Carrie

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Dalla mia bocca non è uscito un fiato, quando si è voltato tutto sembrava fuorché un ragazzino.
Quegli occhi di un verde intenso spiccavano sulla pelle abbronzata.
Gli zigomi perfettamente marcati, la mascella tesa e quegli occhi. Quel verde mi ha letteralmente imbambolata.
Sono passati venti minuti da quando mi sono chiusa nel bagno del terzo piano.
Sto cercando di far placare questo nodo allo stomaco, o farfalle o qualsiasi cosa sia. Il mio odio si è spento nell'istante esatto che ha incrociato il suo sguardo con il mio.
Più chiudo gli occhi e più il suo ricordo è nitidissimo,
come se gli avessi scattato una foto contro la sua volontà. Ricordo il tatuaggio sul collo, delle lettere credo, le pieghe della giacca che sembravano sul punto di esplodere nel racchiudere i suoi muscoli.
I capelli scuri, corti, ma abbastanza da stringerli tra le mani.
Dev'essere il peggior scherzo a cui il destino ha deciso di pormi. Sento ancora i brividi dentro, dalle gambe fino ad ogni terminazione nervosa esistente.
Questo è sicuramente un colpo basso alla mia povera persona, cerco di ricompormi davanti allo specchio.
Ma perché ho deciso di indossare questa stupida gonna?                                                                                    Avrà riso delle mie gambe, questo è certo.                                                                                                                E questa maglia, se sta a Sophie, ovviamente non dovrei indossarla io!

Il suono della sua risata riecheggia ancora nella mia testa,
silenziosa, sensuale, piena.
Poi mi acciglio, stava di sicuro ridendo del mio aspetto.
Devo riprendermi. La pausa pranzo è finita e, per quanto io l'abbia saltata, lo stomaco non si lamenta.
Le farfalle lo riempiono ancora, non si placano.
Torno alla mia postazione, ancora due ore e sarò fuori da qui, ho solo bisogno di andare a casa e lasciarmi questa giornata alle spalle.
Fortunatamente le 15:00 arrivano in fretta, e rientro a casa con Sophie. Sta parlando di un evento, di una serata da qualche parte ma non la sto ascoltando.
Ho la testa ancora in panne e non accenna a riattivarsi.
Appena entrate mi spoglio immediatamente, voglio solo mettermi una tuta gigante che non lasci spazio all'immaginazione e mettermi in balcone.
Sophie intanto entra in doccia e io fumo, penso e fumo e ne approfitto per chiamare casa.
La voce di mamma saprà rasserenarmi e non sarà certo questo il giorno per dirle che il mio periodo qua si sta prolungando.
Poi, dopo questa mattina, non so neanche più se voglio tornarci domani a lavoro.
Mamma mi dilegua dopo poche frasi, c'è gente al banco check-in in hotel e non può darmi udienza.
Il sole sta tramontando ma i miei pensieri sono ancora molto contorti.
Sophie mi si proietta davanti, ha un bel completo
giacca- pantalone azzurro che le risalta le forme e le valorizza i suoi colori.
Le sorrido ma lei mi guarda perplessa e non capisco perché.
"Carrie hai almeno ascoltato una delle parole che ho detto in macchina?"
"Ehm...no?!"
Mi prende per un braccio e mi lancia in bagno. Mi spoglia in dieci secondi dalla mia confort-zone e inizia a lavarmi i denti come se fosse mia madre, mi butta in doccia con una ridicola cuffietta fuxia fluo e mi lava con la spugna in pochi minuti.
Mi riporta in camera ancora gocciolante.
Mi asciugo, mentre lei cerca l'intimo e le calze,
poi prosegue infilandomi un jeggins nero lucido con delle paillettes nel lati, mi fa indossare una blusa lucida rossa con uno scollo sul seno e una giacca nera con i bordi rossi.
Mi scioglie la coda, mi fa due boccoli con la piastra ancora calda e mi sistema il trucco.
Non sto capendo, ma la lascio fare.
Di sicuro mi ha chiesto di andare a bere qualcosa e ora mi va davvero di cambiare aria.
Chiedo gentilmente se posso almeno scegliere io le scarpe. Vedo che lei ha abbinato una sneakers bianca lucida quindi opto per gli stivaletti neri e indosso un bracciale rosso che mi ha regalato Sophie qualche Natale fa.
In men che non si dica mi trovo nell'auto di Marco, nel sedile posteriore, mentre Sophie mi passa il rossetto rosso.
"Almeno questo puoi farlo da sola"
Scoppiamo a ridere, come sempre.
Marco prende delle strade nuove per me, siamo da un bel po' ormai in auto e sembriamo non arrivare mai.
Finalmente arriviamo ad una sbarra, basta uno sguardo al ragazzo che la comanda e ci aprono.
Un viale immenso, fiorito è illuminato ad ogni metro da una lanterna bianca.
Spero che Sophie mi abbia preso il portafoglio uscendo perché di sicuro, qui, costerà molto un drink.
Arriviamo ai piedi di un incantevole villa a tre piani,
c'è un tappeto rosso che avvolge le scale e alcune persone stanno accedendo all'interno.
Finalmente arriviamo alle scale, scendiamo dall'auto e Marco lascia le chiavi ai parcheggiatori.
Non gli hanno dato il tagliandino del numero, che strano.
Quando stiamo camminando al primo gradino vedo una cornice di legno alta che racchiude un pannello nero lucido.
Le scritte bianche perfette spiccano nella notte:

-Evento di beneficenza della famiglia Esperanza.
Grazie per essere qui-

"Sophie, scusa ma dove mi hai portato?", il cuore mi sta per esplodere, lo sento.
"All'evento di benef.."
La interrompo, "Quello l'avevo capito, ma perché?"
"Perché se invece che sparire a pranzo, avessi degnato il gruppo della tua presenza, sapresti che il Signor Pablo ha invitato tutti e, non vedendoti, si è raccomandato che io ti portassi con me!"
Non ci credo, tutto questo ha dell'assurdo.
Diciamo che ho il cinquanta per cento di possibilità che Hugo non sia qua. Figurati se si abbassa ad un evento simile.
Continuo a camminare e ringrazio Dio di non aver scelto i tacchi, le mie gambe non smettono di tremare e le farfalle hanno ripreso il loro folle gioco nel mio stomaco.
Non vorrei vederlo, ma spero, se ci fosse un secondo incontro, di notare in lui anche solo un unico dettaglio che mi faccia rinsavire e mi riporti all'odio.
Accediamo alla villa, è magnifica.
I mobili di legno lucido si illuminano grazie alle fiamme che l'enorme camino in fondo alla stanza produce.
Due grandi divani bianchi si specchiano uno di fronte all'altro separati solo da un piccolo tavolino di vetro.
A destra si accede al salone, immenso, gremito di gente.
Un piccolo palco di legno è piazzato all'angolo e tutto intorno alla stanza tavoli stracolmi di cibo fanno esplodere il palato anche solo alla loro vista.
Cinque camerieri si alternano con dei vassoi, i flûte sono di cristallo e racchiudono dei liquidi rosa o dorati.
Uno si avvicina a noi e scelgo il rosa, brindo con Sophie e sorseggio.
Le bollicine mi invadono la gola, il dolce dello spumante si mischia al sapore di menta che sento ancora sulla lingua. Sto per testare ancora questo sapore quando mi sento osservata.
Provo a voltarmi, cerco qualcuno che mi osservi.
Il Signor Pablo e consorte scambiano alcune parole con un'altra coppia, i nostri colleghi sono già riuniti con noi al tavolo alto che Sophie ha scelto appena arrivata, squadro ogni centimetro finché non lo noto.
Se ne sta lì, con le mani nelle tasche di un magnifico completo gessato nero, una camicia bianca e la cravatta grigio perla.
Mi fissa, sento che i suoi occhi potrebbero bucarmi la fronte tanta è l'intensità del suo sguardo.
Bevo un altro sorso e intercetto un altro cameriere.
Basta uno sguardo e un altro bicchiere di coraggio liquido è tra le mie mani.
Mi serve esattamente questo ora, se dovesse avvicinarsi mi serve la forza di rinsavire e lasciare spazio all'odio che provo per quest'uomo, questo meraviglioso uomo che continua a fissarmi dall'altra parte della stanza. Sento un brivido tra le gambe e le stringo una contro l'altra, incrociandole.
Le pulsazioni si fanno sempre più costanti lì sotto, quando sto seriamente pensando di rifugiarmi alla toilette, Marco mi propone una pausa sigaretta all'esterno della villa.
La proposta migliore della serata.
Usciamo fuori, l'aria fresca mi ridà il fiato necessario per placare queste sensazioni e la sigaretta mi stoppa per quei pochi minuti la testa. Mentre la spengo, nel posacenere di cristallo che Marco mi poggia tra le mani, mi sento molto più sicura di me. Entriamo insieme nella villa e accediamo nuovamente al salone.

Ed è in quell'istante che riconosco l'abito, è fermo, accanto a Sophie.
Esattamente nel punto in cui mi trovavo io poco prima, mentre mi fissava. Marco mi esorta a camminare, lo seguo, e quando sto per posizionarmi dall'altra parte del tavolo mi sento afferrare un polso da una mano calda e dal tocco pesante.
É la sua...la sua mano.

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