Capitolo X - Pro Delicto

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N.d.A. Sulla scia dell'inaspettato 3° posto conquistato al Contest 2020, ecco il nuovo luuungo capitolo! Come sempre, al termine, alcune precisazioni storiche.

Capitolo X - Pro Delicto

Publio Veranio Maecia sobbalzò in preda a forti colpi di tosse. Tentò di rimettersi in piedi, ma riuscì solo a sollevarsi sulle ginocchia. Tossì così forte che si ritrovò a vomitare il contenuto del suo stomaco sulle radici di un cespuglio di rose odorose. Quando si riprese, affannato e con un sapore amarognolo in bocca, si ritrovò improvvisamente con la mente lucida.
Cosa ho fatto? pensò.
Si alzò a fatica sulle gambe incerte e intorpidite, ancora nauseato, e mise un piede davanti all'altro, ritrovandosi al coperto, sotto il porticato. Completamente fradicio di pioggia, si appoggiò ad una colonna stuccata, avvertendo il cattivo odore che emanava da lui e dalle sue vesti lerce, macchiate di vino, vomito e terriccio. Tremava. Si guardò le mani e l'immagine di Camilla rannicchiata sul pavimento che provava a proteggersi dalle percosse che lui stesso le infliggeva, lo disgustò. Provò disgusto per sé stesso. Avrebbe voluto nuovamente dare di stomaco per poter placare la nausea e il ribrezzo di ciò che aveva fatto, ma il suo ventre era ormai vuoto e gli doleva per il colpo ricevuto dallo schiavo germanico.
Camminò fino alla sua camera e si gettò sul giaciglio, addormentandosi di schianto.

Il senatore urlò terrorizzato quando il getto d'acqua fredda lo investì in pieno, nel sonno. Il secchio di legno finì a rotolare lungo il pavimento, con fracasso, mentre lui, ancora gemente di freddo e di sorpresa, si rannicchiava contro la parete. In preda agli spasimi, Publio Veranio si ritrovò ad essere oggetto dello sguardo contrariato di tre uomini, che lo guardavano dall'alto in basso, alla debole luce di una lucerna.
"Ben svegliato, senatore Maecia".
Publio si passò le mani sugli occhi e riconobbe Decio Peregrino e, alla sua destra, il suo amante, Corvo. A sinistra, lo sguardo di brace rabbiosa del tribuno Sergio Sestio Scapto.
"Cosa... cosa volete?" balbettò.
Un ghigno comparve sul volto di Corvo: "Parlare".
"Non ho niente da dirvi!".
Sergio scattò verso il senatore, ma Claudio lo afferrò per un braccio, a fermarlo.
"Dopo ciò che hai fatto, dovrei ucciderti con le mie mani..." sibilò tra i denti Sergio.
Publio Veranio si portò le mani al viso, con un singulto. La figura piccola e fragile di sua sorella, il sangue che le macchiava il labbro ferito. Visioni che vedeva ancora nitide davanti agli occhi. Ed erano dolorose. Cosa aveva provato lei in quegli istanti orribili?
"Camilla... dov'è? Dov'è mia sorella? Camilla!" chiamò "Camilla!".
"Inutile urlare. Non è in questa casa" precisò Claudio.
Lo sguardo di Publio si rivolse a Sergio, irato: "Quel maledetto schiavo! Ha portato via Camilla! L'ha portata da te, vero?".
Sergio Sestio cacciò l'aria dalle narici, come un toro nell'arena, pronto a dare la carica: "Ora è al sicuro".
Il senatore fece per alzarsi ma le gambe non lo ressero e cadde all'indietro: "Devo... devo vederla!" gracchiò, annaspando come un naufrago in mezzo ad una tempesta.
"Come può un senatore dell'antica aristocrazia ridursi a questo modo?" mormorò Tito.
Punto nell'orgoglio, Publio reagì: "Come può un tribuno di Roma diventare una concubina?".
Fu Claudio Decio a reagire e nessuno questa volta intervenne. Afferrò il giovane senatore per la tunica e lo tirò giù dal suo giaciglio; Publio cadde in malo modo sulle tessere di mosaico, ma dopo un breve momento di stordimento, si tirò su, contro la parete finemente stuccata. Credette di essere preso a botte, ma rimasero immobili, a fissarlo. La luce tremula della lucerna creava inquietanti ombre alle spalle dei tre uomini.
Sergio si fece avanti, stringendo i pugni. Fece leva su tutta la sua forza di volontà per placare la furia che gli avvelenava il sangue nelle vene e non sfogarla contro quel disgraziato, che presto sarebbe diventato suo parente. A sua volta, Publio lo squadrò, quasi con timore, e il pensiero del tribuno corse inevitabilmente a Camilla, i cui occhi erano così simili a quelli del fratello.
"Devo vedere mia sorella!" insistette lui "Devo parlarle...".
Sergio sospirò: "Potrai vedere Camilla se e quando sarà lei a deciderlo" precisò "Sappiamo che ti sei messo nei guai e che hai sperperato ingenti quantità di denaro non tue".
Gli occhi di Publio si spostarono su Claudio Decio, poi nuovamente su Sergio Sestio: "E quindi?".
"Dobbiamo sapere tutto".
Il senatore ridacchiò: "E perché mai? Vorreste aiutarmi?".
"Vorrei che i prestiti che ti sono stati concessi tornassero alla legittima proprietaria" dichiarò Claudio.
"La tua reputazione è già abbastanza compromessa" intervenne Sergio "Conto sulla fiducia di Gallieno e non voglio che qualcosa o qualcuno la rovini. E visto che presto ci imparenteremo...".
Publio scattò, affrontando a muso duro Sergio: "Tu non sposerai Camilla! Non hai avuto la mia benedizione! E quella di mia madre non conta nulla!".
Con tutta la calma che poté tirar fuori, Sergio Sestio lo fissò dritto negli occhi. Benché di poco più alto, il giovane senatore era più magro e longilineo rispetto a lui, e inoltre era ridotto male; gli sarebbe bastato poco per sovrastarlo. Storse appena il naso a causa del tanfo che emanava.
"Non sei nella condizione di decidere per tua sorella, dopo ciò che le hai fatto" dichiarò in tono neutro "Inoltre, durante gli sponsalia eri presente in qualità di capo famiglia dei Veranii che acconsentiva al fidanzamento. O eri troppo ubriaco per ricordarlo, senatore Maecia?".
Gli occhi blu di Publio Veranio cedettero e si velarono di lacrime. Camilla, la sua piccola Camilla. Come aveva potuto farle del male? L'aveva persa per sempre? Avrebbe fatto qualsiasi cosa per rimediare.
"Helios... Si fa chiamare Helios" biascicò dopo qualche istante "Alla Suburra gestisce alcuni lupanari e i giri delle scommesse... perdevo e Helios mi prestava i soldi per continuare a giocare, ma perdevo anche quelli".
Fece una pausa, con la bocca secca e il suo respiro affannato che echeggiava nel piccolo cubiculum: "Ha cominciato quindi a chiedermi la restituzione del denaro con interessi spropositati e minacce, e quelli che riuscivo a dargli tramite i prestiti non bastavano mai".
"E' contro la legge*" sentenziò Tito.
"Lo so! Conosco le leggi!".
"Denunceremo questo Helios direttamente a Gallieno" disse Claudio "Faremo avviare delle indagini e cercheremo di recuperare il denaro, né più né meno di quello che hai perso. E testimonierai in tribunale".
"No!" protestò Publio "Ne va del mio onore!".
"Non sei il primo né l'ultimo senatore di Roma che finisce in cattive acque" precisò Sergio Sestio.
Publio si accasciò nuovamente sul giaciglio, svuotato e privo di forze. I tre uomini si avviarono verso l'uscita.
"Aspetta!".
Sergio si voltò a guardare il senatore; gli sembrò solo un ragazzo che era finito in qualcosa più grande di lui. Se non fosse stato per l'aggressione a Camilla, gli avrebbe persino fatto compassione.
"Devo vedere mia sorella!".
"Le dirò che vuoi parlarle. Come ho detto prima, però, sarà lei a decidere che farne di te" ed uscì.
Il rumore dei passi di Claudio Decio, Tito Fabio e Sergio Sestio si allontanò sempre più, fin quando Publio Veranio non si ritrovò avvolto dal silenzio. Si fiondò su una piccola brocca d'acqua posata su di un basso tavolo e dimenticata lì da qualche schiavo. Ne vuotò il contenuto, bevendo tutto d'un fiato.
Strinse poi la brocca tra le dita e la scagliò violentemente contro il muro, andando in frantumi. Publio rivoltò anche il tavolo e tutti gli oggetti che erano su di esso, con gran fracasso e gemendo di rabbia. Si tirò via la toga sudicia con stizza. Si lasciò poi cadere in terra e pianse.

"Sergio...".
La voce di Tito arrivò alle spalle di Sergio, nel mentre che recuperavano le loro cavalcature. Si girò e l'espressione amareggiata del suo compagno lo sorprese. Persino Claudio sembrava aver perso il suo abituale buonumore.
"Riguardo a quella frase che ha detto Maecia su di me..." cominciò a dire.
Il tribuno squadrò i suoi amici e cominciò a sorridere: "Ci conosciamo da così tanti anni! Quante ne abbiamo passate assieme? Quante volte ci siamo coperti le spalle?" dichiarò "Quindi cosa mi importa con chi scopate o se scopate tra voi?".
Claudio cominciò a ridere sommessamente fin quando la sua risata non esplose vivace e contagiosa. Mise un braccio intorno al collo di Tito, anch'egli divertito.
"Beh, noi andiamo a scopare. Tu?" e rise ancora.
Sergio si grattò il mento, dove stava cominciando a crescergli la barba: "Da quando siamo tornati a Roma, non ho toccato una sola donna".
Si meravigliò di sé stesso. Non era mai intercorso, nella sua vita, un intervallo di tempo così lungo tra una volta e l'altra, che fosse con una lupa o un'amante fissa. Quella frase, però, non era del tutto giusta, rifletté. Una donna l'aveva in effetti baciata. Quel ricordo, sorprendentemente dolce, lo fece sospirare.
"Per le cosce di Venere! E' proprio amore!" lo canzonò Claudio.
"Stalle vicino" disse Tito, tornato serio "Abbi cura di lei, proteggila. Non si è piegata alle percosse e al volere di suo fratello, ma le ferite dell'anima guariscono molto più lentamente di quelle del corpo. A volte, non guariscono affatto".
Sergio Sestio annuì. Lo spirito attento e sensibile di Corvo aveva colto nel segno; in poco tempo, la fanciulla al quale era stato destinato era riuscita a scardinare molte delle sue certezze e a portare scompiglio nella sua vita. Avvertì l'improvviso bisogno di andare da lei, quindi salutò i suoi commilitoni e si avviò alla sua domus.

Handal si avvicinò al letto in cui riposava già da un po' la sua domina. Si accucciò ai piedi del giaciglio, sul pavimento. Chiuse gli occhi, ma la sua soglia di attenzione rimase in allerta e lo sarebbe stato per tutta la notte, se la sua domina ne avesse avuto bisogno.

Cercando di fare meno rumore possibile, Camilla si mise a sedere sul letto. Sorrise quando vide Handal, disteso a terra. Poteva scommettere con chiunque che in realtà non stava dormendo. Abbandonò il letto, scavalcando l'enorme mole dello schiavo e fece qualche passo fuori, verso il rigoglioso giardino interno della villa. L'aria della notte era frizzante ed umida. Respirò a pieni polmoni l'ossigeno, avvertendo il fresco penetrarle nel naso, nella gola e nel petto. Gemette appena, avvertendo un forte indolenzimento all'addome. Si avvicinò ad una piccola fontana, da cui zampillava allegro un breve getto d'acqua. Intinse le dita nel liquido gelido e trasparente e si segnò la fronte, così come le era stato insegnato**. Si piegò poi sulle ginocchia e cominciò a pregare. Pregò per Publio, la sua anima ne aveva bisogno.
"Dovresti riposare, come ha detto il medico".
Camilla trasalì e si voltò; Sergio, appena lontano di qualche passo, indossava un lungo mantello sopra la semplice tunica, come se fosse appena rientrato.
"Scusa, non volevo spaventarti".
Camilla si sollevò in piedi e tirò su col naso: "Pregavo... e non riesco a dormire".
"Pregavi il dio dei cristiani?" le chiese lui.
La fanciulla sorrise: "Certo".
"E cosa gli chiedevi?".
"Che Publio comprenda gli errori commessi e trovi pace. E che Lui, che tutti perdona, mi dia la forza di perdonare a mia volta".
Sergio Sestio aggrottò la fronte: "Vuoi perdonarlo? E' questo che predicate voi cristiani? A perdonare chi vi fa del male?".
Camilla annuì, con volto sereno, senza aggiungere altro. Non aveva alcuna intenzione di fare proselitismo con lui, né avrebbe preteso che Sergio Sestio capisse.
"Sappi che tuo fratello vuole vederti".
Camilla gli si avvicinò: "Lo hai visto? Come sta?" chiese preoccupata "Gli hai...".
"Non gli ho fatto niente, non sono quel tipo di uomo che si accanisce contro i deboli" le disse, con tono infastidito. Non riusciva a comprendere come lei potesse essere preoccupata per il fratello, dopo quanto accaduto.
Camilla fece un altro passo in avanti e lo guardò negli occhi, quegli occhi bruni dai cui trovava difficile carpirne i pensieri: "Lo so che non sei quel tipo di uomo. Sto imparando a conoscerti".
Sergio abbozzò un sorriso, che gli fece comparire una piccola fossetta sulla guancia appena velata di barba: "Il senatore Maecia sta meglio di quanto avrei voluto. Sarai tu a decidere se e quando vederlo. Fino ad allora, potrai restare qui, con me".
"Volevo ringraziarti per aver accolto me, Kara e Handal nella tua casa, stanotte".
Sergio stirò le labbra: "Presto questa sarà la tua casa".
Camilla annuì. Mancavano appena tre settimane al loro matrimonio e fino a quel momento non aveva ancora pensato che quella ricca e vasta villa, presto sarebbe diventata la sua nuova dimora.
Il tribuno fece qualche passo verso di lei: "Se vuoi, però, posso far preparare una carrozza e una scorta per te e i tuoi servi, già per domani, se vorrai raggiungere tua madre in Campania".
La fanciulla sollevò il viso ad incontrare lo sguardo bruno del suo promesso: "Non credo sia il caso..." con una mano si sfiorò il volto, a toccare il vistoso livido violaceo che le sfigurava lo zigomo "Dovrei spiegare cosa è accaduto e non voglio darle un dispiacere".
Il tribuno deglutì a vuoto. Camilla Verania, che invece di provvedere a sé stessa e al suo bene, pensava a non provocare un dolore a sua madre, a tener nascosto cosa aveva fatto suo fratello. A pregare di riuscire a perdonarlo mentre se ne preoccupava. Non se ne capacitò.
"Se per te e per Gaio Sestio non è un problema, vorrei rimanere qui ancora per qualche giorno".
Sergio annuì: "Allora, potrei informare tua madre che ti sei trasferita qui per seguire da vicino i preparativi. Che ne pensi?".
Camilla accennò un sorriso: "Mi sembra una buona idea".
Nella penombra notturna che andava schiarendosi per far posto all'alba lattiginosa, lo sguardo azzurrino di Camilla sembrò diventare più denso, appena mosso dall'accenno di un sorriso. Sergio ripensò alle parole del suo amico: uno sguardo del genere, ingenuo e fragile, ma profondo e puro, potevano far impazzire un uomo. Ciò che aveva provato nel vederla in lacrime e ferita, poco tempo prima, gli indicava chiaramente che lui si trovava sull'orlo di quel baratro. Sarebbe bastato un passo in avanti e sarebbe inevitabilmente sprofondato in quella dolce e struggente pazzia.
"Allora, così è deciso. Resterai al sicuro qui, con me e mio padre. Nei prossimi giorni saranno presenti spesso anche i tribuni Corvo e Peregrino, puoi fidarti di loro, anche se con quel cane da guardia barbaro che ti sta sempre dietro, posso di certo star tranquillo!".
Camilla si sentì arrossire; era la prima volta che Sergio Sestio si preoccupava seriamente per lei e ciò le fece piacere.
"Dove l'hai scovato?" volle sapere lui.
"L'ho visto per caso, al mercato. Era assetato e ferito. Era destinato al Ludus".
Sergio inclinò il capo: "Gli hai salvato la vita".
"E' lui che l'ha salvata a me". Il sorriso di Camilla si tramutò, poi, in una smorfia di rammarico: "Non credo che mio fratello tenterà di aggredirmi nuovamente".
"Lo penso anche io", il tribuno si piegò su di lei e le baciò la fronte: "Ora va a riposare".


*Leggi molto severe punivano l'usura già dai tempi della Repubblica.
**(...) in queste e in tutte le nostre azioni ci segniamo la fronte col segno di croce.»
(Tertulliano, De corona, III, PL II, 80A)

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