio sulla fronte.
Annia, molti anni prima, era rimasta vedova e senza figli, ereditando una cospicua fortuna. Era una donna colta, rinomata in tutta l'Urbe per accogliere nella sua opulenta domus poeti e artisti, ma conosciuta anche per la sua grande bellezza. Si diceva che avesse avuto molti amanti, tra cui lo stesso imperatore Valeriano quando lei era appena una ragazza. Per interrompere la scia di pettegolezzi – che non negava, né confermava - che stava rovinando la sua reputazione di matrona di antica famiglia, aveva sposato il tribuno Claudio Decio Peregrino. Per lei era stato una sorta di colpo di fulmine: Claudio era un giovane avvenente, affascinante, profondamente istruito e dal carattere abbastanza scanzonato da attrarla e incuriosirla. Quel giovane dai penetranti occhi verdi aveva accettato di buon grado di sposare una donna più anziana, dalla reputazione dubbia e con molta probabilità sterile, essenzialmente perché lei era ricca.
Solo dopo il matrimonio, però, Annia scoprì che l'attrazione che nutriva per lui non era ricambiata. Claudio non era attratto da lei. Claudio non era attratto da nessun'altra donna.
Il tribuno adempiva ai suoi doveri coniugali quel tanto che serviva, e quando Annia scoprì con grande sorpresa – pensava di non poter concepire figli e l'età ne aveva affievolito ogni speranza – di aspettare un bambino, Claudio ne fu enormemente felice. Se fosse perché sarebbe diventato padre o perché così non aveva più alcun motivo per doverla toccare, lei non lo seppe dire.
Aveva sempre saputo che Claudio aveva amanti occasionali, ma non aveva niente da rimproverargli: in fondo si era rivelato un giovane uomo responsabile ed ambizioso, un marito premuroso e un ottimo padre per il piccolo Flavio. E lei sapeva come fare per ritagliarsi un po' di tempo in compagnia di qualcuno fidato che la soddisfacesse fisicamente.
La situazione era però peggiorata dopo che Claudio ebbe conosciuto Tito Fabio Corvo, poco prima della partenza della prima campagna militare sul Reno. Quel ragazzo dal carattere accondiscendente e posato era diventato l'amante fisso di Claudio. Annia, nonostante tutto, non riusciva ancora a capacitarsi di non essere desiderata da lui. Quando entrambi i tribuni partirono assieme agli ordini dell'imperatore, lei non poté altro che pregare gli dei affinché quella relazione si fosse presto interrotta.
Trovandosi in casa quel ragazzo biondo e dall'aria tranquilla che accompagnava Claudio, Annia comprese che le sue preghiere non erano state ascoltate. Corvo non le piaceva, non le era mai piaciuto. Gli uomini di indole retta e di sguardo perbene, li considerava deboli.
Corvo sorrise ad Annia, piegando appena il capo in segno di saluto: "Sono felice di rivederti, Annia Peregrina".
"Felice di rivedere te, Fabio Corvo" mentì lei.
"Ora che siamo tutti felici di rivederci" esordì Claudio Decio allargando le braccia "Credo sia arrivato il momento di rifocillarmi, mia cara".
Annia si sforzò di sorridere a ciò che stava per dire: "Rimani con noi, Corvo?".
"Grazie per l'invito, ma credo che cenerò a casa" rispose lui.
La donna parve rilassarsi. Quella notte avrebbe avuto Claudio tutto per sé.

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