CAPITOLO 4

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"τέτλαθι δή, καρδιη"
<<sopporta, cuore mio>>
Odissea, XX, 18

Mi rilassai sul letto di Aaron.
Era molto morbido.
Il mio polso ormai era diventato violaceo ma, grazie al ghiaccio, non si era gonfiato più di tanto.
La stanza del mio migliore amico era molto bella. Aveva un letto matrimoniale nel centro della stanza di un legno non troppo scuro.
Vi era una scrivania, con una sedia girevole stupenda.
Una delle pareti era completamente rivestita da vetri antiproiettile che davano sul parco intorno alla casa. Sul soffitto vi erano moltissimi led e sopra al letto, il muro, era ricoperto da foto della sua infanzia, la maggior parte mie.
"Sono arrivate le pizze" sentii urlare Jaxon.
Quando scesi in sala da pranzo Adrian non c’era e forse sarebbe stato molto meglio così. Ma ovviamente, la mia stupidità non poteva che prendere il sopravvento.
“Vado a lavarmi le mani, torno subito" dissi ai ragazzi.
Sapevo perfettamente dove trovarlo. Gli Anderson erano tutti individui molto diversi ma, con il tempo, avevo imparato a conoscere ogni singolo fratello.
Adrian quando perdeva il controllo andava in palestra ad allenarsi fino allo sfinimento.
Quel ragazzo aveva molta rabbia repressa.
Adrian aveva frequentato, oltre alla facoltà di legge, anche l’accademia militare che aveva terminato a giugno di quest'anno. Forse era anche per questo che metteva paura.
Appena mi avvicinai alla porta della palestra sentì subito delle grida di rabbia e intravidi dallo stipite che stava prendendo a pugni, molto violentemente, un sacco da boxe, senza guantoni.
Ero abbastanza spaventata ma, prendendo coraggio, aprii leggermente la porta e appena il tatuato mi vide si bloccò all'istante.
“Va via. Ora.” disse senza nemmeno guardarmi, continuando a colpire il sacco.
Non avevo paura.
Volevo riportarlo di là con noi.
“No” dissi decisa.
Non capivo molte volte se fossi io deficiente oppure semplicemente se fossi desiderosa di morire.
“No? Cazzo Evans che problemi hai? Per quale fottutissima ragione sei qui?” mi ruggí contro.
Sentii gli occhi pizzicare, non volevo piangere, ma odiavo le persone che mi urlavano contro. Troppi brutti ricordi.
Chiusi la porta alle mie spalle e iniziai ad avvicinarmi a lui, molto lentamente.
“Non sei quello che dici di essere Adrian” dissi,
“E questo chi lo dice? Una ragazzina?”
Una lacrima scese e mi rigò il viso. Che stronzo.
“Si, lo dico io. La ragazza che forse ti conosce meglio di tutte. La ragazza che farebbe di tutto per te. Sei come un fratello e ti voglio un bene dell'anima, non puoi fare lo stronzo con me” arrivai di fronte a lui e gli presi le mani che nel mentre stavano gocciolando di sangue dove vi erano le nocche. Il suo volto era completamente paralizzato.
Mi asciugai le lacrime, cercando di non farmi vedere.
“Cazzo guarda che hai combinato” dissi prendendolo per mano e portandolo in fondo alla palestra, dove lo feci sedere su un materassino.
Presi il kit del pronto soccorso e lo aprì estraendo del disinfettante.
Lui non si oppose, nonostante continuasse a guardarmi male.
“Ti disinfetto queste ferite. Ma che diavolo ti è saltato in mente tu..” ma venni interrotta
“Grace, io ti osservo, anche tu hai il vizio di prendere a pugni il muro o un sacco da boxe quando ti incazzi, anche io ti conosco, più di quanto pensi. Quindi non giudicare” io rimasi di sasso per questa risposta, poi sorrisi,
“Non ti stavo giudicando, dico solo che sei un coglione. Mai detto che non lo sia pure io”.
Finalmente levò dal sul volto quello sguardo omicida che aveva fino a poco prima.
Amavo vederlo sorridere.
Tra tutti era il fratello che aveva risentito di più della morte della madre e io questo lo sapevo.
“Cazzo, guarda il tuo polso” disse poggiando delicatamente le sue dita su quest’ultimo.
Sussultai.
Inevitabile dire che faceva male.
Lui si incupì all'istante.
“Non dovresti essere qui, dopo quello che ti ho fatto”,
“Beh allora mi sottovaluti”,
“Forse” disse lui,
“Già forse” conclusi.
Ci fu una pausa di silenzio.
"Prima stavi piangendo?"
"No, non sono una che piange" dissi cercando di cambiare discorso.
Presi un batuffolo di cotone e lo impregnai di disinfettante.
"Non c’è bisogno che me le disinfetti, piuttosto pensa al tuo” alludendo al mio polso.
Gli tappai la bocca con un dito;
"Shhh, lascia fare a me, per una volta, fidati" sussurrai.
Mi sedetti sulle sue gambe e lui mi cinse la vita con le sue braccia.
Portai il batuffolo sulle ferite e lo sentii sussultare.
Non avrebbe mai ammesso che faceva male.
"Scusa" dissi.
"Non mi hai fatto nulla" rispose.
Era bello prendersi cura di una persona e tra le sue braccia mi sentivo al sicuro.
Come con Aaron.
Forse anche di più.
“Ho finito, andiamo a mangiare dai” dissi poggiando il kit di emergenza a terra.
Lui non si mosse.
Restò lì a guardarmi e io feci lo stesso.
I tatuaggi gli cingevano il collo e il piccolo piercing sul sopracciglio gli conferiva un'aria ancora più pericolosa.
Passò un dito sulla mia guancia, togliendo una lacrime che mi era sfuggita.
Poi si avvicinò al mio orecchio e sussurrò con voce roca:
“Piccola, non provare mai più a piangere per me”.
Ora potevo considerarmi un budino, mi stavo letteralmente sciogliendo e Dio solo sa quanto questa sensazione fosse bella.
Gli sorrisi e lo abbracciati.
"Scusa per lo schiaffo" ammisi.
"Scusa per il polso".
Mi squadrò da cima a fondo e poi posò le sue mani sulle mie gambe sdringendole leggermente e attirandomi più vicina a sé.
“Non è un po’ corta questa gonna?” chiese;
“Mh no. E poi lo hai detto anche tu. Niente che non abbiate già visto” lui sorrise.
“Il problema non sono io, ma tutti gli altri che ti possono guardare” sussurrò avvicinandosi sempre di più al mio orecchio.
Una scia di privi mi invase il corpo quando una delle sue mani iniziò a muoversi su e giù lungo la mia coscia.
“Dove dormi stanotte?" chiese lui;
“Da Aaron perché?"
“Cambio di programma”
“In che senso?”
“Dormi con me”.
Subito sgranai gli occhi. Aveva sbattuto la testa?
“Non posso Adrian lo sai” mi zittì baciandomi il collo.
“Mh, ottengo sempre quello che voglio. Dormi con me orami ho deciso”
Emisi un leggero gemito, mentre mi baciava il collo.
Dio che imbarazzo.
Lo vidi sorridere nell'udire quel suono.
"Sono come un fratello per te eh" disse divertito.
Alzai gli occhi al cielo e gli diedi una piccola spinta.
“Sei un pervertito e anche un deficiente” dissi
"Pervertito? Sei tu che stai gemendo per dei baci sul collo. Non ti toccherei nemmeno con un dito”.
Io mi misi a ridere e lui si accigliò.
"Perché ridi?” chiese
“Lo stai facendo anche adesso” indicando le sue mani sulle mie cosce.
“La gonna è troppo corta” disse
“Fortuna allora che ci sono le tue mani a coprirmi”
“Esatto” concluse.
Mi alzai dalle sue gambe, e mi sistemai.
Non sapevo cosa fosse appena successo, ma ero cosciente del fatto che era stato semplicemente stupendo.

𝐋𝐞 𝐟𝐢𝐚𝐦𝐦𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐜𝐮𝐨𝐫𝐞Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora