Hugo

461 31 1
                                    

Non so quanto abbia bevuto ma posso dedurlo dal mal di testa che non mi dà tregua.
Sono le 8:00 del mattino ed è già passata mezz'ora dal mio risveglio.
Ho un brutto presentimento ma non riesco a capire da cosa sia dovuto.
Mi incammino verso il bagno e riempio la vasca, mi spoglio e mi ci fiondo dentro sperando che l'acqua possa far sparire tutto, postumi da sbornia compresi.
Mentre mi sto crogiolando nel calore dell'acqua un flash, ho bevuto, ho preso il telefono, OH CAZZO! CARRIE!
Afferro il cellulare dal bordo della vasca e continuo a ripetermi che NO, non posso essere stato così coglione dal risponderle ubriaco.
Apro la mail, rimango basito.
Parole a caso e talmente tanti orrori che neanche sotto tortura avrei saputo fare di peggio, ma poi l'occhio scende, la firma.
Non ci credo!!
Ma perché ho bevuto così tanto!
Non c'è una sua risposta, potrebbe non averla letta ma non posso eliminarla, dovrò inventarmi un piano perché quando verrà ad insultarmi, oh e sono certo che lo farà, dovrò mettere al suo posto questa ragazzina passando in maniera più assoluta dalla parte della ragione!
Esco dalla vasca e mi preparo per la giornata, non può andare nient'altro storto come questo buongiorno!
Esco di casa verso le 9:00, mentre salgo in auto bofonchio a Jonas un saluto e mi rimetto a riflettere.
Potrei appellarmi al fatto che essendo socio, ho voluto constatare da solo, e in disparte, la bravura della nuova assunta.
Oppure potrei semplicemente dire che mi hanno rubato il telefono e mi hanno clonato le mail.

Oppure potrei...oh maledetto a me!

Sto anche sprecando fiato per giustificarmi. La voglio far fuori dall'azienda e quale modo migliore di riprenderla per ciò che potrebbe fare se entrasse nel mio ufficio.
Arrivo alla Torre Esperanza, dal parcheggio sotterraneo deduco che papà non sia ancora arrivato.
Meglio così, salgo con l'ascensore interno diretto al nono piano, al mio ufficio.
Quando entro scopro che stare fuori tre mesi ha dato tanti privilegi quanti difetti. Tre plichi alti di scartoffie mi attendono sulla mia scrivania pronti per essere firmati.
La signora Rita, la mia segretaria, bussa alla mia porta e aspetta un mio via per entrare. Mi elenca, leggendo dalla sua cartellina blu, tutti gli impegni di questa settimana.
Tanti, ma non molti.
Le dico che questa mattina non voglio essere disturbato, voglio portare a termine tutti i documenti in arretrato e contatterò io stesso mio padre per vederlo a pranzo.
Annuisce e va via chiudendosi la porta alle spalle.
La mattinata scorre veloce, sono quasi le 11:00 e della ragazzina nemmeno l'ombra. Controllo velocemente i turni della settimana, è strano. Dovrebbe essere qua!
Troppo altezzosa per evincere pretese?
Continuo a lavorare, papà mi ha fatto sapere che non potrà pranzare con me, che ci vedremo domani.
Questi fogli da firmare sono infiniti, sembra che per quanti ne siglo altrettanti si riproducano sulla mia scrivania.
Ad un certo punto delle grida, sento il mio nome, più e più volte.
"STO CERCANDO HUGO ESPERANZA! DEVO PARLARE CON HUGO ESPERANZA"
Sento Rita che in maniera molto professionale spiega che non posso essere disturbato al momento e la risposta della ragazzina mi fa ridere.
"PERCHÉ? È TROPPO IMPEGNATO A PRENDERE IN GIRO QUALCUN ALTRO?"
Sento che sposta la poltrona, e temo già la sua incursione nell'ufficio, mi volto di spalle all'entrata, guardo verso la finestra con i fogli in mano e la penna.
La porta si apre, dalla poca delicatezza comprendo non sia Rita.
Sento un respiro affannoso.
"Senti ragazzino! Come ti è saltato in mente di prenderti gioco di me in questo modo? Ringrazia che tuo padre ha già troppe cose a cui pensare e non è qui altrimenti ti avrei fatto riprendere da lui!"
Sto sempre girato, c'è qualcosa nella sua voce che mi dà una scossa ad ogni parola. Credo sia l'orgoglio!
Accenno un "mmh mmh" senza voltarmi, e lei continua.
"Ah beh certo, siamo così altezzosi che non ci degniamo nemmeno di girarci. Puoi spiegarmi almeno perché io?? Qual è il tuo problema? Già mi bastano i miei, ci manchi solo tu ad aggiungere carne al fuoco! Mi hai fatto perdere un'intera giornata con i tuoi giochetti perversi!"
Giochetti perversi, se solo sapesse quali sono i giochi perversi che intendo io non parlerebbe così!
Mi scappa una risata e se ne accorge.
"Ah sì?? Ma sei serio? Come ti permetti di ridere ora? Ma ti sembra normale quello che hai fatto? Sicuro di essere figlio del Signor Esperanza? Perché evidentemente non hai ereditato il gene della gentilezza!"
Non resisto più, devo voltarmi e vederla in faccia. Faccio un respiro profondo e lentamente giro la sedia.
Lei non se ne accorge, sta camminando avanti e indietro e al momento mi dà le spalle.
Le sue curve tutto lasciano immaginare fuorché queste appartengano ad una ragazzina.
Ha dei collant a pois neri, uno stivaletto nero senza tacco e una gonna rossa che lascia intravedere una parte di coscia. Non è il classico standard di donna che frequento, non è esile, è formosa.
Meglio, sarà ancora più facile per me! Ora, appena si volterà dalla mia parte, le affibbierò la scusa del test di assunzione e che, gli errori di ieri, non so come possono essere accaduti.
Si sta voltando.

Lentamente.
Intravedo la curva del seno, sta messa davvero bene la tipa. Un lieve accenno di pancia rende armonico il fianco e la maglia nera con le maniche in pizzo risalta le sue forme.
Ma insomma! A che penso!
Mi devo focalizzare sulla mia teoria!
Si volta completamente. Ha gli occhi chiusi, credo per la rabbia, e respira ritmicamente alzando e abbassando i seni con il respiro.
Qualcosa in me si muove, ringrazio Dio di essere seduto e che la scrivania non sia di vetro.
Ma che mi prende? Nessuno mi ha mai fatto un effetto istantaneo senza neanche toccarmi!
Apre gli occhi e mi fissa, schiude leggermente le labbra rosate e le richiude subito.
Le ciocche bionde le contornano il viso, ma sono i suoi occhi a bloccarmi.
Sono di un azzurro bellissimo, con dei piccoli accenni di oro nell'iride e gli occhiali accentuano il suo sguardo.
C'è odio, lo sento. Ma il mio corpo non riesce ad emettere un fiato e a riprendere in mano quell'odio che aveva tenuto in serbo per questo momento.
La fisso, lei mi fissa, in silenzio.
Riesco solo a dire due parole che non pronuncio ad una donna da molto, troppo tempo.
"Mi dispiace"
Lei alza gli occhi al cielo, si dirige verso la porta di scatto e se ne va. E io rimango lì con un'erezione enigmatica e quel mi dispiace che mi risuona nelle orecchie.
C'è qualcosa in lei e voglio scoprire cos'è!

Ti voglio vicinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora