8

491 41 17
                                    

Regina uscì di casa e andò in ufficio a sbrigare quella mezza dozzina di pratiche che si erano accumulate sulla sua scrivania negli ultimi giorni. Tutta quella vicenda l'aveva resa distratta e pigra.

Dopo aver lavorato per un paio d'ore, uscì dall'ufficio e si inoltrò nella foresta, raggiungendo quanto in fretta le consentivano i tacchi l'accampamento di Robin. Lui stava ravvivando il falò al centro del cerchio di tende, con Roland accanto. La vide attraverso le fiamme, e le rivolse subito un sorriso mesto. Si alzò, disse qualcosa al figlio, che rimase seduto su uno dei tronchi abbattuti a tirare piccoli rametti nel fuoco, e le andò incontro.

Non gli diede tempo di aprire bocca.

«Robin... dobbiamo parlare.»

Lui si accigliò.

«Che succede?»

Regina prese l'anello dalla tasca del soprabito e lo mise nella sua mano.

«Non posso sposarti.»

Robin fissò l'anello, il palmo ancora aperto.

«Perché Henry ha detto di no?» Alzò gli occhi azzurri su di lei. «Regina, non puoi fare sul serio!»

«No, è che... non è la cosa giusta» replicò, cercando di domare l'irritazione. Attribuì la sua obiezione al dolore, ma non riuscì a non provare un pizzico di nervosismo: Henry sarebbe stato sempre la sua priorità, Robin avrebbe dovuto saperlo. «Mi dispiace Robin, ma...»

«Ma cosa? Ti sei presa gioco di me!» sbottò l'uomo, un urlo ridotto ad un sussurro rabbioso, probabilmente a beneficio di Roland.

«No! Credevo che potesse funzionare, ma non è così.»

«Perché hai accettato di sposarmi allora?»

«Non è che tu mi abbia dato molta scelta» gli fece notare, e lui trasalì. «Me l'hai chiesto davanti a tutti» spiegò, prima che potesse obiettare. «E poi non so neanche se voglio sposarmi di nuovo...»

La rabbia di Robin sembrò scemare appena.

«Se non vuoi non dobbiamo, ma possiamo restare insieme...»

Regina lo guardò negli occhi. Non voleva ferirlo, ma onestamente tutto ciò a cui stava pensando in quel momento era Emma. Ed era sempre stato così.

«No, non possiamo. Mi dispiace.»

Robin serrò i denti. Gli si gonfiarono di nuovo le vene del collo, scosse la testa distogliendo lo sguardo.

«Sei tu che vuoi essere infelice allora» disse prima di allontanarsi.

Emma si vestì e accompagnò Henry a scuola prima di fermarsi al Granny's. Aveva una voglia incredibile di ciambelle al cioccolato.

Ne prese due e andò in ufficio. David era già lì, con l'aria di chi non aveva dormito molto.

«'giorno. Nottataccia?»

«Neal non fa che piangere» replicò il padre con uno sbadiglio, stropicciandosi la faccia. «Ho dormito forse un'ora e mezzo.»

«Prenditi la giornata.»

«No, non puoi stare qui da sola...»

«Non c'è molto da fare. Puoi andare, tranquillo.»

David alzò lo sguardo arrossato su di lei.

«Tu come stai?»

Emma gli sorrise.

«Benissimo.»

David aggrottò la fronte.

«Be', almeno a te la notte è andata bene...»

Pazza ideaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora